La democrazia bolognese di fronte alla crisi

La democrazia bolognese di fronte alla crisi

1860 | 1868

Scheda

di Fabrizio Fabrizi

1.1 Quirico Filopanti e la Società Operaia di Bologna | Il presente articolo intende offrire un minimo contributo alla storia del movimento democratico bolognese quale premessa per una pubblicazione più ampia sul contesto cittadino. Per la ricerca sono stati consultati i documenti dell’Archivio di Stato e del Museo Civico del Risorgimento della città petroniana nel tentativo di offrire un quadro storico più articolato del periodo in esame; il loro utilizzo ha consentito infatti, di ricostruire alcuni aspetti ed eventi del periodo 1867-1868, impossibili da rintracciare presso gli archivi della Società di Mutuo Soccorso (SMS) di Bologna per la mancanza di documentazione.

Il movimento democratico bolognese affermatosi con più forza dopo l’unificazione aveva dato vita ad alcune organizzazioni di lavoratori tra cui la Società Operaia e l’Unione Democratica. La prima rappresentava il perno di un sistema democratico cittadino affermatosi durante la crisi economico-sociale del paese aggravata dai costi della guerra antiaustriaca e dalla eclissi della politica cittadina. Insieme costituirono un costante riferimento per la sinistra democratica e per il variegato mondo del lavoro caratterizzato da una forte presenza di attività semi-artigianali e dalle prime forme di capitalismo industriale. In questo ambito prendeva forma una particolare coscienza sociale e politica derivata dalle influenze sansimoniane, mazziniane, garibaldine ed internazionaliste tipiche del socialismo europeo. Nel primo decennio unitario infatti, le organizzazioni democratiche e del lavoro nostrane si ispiravano ai partiti repubblicani e radicali ed avevano in Mazzini e Garibaldi i loro rappresentanti. Le due associazioni bolognesi rappresentavano un esempio illuminante del primo socialismo italiano, ancora estraneo alle influenze marxiste e collettiviste già affermate in seno all’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL); i primi contatti con questa organizzazione, si stabilirono soltanto nel settembre 1867, in occasione del congresso operaio di Losanna e di quello pacifista di Ginevra, eventi significativi dell’internazionalismo socialista e democratico. La difficile situazione sociale e politica dell’area padana aveva favorito l’incremento delle organizzazioni operaie, tra cui molte società mutualistiche espressione delle correnti democratico-radicali. La Società Operaia di Bologna nasceva nell’aprile 1860 sul modello di un’altra SMS “sorella” del Piemonte; il suo scopo era il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro dell’operaio, come si poteva leggere nel manifesto che annunciava la prima riunione:

"L’operaio e il colono che formano la classe più numerosa della Nazione e costituiscono con la produzione delle loro fatiche la principale sorgente della comune prosperità e la base della nazionale ricchezza, sono nei governi dispotici ed assoluti le più invilite e neglette classi, non così può avvenire negli Stati retti a Libertà, ove come le altre, devono essere chiamate a sviluppare col progresso le latenti loro forze ed a migliorarle [...]. Lo scopo dell’Associazione degli operai è dunque di incoraggiare fra essi la Fratellanza e il Mutuo Soccorso; tende a promuoverne l’istruzione, la moralità, il benessere affinché possano felicemente cooperare al pubblico bene."(1)

La direzione era composta dai marchesi Livio Zambeccari e Gioacchino Pepoli più un terzo. Lo statuto della società si richiamava ai principi evangelici di comunione e solidarietà fra gli uomini: “onora il tuo prossimo come te stesso” come si può leggere nel suo primo articolo.(2) Il programma dell’Operaia, come veniva più spesso nominata, era quello di una comune SMS con scopi di assistenza economica ed istruzione per lavoratori ed artigiani. In caso di malattia e vecchiaia erano previsti dei sussidi per i soci mentre era esclusa qualsiasi attività di carattere politico, come si rileva dai verbali di quella prima seduta: «l’Unione o società d’operai sarà attuata colle debite intelligenze col Governo e soprattutto dichiara una tale associazione non aver scopo o viste politiche». Prima dell’unità ben poche furono le associazioni operaie e di mestiere organizzate in Emilia. Secondo i dati ufficiali nel 1862 risultavano 66 associazioni con 18.561 soci ed un capitale di oltre 285 mila lire; a Bologna se ne contavano 14, con 4.055 soci e 48 mila lire di capitale. In particolare la statistica metteva in evidenza i dati di Modena che con 19 società e circa la metà dei soci, 2.129, faceva registrare un capitale sociale più del doppio delle SMS della provincia di Bologna, con 115.618 lire.(3) Molti di quei sodalizi erano soggetti all’influenza del clero come dei possidenti piccoli e grandi; essi avevano carattere di confraternita e svolgevano principalmente opere di beneficenza. In proposito così scrive il Ravà nel suo studio sulle SMS:

"Nelle provincie dell’Emilia, dominate sino ad epoca recente dai Gesuiti o da tirannelli ad essi devoti, la fibra popolare rimase alquanto depressa, la ignoranza estesissima delle masse al pari della superstizione; ed il pensiero ascetico della vita futura contribuiva forse a che il popolo poco pensasse ad assicurarsi un materiale benessere quaggiù, mentre poi i governanti erano ostili alle popolari associazioni perché le temevano."(4)

