La presa di Roma

La presa di Roma

20 Settembre 1870

Scheda

Se da un punto di vista militare la campagna culminata con la presa di Roma non costituì un episodio particolarmente rilevante, essa rivestì invece un grande significato simbolico: terminava la vita millenaria dello Stato pontificio, la Città eterna diveniva capitale dello Stato italiano, si compiva l'ultimo atto del Risorgimento nazionale. Anche in questo, come in altri casi, il governo italiano seppe trarre profitto da una congiuntura particolarmente favorevole.

Il 15 luglio 1870 Napoleone III, che da sempre difendeva il potere temporale del Papa su Roma, aveva dichiarato guerra alla Prussia, ma fin dalle prime fasi del conflitto questo si rivelò disastroso per la Francia. Di conseguenza, il 3 agosto i soldati francesi abbandonavano Roma, e anche a Bologna si fece forte la speranza che gli eventi potessero "sciogliere definitivamente la Questione Romana". Nella battaglia di Sedan, conclusasi il 2 settembre, lo stesso Imperatore francese venne fatto prigioniero dai prussiani, e il 4 settembre in Francia veniva proclamata la Repubblica. A Bologna la notizia giunse il giorno successivo: se da una parte la città si rattristò per la sorte del sovrano che con le sue armi aveva permesso l'Annessione alla monarchia di Vittorio Emanuele II, dall'altra si era ben consapevoli che quanto stava accadendo apriva la strada per Roma. Mentre iniziavano i preparativi militari e venivano richiamate diverse classi di leva, l'8 settembre si svolse presso lo Sferisterio un Comizio di Quirico Filopanti e Giuseppe Ceneri volto a mobilitare soprattutto la parte popolare della cittadinanza sulla Questione Romana e a cercare di influire in qualche modo sulla sua imminente soluzione. Nello stesso giorno il Re Vittorio Emanuele  II mandò a Roma un inviato per convincere papa Pio IX a cedere senza combattere la città e quel che restava dello Stato della Chiesa, ma il pontefice rifiutò. L'11 settembre l'inviato lasciò Roma e lo stesso giorno cominciarono le operazioni militari. Mentre l'esercito italiano si preparava ad invadere lo Stato pontificio, a difesa del Papa accorsero dall'Italia alcune centinaia di volontari: una colonna partì anche da Bologna. Si trattava per lo più di appartenenti alla neonata Società della Gioventù cattolica italiana, fondata pochi anni prima, e alla loro testa c'era Alfonso Rubbiani, allora poco più che ventenne, segretario della Società. Nel giro di pochi giorni l'esercito italiano, comandato dal generale Raffaele Cadorna, occupò senza combattere tutto il territorio dello Stato pontificio, salvo la capitale: il capo dell'esercito pontificio, generale Hermann Kanzler, aveva infatti disposto che le sue truppe, molto inferiori a quelle avversarie, si concentrassero a Roma. Il 15 settembre Cadorna inviò un ultimatum a Kanzler, che lo respinse.