Dopo undici anni il numero delle associazioni nelle province padane ebbe un certo incremento, se ne contavano infatti 121. Il movimento mutualistico ed associativo si sarebbe poi affermato nel ventennio successivo; in particolare, nel periodo di massimo sviluppo (1878-1885) i sodalizi passarono da 191 a 427 per arrivare poi, nel 1904, con una crescita più lenta, fino a 520.(5) Dalle statistiche ufficiali risulta con evidenza, che l’area corrispondente all’odierna Emilia Romagna è stata quella di maggiore diffusione dell’associazionismo mutualistico in Italia. Bologna, all’indomani dell’annessione, sancita dal plebiscito del marzo 1860, aveva circa 110 mila abitanti, di cui più della metà era analfabeta e contava oltre 72 mila operai e lavoratori di vari mestieri ed arti, certamente non possidenti, ma non necessariamente occupati a tempo pieno, mentre oltre 32 mila persone risiedevano nel contado.(6) Le attenzioni e le cure dell’Operaia erano rivolte alla massa di lavoratori cittadini, il novanta per cento dei quali, circa, risultavano analfabeti (63.000), non trascurando del tutto i 5 mila poveri “sussidiati” presenti in città. Oltre al lavoro, i problemi sociali più urgenti erano rappresentati dall’assenza di una qualsiasi forma di previdenza sociale, la mancanza di alloggi e il carovita. All’inizio degli anni Sessanta il salario medio di un operaio era di circa una lira al giorno; per una famiglia di cinque persone occorrevano almeno quattro mesi di lavoro soltanto per assicurare il fabbisogno di pane, alimento base della dieta. Di fronte a questa situazione, Marco Minghetti, l’esponente più autorevole dello schieramento moderato cittadino, negava non soltanto la necessità, quanto l’opportunità che lo stato intervenisse a favore della popolazione più bisognosa sostenendo che ciò avrebbe “sottratto i capitali all’industria privata”.(7) Con l’avvento del nuovo stato italiano si registrava una situazione di arretratezza economica e sociale nel bolognese come nelle altre province, che inevitabilmente apriva le porte ad ipotesi radicali di cambiamento. Molto scarsa la presenza di impianti industriali, che, nel caso, venivano dall’estero come del resto i tecnici specializzati. Inoltre, l’intera area pagava il prezzo per l’esclusione economica dal fiorente mercato del Nord sostenuta da decenni di misure restrittive. Per certi aspetti la situazione era anche peggiorata rispetto alle aperture e alla maggiore dinamicità conosciute nel periodo francese e napoleonico e fatalmente interrotte col sopraggiungere della Restaurazione e il ritorno del governo del papa. L’assetto politico della città si stava gradualmente stabilizzando sulle posizioni dei liberali conservatori. L’unificazione amministrativa, la politica economica e finanziaria, l’indirizzo liberistico adottati dai governi moderati suscitarono un vasto malcontento tra le classi popolari bolognesi, accompagnato dalla richiesta di uomini nuovi non compromessi con il governo locale e di un sostanziale cambiamento di indirizzo politico. Tra i liberali emerse un vivace confronto che spinse il cosiddetto “terzo partito”, dei liberali dissidenti, guidato dal Pepoli, a distinguersi dalle posizioni dei “ministeriali”, i conservatori capeggiati da Minghetti, pur distanziandosi dai partiti radicali ai quali apparteneva la grande maggioranza dei membri della Società Operaia.

Il primo presidente dell’Operaia fu un imprenditore: Filippo Manservisi; egli riuscì ad impiantare uno stabilimento laniero tra i più importanti dello stato pontificio; durò in carica pochi mesi fino al dicembre 1860. Si è accennato alla presenza di Zambeccari personaggio eclettico e di sentimenti radicali ben visto dalla base popolare, garante del buon funzionamento della società. Diverso il giudizio per il marchese Pepoli, nobile di antico lignaggio, moderatissimo, condivise per breve tempo le sorti dell’Operaia. Nel corso della sua vita ricoprirà diversi incarichi: deputato, ambasciatore e ministro nei governi della destra. La Società Operaia all’inizio era sostenuta da «Il Corriere del Popolo» giornale repubblicano, vicino a Bertani, che uscirà fino al dicembre 1862, appena in tempo per pubblicare lo statuto della società definitivamente approvato nella seduta del giorno 10 dello stesso mese. L’Operaia, sotto la prima presidenza di Quirico Filopanti, a partire dal 1861, assunse un indirizzo più marcatamente politico, di tipo repubblicano, vicinissimo alle istanze del partito d’azione con una sensibilità spiccata nei riguardi del Generale, amico personale di Filopanti dai tempi della Repubblica romana e presidente onorario della società.(8) Nel suo libro d’oro sono registrati fin dall’inizio i nomi di Giuseppe Mazzini, Agostino Bertani, Giovanni Nicotera, Carlo Cattaneo, Aurelio Saffi, Nicola Fabrizi e Francesco Crispi, oltre quelli dei fratelli Bandiera, Carlo Pisacane e Rosolino Pilo, iscritti come omaggio alla memoria. Ancora, tra i soci onorari troviamo Federico Campanella, Bertani e Jessie White Mario, giornalista inglese, moglie di Alberto, che prese parte a diverse campagne garibaldine pubblicando in Italia e all’estero corrispondenze e articoli sul movimento risorgimentale del nostro paese.(9)

L’associazione si presentava quindi sotto l’egida dei principali esponenti della sinistra radicale italiana nei cui progetti resisteva il desiderio di realizzare nel paese – a giudicare dai loro discorsi – una rivoluzione politica che portasse ad un cambiamento non soltanto del governo moderato ma anche dello stato attraverso l’istituzione della Repubblica. Questa posizione faceva si che il Partito d’Azione e la sinistra radicale si trovassero di fatto isolati dal contesto istituzionale del nuovo regno; costretti ad un lavoro extraparlamentare sarebbe stato però impossibile realizzare la loro proposta politica nell’ambito del vigente quadro istituzionale. Di ciò ne era convinto lo stesso Agostino Bertani: il leader democratico in un discorso del 1865 metteva infatti in evidenza la necessità per il Partito d’Azione di operare contemporaneamente su due piani diversi, all’interno del movimento operaio e associativo e dentro le istituzioni parlamentari.(10) Tuttavia il problema della sinistra risiedeva principalmente nella mancanza di un vero progetto rivoluzionario capace di operare quei cambiamenti che le popolazioni urbane e contadine attendevano da tempo. In questo senso la velleitaria minaccia rivoluzionaria servì al governo moderato come pretesto per tener fuori le forze garibaldine e mazziniane dal quadro istituzionale e ritardare colpevolmente l’opera di riscatto delle masse popolari e contadine. Probabilmente questo fatto favorì l’allontanamento di numerosi membri dalle organizzazioni radicali ed operaie e la loro adesione alle prime associazioni socialiste che offrivano forme più organiche di lotta e soluzioni più convincenti ai problemi socioeconomici; a partire dalla Campania, ove nel 1867 nacque “Libertà e Giustizia” di ispirazione socialista-libertaria, queste organizzazioni si diffusero poi in altre aree del paese, specie in Val Padana e in Romagna. I primi esponenti socialisti provenivano infatti da una lunga militanza tra le fila mazziniane e garibaldine dalle quali si separavano, riconoscendo i limiti della loro azione rispetto alla grave crisi che attraversava il paese. E’ il caso di Carlo Gambuzzi, avvocato, patriota e garibaldino, tra i fondatori della società napoletana ispirata
alle idee di Bakunin.

Un rapporto speciale legava il generale Garibaldi all’Operaia che andava ben oltre l’amicizia con il suo presidente, il professor Filopanti. Quest’ultimo si definiva “repubblicano come Mazzini e socialista come Garibaldi”. Il Generale sarà sempre il suo vero punto di riferimento, al cui fianco aveva combattuto in Trentino, nel 1866 e poi di nuovo a Monterotondo l’anno successivo. Ma certamente, l’idea di socialismo del professore era anche più vaga di quella del Generale: egli stesso lo definiva “socialismo santo” o “rosa”, in contrapposizione a quello di derivazione comunarda ed internazionalista. Come Garibaldi, Filopanti rimaneva legato alle sue origini sansimoniane che inevitabilmente ne condizionarono l’azione all’interno della Società Operaia basata sul principio del mutualismo in campo economico, sociale e morale. Di conseguenza egli rifiutava la visione classista della contrapposizione tra capitale e lavoro credendo invece nelle possibilità di miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori attraverso l’impegno, la conoscenza e l’istruzione.(11) Dopo Aspromonte la Società inviò a Garibaldi un sussidio, come previsto dal regolamento dei soci, a cui aggiunse, successivamente, 293 lire, frutto di una raccolta fatta tra i suoi membri «perché la vogliate usare – si diceva nella lettera allegata – nel modo che crederete a sollievo dei più bisognosi fra gli eroi di Aspromonte».(12) La Società operaia di Bologna, a differenza delle altre era aperta a tutte le categorie del lavoro, arrivando a contarne fino a trentaquattro. Al suo interno si erano formati alcuni comitati di intervento, specifici per le varie attività sociali: sanità, lavoro, previdenza, istruzione. Filopanti fin da subito si impegnò come insegnante-educatore svolgendo attivamente la sua opera di apostolato sociale.(13) La sua influenza era dovuta principalmente alle personali capacità organizzative e amministrative ma veniva ulteriormente alimentata dalle spiccate qualità di divulgatore messe in pratica nei tanti corsi popolari che lui stesso teneva ogni domenica nella sede sociale. Nelle sue lezioni affrontava le più diverse materie: storia, geografia, fisica, astronomia, chimica e argomenti di più diretto interesse per gli operai come i diritti civili, la religione, l’economia domestica, pubblica ecc.; Filopanti cercava di applicare alla lettera i principi propri del mutuo soccorso: in questo senso l’istruzione rappresentava uno dei punti fondamentali per il miglioramento delle condizioni morali e di vita dei lavoratori e delle classi popolari. Ricordiamo di seguito un passaggio che esprime bene il senso di questa sua “missione”:

"Io non mi stancherò d’inculcarvi o miei diletti fratelli operai, la massima che la più sicura maniera di procacciarvi un vivere meno disagiato dipende dalla vostra economia domestica, dalla vostra sobrietà e temperanza, dal fuggire tutti i vizi, dal perfezionarvi ne’ vostri rispettivi mestieri e dall’essere assidui al lavoro."(14)

Da un rapporto di polizia possiamo cogliere ancora un esempio illuminante dell’azione educatrice che il professore svolgeva nei suoi corsi domenicali avendo cura di formare l’operaio e il popolano non soltanto come lavoratore ma anche come cittadino:

"Passando a parlare dei doveri dell’operaio come tale, disse, che i capi bottega devono ben trattare i subalterni, e così i subalterni devono essere rispettosi verso i primi. Parlò dei doveri dei padri di famiglia verso la moglie, e la prole e viceversa, non che della sobrietà, dell’educazione e dell’igiene. Considerò dappoi l’Operaio come cittadino, e disse fosse dovere del cittadino salvare il paese con perdita della famiglia, e di salvare la famiglia col sacrificio di sé stesso. Aggiunse che l’Operaio Elettore deve concorrere a far sì che i nuovi Deputati al Parlamento, e i suoi Consiglieri Comunali e Provinciali siano uomini atti a sostenere la loro rappresentanza più francamente e italianamente degli attuali. Inculcò il dovere di rispettare la Legge, pure osservò che qualora i popoli sono conculcati dalla tirannia, ogni cittadino dovrebbe stringere un ferro, e vendicare la propria nazione. Finalmente accennò a Roma e alla promessa della Francia di ritirare fra due anni le sue truppe, e qualificando questa promessa come lettera di cambio [...]. Terminò il suo discorso col raccomandare rassegnazione, sommissione alle leggi e tranquillità."(15)