Il 20 settembre alle 5 di mattina iniziò l'assedio: alle 9 fu aperta una breccia di una cinquantina di metri a sinistra di Porta Pia; la Brigata Bologna, e in particolare il 39° Reggimento Fanteria, ebbe un ruolo chiave nell'assalto finale, insieme al 35° battaglione dei Bersaglieri; i primi ad entrare dalla breccia furono però i bersaglieri del 12° battaglione, capitanati dal bolognese Leopoldo Serra che fu il primo ufficiale ad entrare dalla Breccia. In realtà fin dalle primissime fasi dell'assalto i pontifici issarono bandiera bianca: l'obiettivo di Pio IX era infatti quello di rendere evidente a tutti che la città era caduta in seguito ad un atto di violenza esterna, e pertanto aveva comandato di arrendersi dopo poche ore di combattimento, per evitare inutili spargimenti di sangue. Nel pomeriggio dello stesso giorno veniva firmata la capitolazione. Gli abitanti di Roma, che avevano assistito senza partecipare agli eventi, riservarono comunque una entusiastica accoglienza alle truppe italiane. Lo scontro provocò complessivamente 49 morti da parte italiana e 20 da parte pontificia: tra i primi va ricordato il bolognese Cesare Bosi, mentre i volontari pontifici provenienti da Bologna di fatto non furono coinvolti direttamente nel combattimento. La notizia arrivò a Bologna il giorno stesso, e il Sindaco pubblicò un manifesto per annunziare il fausto avvenimento, ma le pubbliche dimostrazioni furono tutto sommato "meschine": "moltissime case de' cittadini non vennero nella sera illuminate, e nel popolo ben poco numeroso che percorse le vie della città non si ravvisava indizio alcuno di pubblica letizia. La piazza della Pace (oggi piazza Galvani ndr) ed i circostanti portici dell'Archiginnasio e della Morte erano riccamente illuminati a gaz, per cura del Municipio, mentre la banda comunale avrebbe allietato i cittadini accorsi sul luogo, se una mano di monelli cenciosi, pagati da alcui birbanti che osano chiamarsi democratici, non avessero turbata la festa con fischi ed urli, chiedendo a squarciagola l'Inno di Garibaldi, che a disperazione di tutti venne suonato per tutta la sera ... Evviva a Garibaldi, a Mazzini, e giammai al Re!".

Il 2 ottobre 1870 si svolse nel territorio romano il Plebiscito che sancì l'annessione alla monarchia di Vittorio Emanuele II. La notizia fu accolta a Bologna con gioia, il sindaco la annunziò a tutti con un manifesto fatto affiggere per le strade; il giorno successivo i pubblici edifici furono illuminati, al Teatro Comunale andò in scena una nuova opera, mentre "produssero un bell'effetto i fuochi del Bengala sulla Torre Asinelli ed al Palazzo Aldini". L'8 ottobre il Sindaco di Bologna fu invitato a Firenze – allora Capitale del Regno d'Italia – per accogliere la Deputazione della città di Roma incaricata di portare a Re Vittorio Emanuele i risultati del Plebiscito. Due giorni dopo, i bolognesi furono invitati alla Stazione di Bologna per festeggiare la stessa Deputazione che transitava diretta a Torino, a ricevere "gli omaggi dell'antica Capitale". L'11 ottobre infine una folla di popolo riservò un'accoglienza trionfale al cospiratore mazziniano Giuseppe Petroni che, dopo essere rimasto prigioniero delle carceri romane per 18 anni, tornava libero nella sua città. Con questo atto, al quale lo stesso Sindaco dedicò un manifesto, si potevano dire concluse le manifestazioni legate alla Presa di Roma.

Come si è visto, la città nel complesso rimase abbastanza "indifferente" all'avvenimento; la presa di Roma acuì le divisioni nell'opinione pubblica e lo stesso Sindaco Casarini, democratico, fu accusato dai moderati di una certa tiepidezza nel promuovere le manifestazioni: da una parte i cattolici disertarono i festeggiamenti per ovvie ragioni e ben presto, seguendo il Non Expedit, avrebbero disertato anche la partecipazione alla vita politica; dall'altra repubblicani e democratici non mancarono di mostrare il loro disappunto per l'esito poco avanzato del processo rivoluzionario risorgimentale. In ogni caso, il giorno della Breccia di Porta Pia e della Presa di Roma fu dichiarato Festa Nazionale e lo rimase fino alla Conciliazione tra Stato Italiano e Chiesa (1929). Al Venti Settembre è stata dedicata anche una Piazza della Città, nei pressi della Stazione Ferroviaria.

Otello Sangiorgi

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Antonmaria Bonetti; Pio IX ad Imola e Roma - memorie inedite di Francesco Minoccheri; Napoli, Salvatore Festa, 1892. © Museo Risorgimento Bologna.

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La Rana, giornale umoristico popolare illustrato; anno 3 n.45 novembre 1867; Bologna, Fava e Garagnani. Museo Risorgimento Bologna

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A. De Angelis, La Mostra storica del Risorgimento in Roma. Da 'Ars et Labor - Musica e Musicisti', Ricordi, Milano, 1911. Collezione privata. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.