Secondo i dati raccolti dal Ravà nel suo testo sulle SMS,(16) la Società Operaia risultava la più grande a Bologna, con oltre 1600 soci nel 1865 e 1973 nel 1868 che rimasero pressappoco gli stessi fino al 1870. Nel prospetto presentato dal Consiglio Direttivo nel novembre 1865 all’Assemblea dell’Operaia, riportato nel testo di Mario Maragi, si dichiarava invece un totale di ben 2.225 soci, un numero più consistente rispetto al dato precedente di Ravà per lo stesso anno.(17) Per iscriversi era sufficiente una semplice dichiarazione di lavoro: “chiunque tragga dal proprio lavoro di che vivere onestamente”. Nel suo resoconto Ravà sottolineava la “cattiva” tendenza dell’Operaia – comune ad altre associazioni – di occuparsi di “quistioni politiche”, cosa che accadeva sia nella lunga presidenza di Filopanti sia in quelle più estemporanee di Enrico Bignami e Raffele Belluzzi (1867). L’Operaia si distingueva dalle altre associazioni per la diversità e il numero delle iniziative cui partecipava, tra queste segnaliamo l’avvio di una cooperativa di consumo, l’impegno per l’istituzione di una Banca Popolare, l’elargizione di contributi in favore delle vittime del brigantaggio e dei colerosi. Parallelamente allo svolgimento delle sue attività la società seguiva da vicino le vicende del Partito d’Azione ed era sempre pronta a sostenere iniziative in suo favore. Nel 1866 inviò dei contributi a Mazzini e Garibaldi per la loro opera di “apostolato patriottico” e organizzò una manifestazione pubblica per celebrare il loro onomastico, il 19 marzo di quell’anno.(18) Dallo studio delle fonti d’archivio – diversamente da quanto affermato nel testo di Maragi(19) – si può notare come, già da allora, le attenzioni delle autorità nei confronti delle associazioni e dell’Operaia in particolare, fossero assidue, sebbene questa non ne desse motivo; di fatto rappresentava il più importante sodalizio dell’Italia padana. Il contenuto della documentazione consultata, riguardante principalmente il 1863-1864, per quanto ridotta rispetto a quella ben più copiosa degli anni successivi, ce ne offre comunque una conferma.(20) Nel febbraio 1863 veniva segnalato al prefetto, forse per la prima volta – stando al rapporto del questore – quella “cattiva” tendenza di cui parlava il Ravà:

"Il Filopanti al termine di una lezione entrò nel campo della politica e con lungo discorso – riporta il documento – espose l’origine ed i successi dell’attuale rivoluzione polacca, l’aumento delle forze rivoluzionarie e le sconfitte fin qui toccate ai Russi. Spiegò con indicazioni geografiche – concludeva il rapporto – alla scolaresca la quale unita alla suddetta Società Operaia potrebbe dar luogo a più gravi disordini."(21)

Il documento non passò inosservato. Infatti, il primo marzo, nella seduta successiva dell’Operaia, veniva letta una lettera di Filopanti in cui dichiarava «di essergli stato vietato dall’autorità di parlare degli affari della Polonia» e chiedeva di essere esonerato dalle lezioni cosa che invece non venne accolta. (22) La consultazione dei documenti d’archivio ci offre l’opportunità per conoscere le manovre tentate dalle autorità per limitare l’azione dell’Operaia. Una informativa della questura riferiva della volontà di “taluni soci di sano criterio e di oneste intenzioni” di separarsi da quella società ormai compromessa, secondo loro, dalle “questioni politiche” per fondarne una nuova dedicata totalmente al mutuo soccorso con grande beneficio per la classe operaia. La nuova associazione: Società Artigiana nasceva dalla scissione della vecchia Società Operaia, il 9 gennaio 1864. Per contrastare questa manovra, ben vista o forse suggerita dalle stesse autorità di polizia, Filopanti lanciò un appello per fondere le altre associazioni: Felsinea, dei muratori, dei barbieri, degli orefici ecc. nella Società Operaia anche a costo di essere osteggiato dalle autorità di governo. Questo atto mostrava la volontà di dar vita ad una grande organizzazione della sinistra radicale i cui obiettivi andavano oltre la difesa dei diritti sindacali e di assistenza. Questo passaggio sarà portato a termine gradualmente in un secondo momento, nel biennio 1867-1868, favorito anche dalla crisi economica e politica seguita alla guerra contro l’Austria. La relazione si concludeva con la promessa del questore di un più severo atteggiamento nei confronti del sodalizio che da lì in poi riceverà attenzioni meno benevole da parte delle autorità: “Lo scrivente assicura la S.V. Illustrissima che non perderà d’occhio i lavori di una società, che getta i propri interessi nelle mani di politici mestatori”. Nel programma del Consiglio Direttivo del gennaio 1864, entrato in vigore con la nuova presidenza Filopanti, si accennava chiaramente alla soluzione della questione nazionale secondo la prospettiva democratica:

"[...] Benché la nostra Associazione non abbia nessuna immediata relazione colla politica, risguardiamo non pertanto come il più sacro de’ nostri doveri l’inculcare ai nostri fratelli quello di essere pronti ad impugnare le armi per la completa liberazione della Patria, in quel giorno in cui essa ci chiami."(23) 

Nella nota del questore che accompagnava quel documento si confermava ancora una volta che nel discorso di Filopanti “anziché il mutuo soccorso la politica [era] la parte predominante”.(24) Il documento ci offre quindi un’altra prova del cambiamento avvenuto nei confronti della Società Operaia da parte delle autorità, cui si è accennato sopra. Tuttavia, la controprova la troviamo in un altro documento significativo al riguardo, che vale la pena riprodurre; in pratica è con l’avvento della presidenza del professor Filopanti che si era determinato – secondo le autorità – il passaggio da una semplice SMS ad una associazione politica. Leggiamo infatti dalla nota del questore:

"[…] Questa nomina ingenerò il concetto in quest’Ufficio che la Società fosse per essere messa nell’occasione di fuorviare, e infatti non appena il Filopanti andò al seggio della Presidenza cominciò a segnalarsi nella società un principio di agitazione, una smania di occuparsi di politica, e un’insolita tendenza alle improntitudini e tant’oltre spinse le sue insinuazioni, da progettare una pubblica dimostrazione pel giorno 19 corrente onomastico di Garibaldi e di Mazzini nella quale pretendeva, come è notorio, l’intervento delle Autorità, e che potè ottenersi d‘impedire avesse effetto, mercé le non poche pratiche usate in via preventiva […]."(25)

La relazione continuava poi con il resoconto della seduta dell’Operaia e la richiesta di provvedimenti a carico di Filopanti. Per quanto il professore cercasse di non trascendere i limiti imposti al diritto di associazione, l’Operaia sotto la sua guida assunse i toni di una associazione della sinistra radicale che più o meno apertamente affrontava le questioni dell’attualità politica. Alle accuse che le venivano mosse dalle autorità la società si giustificava affermando che le riunioni svolte presso la propria sede dovevano considerarsi come incontri privati e non pubblici e quindi, non passibili di provvedimenti. Nel rapporto citato si riportava, inoltre, l’esito della seduta del 20 marzo 1864, alla presenza di 252 persone; vi furono presentati nuovi soci “fra i quali alcune guardie municipali, fiaccheristi, fabbri ferrai, un portalettere, degl’inverniciatori ed un copia Musica”. In quella occasione Filopanti tenne una lezione sulla storia della vita di Garibaldi, che, secondo l’estensore del rapporto, sembrava più un pretesto per portare attacchi al governo, aggiungendo, poi, che non avrebbe lasciato la presidenza dell’Operaia “per qual si fosse evenienza”. Dal resoconto della questura possiamo trarre qualche passaggio relativo a quella lezione:

"Parlò del fatto d’Aspromonte, svolgendolo sotto l’aspetto più politico che militare e dichiarando che se Garibaldi in quell’impresa aveva sbagliato, se ne doveva riversare la responsabilità sul Ministero Rattazzi, il quale, a suo dire, si sarebbe condotto in modo da trarre Garibaldi in inganno."(26)

"Il professore invitava poi le persone ad esporre le bandiere alle finestre ed a illuminarle di notte, in modo da far sentire l’affetto per il Generale e festeggiarlo ugualmente malgrado il divieto imposto. Questo invito veniva interpretato dal questore come una possibile protesta da attuare anche in altre circostanze. Inoltre, continuò affermando che era ormai necessario per le popolazioni conoscere i propri diritti e marciare uniti e compatti in quanto “il Governo non si azzarderebbe di sciogliere le dimostrazioni col mezzo delle sciabole e baionette proprio soltanto dei Governi tirannici e dispotici”."(27)

In un altro documento si riportava l’esito di una successiva seduta in cui si comunicava l’iscrizione di 88 nuovi soci e la decisione di impegnare l’avanzo di cassa, di 1.800 lire, nel fondo della Cassa di Risparmio.(28) In quei giorni veniva deciso di estendere alla società femminile dell’Operaia i benefici della provianda e si contava un saldo attivo sul bilancio del 1863 di 2.800 lire. Qualche altra notizia circa la nuova società nata dalla scissione dell’Operaia è contenuta in una informativa per il prefetto del 15 febbraio 1864. Nella seduta del giorno precedente alcuni soci e il presidente Filopanti avevano espresso “parole sconvenienti contro il sig. Bernasconi per aver cooperato alla formazione di un’altra società”; comunque, assicura l’informatore, che la cosa non ebbe seguito e l’accusato, secondo regolamento, venne espulso per incompatibilità coi principi espressi dalla Società Operaia.(29) L’archivio di Stato bolognese conserva anche molti documenti di altri sodalizi come ad esempio quelli di Ravenna, Imola, Bazzano e Budrio, comune d’origine di Filopanti. Qui la locale SMS era stata sospesa nell’agosto 1862 e poi definitivamente disciolta. Ciò aveva fatto nascere un acceso confronto con le autorità, aggravato dopo il rifiuto dei rappresentanti della vecchia Società Operaia di costituirne una nuova alle condizioni dettate dal prefetto. Il ministro degli Interni chiedeva, a questo punto, una maggiore sorveglianza affinché venisse rispettato il decreto di scioglimento del sodalizio.30 A Bazzano venne respinta la proposta di Filopanti di costituire una nuova società operaia associata a quella di Bologna; l’assemblea, che vedeva raccolte circa venti persone, decise invece di dar vita ad un sodalizio proprio, indipendente da qualsiasi altra società.31 Ad ottobre 1864 si formò la nuova SMS, ma anch’essa agli occhi delle autorità rappresentava un problema a causa del suo carattere spiccatamente politico. Nel 1866 ci fu la mobilitazione per la campagna del Veneto contro l’Austria a cui l’Operaia partecipò con tutto il suo gruppo dirigente. La sede di via Vinazzetti divenne il centro di arruolamento dei volontari garibaldini e molti soci si presentarono sui campi di battaglia del Trentino al fianco del generale Garibaldi, tra i primi il presidente Filopanti. Già nel dicembre del 1865 si era formato un comitato delle società democratiche delle Romagne la cui assemblea era stata presieduta da Filopanti. Lo stesso venne nominato presidente di una commissione direttiva dell’Operaia, con Vincenzo Caldesi vice, istituita per fini organizzativi; Il professore budriese si fece portavoce della richiesta al sindaco di Bologna dell’area dell’Orto Botanico per le dovute esercitazioni militari e per la fornitura di fucili alla Guardia Nazionale.32 Per non coinvolgere la Società Operaia e avere una maggiore libertà di iniziativa in vista della campagna di guerra il professore si fece sostituire alla guida della società; carica che riprenderà nel dicembre del 1866. Quell’anno si apriva con una situazione di grande apprensione per le forze governative; si rincorrevano le voci di una possibile invasione del Veneto in primavera, organizzata da Mazzini e di una insurrezione contro la monarchia il cui movimento sarebbe dovuto partire dalla Romagna.(33) Le note di polizia parlavano di una riunione avvenuta ai primi di gennaio alla resenza di Filopanti e Caldesi in cui veniva deciso “di spingere in ogni modo il Governo alla Guerra contro l’Austria per la liberazione del Veneto”; in caso di difficoltà – continuava la nota – “si cercasse forzargli la mano suscitando disordini all’interno, non recedendo neppure davanti alla necessità dello spargimento di sangue”. Oltre a queste notizie allarmanti crescevano le preoccupazioni anche per eventuali iniziative del partito clericale che a Bologna era piuttosto consistente in seguito ai dieci anni di governo della restaurazione papale. A marzo come consuetudine si celebrarono gli onomastici di Mazzini e Garibaldi non soltanto a Bologna ma anche in vari municipi della provincia. Filopanti partecipò al banchetto organizzato dall’Operaia a Villa Baruzzi che vide la partecipazione di 400 persone così commentato nella nota di polizia: “I più esaltati del partito d’azione, emigrati e studenti, vi figuravano con persone dell’infima classe, che sempre accorrono quando si tratta di un disordine e di pescare nel torbido”.(34)

Ad Imola invece la festa veniva spostata al 25 del mese, a causa del brutto tempo, permettendo un notevole afflusso di giovani da Castel Bolognese e da Faenza, senza però che ciò desse luogo ad incidenti, scongiurati da un preventivo accordo con le autorità prefettizie.(35) Anche a Budrio si organizzò un banchetto in onore di Garibaldi a cui parteciparono ottanta persone durante il quale si fecero “ripetuti applausi all’Italia, al Re e al Generale Garibaldi senza che vi fosse intesa nessuna voce sediziosa”.(36) A questo riguardo va sottolineata l’importanza che nella concezione celebrativa repubblicana assumevano alcune date simbolo del calendario, la principale delle quali era l’anniversario della Repubblica romana, il 9 febbraio, seguita dalla festa per l’onomastico di Garibaldi e Mazzini, il 19 marzo, giorno di san Giuseppe. Sebbene le autorità monarchiche cercassero di impedire ogni rito o rappresentazione che potesse richiamare o addirittura celebrare la repubblica, in realtà, in coincidenza con queste due date, venivano organizzati, soprattutto nei luoghi a forte radicamento democratico – sia in pubblico che al chiuso dei circoli – cerimonie e banchetti dal chiaro significato politico.(37) Risulta evidente il desiderio della sinistra democratica di fornire dei modelli identitari sui quali edificare il nuovo stato in contrasto con le istituzioni vigenti. L’esercizio della memoria in chiave repubblicana ebbe quindi un chiaro significato educativo e propagandistico capace di rafforzare i legami di gruppo e di offrire un modello di riferimento per la nazione. Non necessariamente le società operaie si mostravano in contrasto con le istituzioni governative e con la monarchia pur operando nel contado bolognese dove l’influenza dell’Operaia si faceva sentire, in una provincia più sensibile di altre alle proposte delle correnti radicali. Nel corso dei mesi si registravano maggiori tensioni tra le forze sociali e politiche bolognesi e degli “insoliti movimenti” da parte di quest’ultime. La Società Operaia era sempre molto attiva e cercava di stabilire contatti con altre formazioni dell’area democraticoliberale, come nel caso dell’Unione Liberale fondata nei primi mesi del 1866 con un programma monarchico-costituzionale. Ad essa aderì per breve tempo, insieme ad altri esponenti dell’Operaia, anche Giuseppe Ceneri, docente di diritto romano all’Università di Bologna, per poi passare su posizioni di sinistra e dare vita, l’anno successivo, all’Unione Democratica.

A questa situazione si aggiungevano poi le manovre del partito clericale sempre pronto a sfruttare le difficoltà del governo grazie anche ai suoi numerosi contatti trasversali tra la popolazione cittadina e il contado. Oltre la crisi economica e finanziaria si registravano le difficoltà per la riscossione dell’imposta sulla ricchezza mobile che molti operai e lavoratori si rifiutavano di pagare e per l’applicazione della leva militare in vista della guerra contro l’Austria. La popolazione era inquieta per la crisi generale e si mostrava sensibile alla propaganda delle parti più estreme dello schieramento politico. In un rapporto sulle condizioni politiche della provincia di Bologna troviamo una significativa analisi del periodo che stiamo trattando:

"Al grido di guerra all’Austria, al quale unanime rispondeva la Nazione, scomparivano le gare e le dissensioni fra gli uomini che in Bologna rappresentavano i diversi partiti: quello d’azione scompariva per fondersi intieramente colla gran maggioranza liberale governativa, appoggiandone la politica e i provvedimenti. Il Partito repubblicano non ha capi ed anzi si può asserire non esista a Bologna, e se pure vi sono individui che ne accetterebbero i principi sia per lo scarso loro numero, sia per la nessuna influenza che vi esercitano, passano inosservati. Tutta la opposizione al Governo Nazionale dal partito clericale deriva: numeroso qui più che altrove perché dominò sovrano, interessato alla restaurazione del potere temporale dei papi per proprio vantaggio e per devozione antica osteggia e reagisce a danno delle libere istituzioni […]. Che però sia il solo partito pericoloso in Bologna lo dimostra l’attività che spiega nella Provincia. Il maggior numero dei giornali di Bologna erano reazionari; gli opuscoli religiosi, le pubblicazioni straordinarie clericali immondavano la Città e la Campagna."(38)

Il rapporto si concludeva con un commento fin troppo ottimistico sulle condizioni dello spirito pubblico rappresentando una popolazione del tutto tranquilla, ligia ed obbediente “a tutte le disposizioni governative” impegnata totalmente nella battaglia che la nazione stava sostenendo per il completamento dell’unità, piena di entusiasmo per il re e per i volontari impegnati nella ennesima prova di un Risorgimento ancora in atto. Il questore nel suo slancio emotivo non poté trattenersi dal considerare il popolo di Bologna come il migliore al quale si potesse aspirare. Tuttavia la realtà doveva essere un po’ meno rosea di quanto descritto in quelle carte. La provincia di Bologna aveva visto un notevole sviluppo del movimento operaio e democratico che di lì a poco, nel biennio 1867-1868, avrebbe sostenuto con forza le lotte contro il carovita e la tassa sul macinato.

1.2 Un’azione comune: nasce l’Unione Democratica | Il 1867 è un anno importante per le forze democratiche bolognesi che di fronte alle difficoltà economiche del momento cercavano di organizzarsi. A queste si aggiungeva ora la crisi del governo Ricasoli dovuta al fallimento del suo progetto per la soluzione dei rapporti politici e finanziari con la Chiesa, fortemente contrastato dai partiti democratici. Ne seguirono in primavera nuove elezioni politiche caratterizzate da una lotta molto accesa fra moderati, liberali e democratici ed un’ampia mobilitazione specie in Emilia.(39) A Bologna i democratici dell’Operaia promossero un comitato elettorale per sostenere la candidatura di Ceneri, contro il moderato Minghetti. In primavera alcuni esponenti dell’Unione Liberale tra cui lo stesso Ceneri e Carducci decisero di dare vita ad una nuova associazione l’Unione Democratica vicina alle posizioni della sinistra repubblicana e radicale. Il programma veniva presentato su «L’amico del Popolo» il 12 maggio 1867 con qualche accenno retorico che richiamava lo stile dello stesso Carducci: “Voglia il buon destino d’Italia – si leggeva nel prologo – che quel programma sia completamente messo in atto [...] Bologna fra le cui mura vide per la prima volta la luce il tricolore vessillo della comune redenzione [...]”.(40) L’Unione Democratica era propriamente un’associazione politica e il suo statuto non prevedeva attività mutualistiche. Nelle intenzioni dei promotori e dello stesso Filopanti la nuova organizzazione avrebbe dovuto garantire quell’azione politica necessaria a far avanzare le idee e gli obiettivi delle forze popolari permettendo all’Operaia di riprendere la sua funzione di SMS. Le mutate condizioni socio- politiche richiedevano l’adozione di nuovi strumenti come la cooperativa e il partito, utili a sostenere l’azione operaia; il sodalizio, nel caso dell’Operaia, avrebbe continuato ad essere l’elemento centrale di un sistema differenziato di organi.(41) Tuttavia ciò non le aveva impedito di assumere temporaneamente anche un ruolo politico in attesa di affidare ad altri questa incombenza. Quindi nella fondazione dell’Unione Democratica Filopanti intravedeva la realizzazione di questo progetto e la possibilità per l’Operaia di riprendere il suo ruolo di sodalizio.

Nel biennio 1867-1868 si avviava una stretta collaborazione tra le due società: spesso svolgevano insieme le loro riunioni, nella comune sede di via Vinazzetti a Bologna, sostenendo i loro candidati sia in Parlamento (Ceneri) che al Comune (Filopanti). In una lettera di Filopanti al vicepresidente Bignami, del gennaio 1868, scritta in occasione delle sue momentanee dimissioni, possiamo cogliere bene il senso di quella “missione” che aveva guidato le scelte della società fino ad allora e che per certi aspetti la formazione della Democratica imponeva ora di cambiare:

"Quando non vi era in Bologna alcuna Società appositamente costituita per tutelare e propugnare gl’interessi popolari, io non esitai ad invitare di tempo in tempo, benché assai di rado, l’assemblea della società Operaia a qualche soscrizione o pubblica dichiarazione in senso politico. Ora che esiste o deve esistere, una Società Democratica, toccano a lei più direttamente quelle parti che qualche volta, in via eccezionale, toccarono a noi della Società Operaia, non solo per sostenere il decoro e gli interessi del ceto operaio, ma dirollo apertamente, anche per mantenere il decoro di Bologna, il cui spirito liberale era allora addormentato; ed io credo di aver fatto il mio dovere contribuendo a risvegliarlo anche con quei mezzi. Ora che non c’è più bisogno, o ce n’è meno, potrete più esclusivamente di prima attendere ai due principali ed essenziali scopi della vostra istituzione, il mutuo soccorso e l’istruzione."(42)

Il programma della Democratica non rappresentava una novità ma riprendeva sostanzialmente quello del Partito d’Azione i cui punti fondamentali possiamo riassumere di seguito: unità nazionale, Roma capitale, divisione dei poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario, libertà di coscienza, di associazione, di riunione, di culto, di istruzione, di scambio, del lavoro, del credito, libertà civile e politica degli individui, suffragio universale, istruzione elementare gratuita ed obbligatoria, trasferimento allo stato dei beni della Chiesa e loro utilizzo per il benessere del popolo. Le due società bolognesi invitavano i loro soci a partecipare non soltanto alle loro attività ma anche alla vita politica del paese sia attraverso le iniziative promosse che in occasione delle competizioni elettorali; in questo caso sollecitavano i pochissimi elettori – cui la legge riservava il diritto di voto (quasi il 3 % della popolazione, a Bologna circa 3000 persone su 100 mila abitanti) – a votare per i loro candidati impegnati a sostenere la battaglia per il suffragio universale che da quel momento sarà la parola d’ordine dello schieramento democratico. Lo stesso Garibaldi l’avrebbe posta al centro del programma della Lega della Democrazia qualche anno più tardi.

Come nelle altre formazioni democratiche del tempo anche nelle due associazioni petroniane si avvertiva l’influenza della massoneria, ancor più accentuata dalla chiusura delle logge bolognesi avvenuta proprio quell’anno. Filopanti e Ceneri,43 presidenti rispettivamente dell’Operaia e della Democratica erano anch’essi legati alla massoneria e la loro azione contribuì a sviluppare nelle due organizzazioni alcuni principi base della libera muratoria: libertà, democrazia, internazionalismo, educazione ed istruzione popolare, suffragio universale.(44) I segnali di un rinnovato impegno e di una ritrovata consapevolezza, dovuta anche grazie all’apporto della nuova associazione Democratica sembravano sempre più evidenti. Proprio in quel periodo la Società Operaia cercò di proiettarsi oltre il proprio orizzonte politico stabilendo, per la prima volta dei contatti con i movimenti internazionalisti, espressione di un nuovo modello organizzativo del mondo operaio e della democrazia europea. Sarà infatti il marchese Sebastiano Tanari a rappresentare l’Operaia e l’omologa società di Bazzano prima al Congresso dell’Internazionale a Losanna (2-7 settembre 1867) e poi, pochi giorni dopo, insieme a Filopanti, al Congrès della pace di Ginevra (9-12 settembre) presieduto dal generale Garibaldi.(45) Nel primo caso si trattò di una partecipazione poco più che formale seppure significativa mentre invece, nel consesso pacifista, la presenza delle società bolognesi fu più incisiva anche grazie all’intervento di Ceneri, delegato della Democratica, tra i più apprezzati del Congrès. Nel suo discorso ribadì che quella assemblea avrebbe dovuto rivendicare: tutte le libertà individuali e politiche, l’abolizione delle armate permanenti e del papato, l’armonia degli interessi economici, il benessere del popolo, il miglioramento della sorte delle classi operaie. Ogni nazione avrebbe dovuto collaborare per realizzare il regno della democrazia: “vi si dovesse pur anche arrivare colla rivoluzione, se questo è l’unico modo di far trionfare il diritto”.(46) Il programma dell’Operaia per l’occasione era tutto incentrato sulla lotta al dispotismo e sul compimento dell’unità nazionale, come si può leggere in una lettera di Filopanti a Garibaldi alla vigilia del congresso:

"I nostri rappresentanti [Caldesi e Tanari] hanno per ispeciale istruzione di appoggiare la condanna di tutte le guerre dinastiche, di tutte le guerre di conquista e di ambizione, ma in pari tempo di sostenere la legittimità delle guerre aventi per oggetto la difesa della patria o la rivendicazione della sua legittimità od integrità de’ suoi conculcati diritti, qualora non siavi sventuratamente altro mezzo di farli prevalere."(47)

La lettera come le parole di Ceneri riportavano i voti e le aspettative di un ampio settore della società del tempo, erano l’espressione delle rivendicazioni delle classi popolari che le due associazioni bolognesi intendevano rappresentare in seno alla rivoluzione italiana e nella prospettiva europea di una federazione di stati democratici. In questo senso si può cogliere la modernità delle due società petroniane. Allo stesso tempo l’Operaia continuava la sua attività di raccordo tra le forze democratiche impegnandosi alla formazione di una nuova organizzazione l’Associazione Unitaria Emancipatrice allo scopo di promuovere un fronte comune tra mondo del lavoro e ceto medio, ossia tra democratici e liberali moderati. La mancanza di documentazione diretta, proveniente dagli archivi dell’Operaia, per il periodo in esame, ci ha spinto ad utilizzare altre fonti, in particolare, le carte delle autorità di polizia, piuttosto numerose per il biennio 1867-1868, a dimostrazione del livello di attenzione riservato alle due società bolognesi come ricordato dallo stesso Maragi nel suo testo. Nei primi mesi del 1867 si era registrato un incremento delle tensioni sociali che le stesse autorità confermavano nelle loro note di servizio: “Lo spirito pubblico di questa popolazione non fu mai sotto il presente Governo, agitato come ora mentre alla crisi finanziaria, al caro dei viveri e alla mancanza di lavoro si associa lo scioglimento della Camera”. In queste circostanze – continuava la nota – l’opinione pubblica più che sorpresa per l’accaduto appariva incerta per il suo futuro e di conseguenza mormorava “contro i reggitori della pubblica cosa”.(48)

In vista delle elezioni si segnalavano riunioni di una apposita commissione dell’Operaia per la scelta dei candidati per la circoscrizione di Bologna.49 Tra i componenti troviamo anche Torquato Uccelli, membro anche della neonata Unione Democratica di Ceneri. Negli argomenti posti all’ordine del giorno si indicava: 1) Roma Capitale d’Italia; 2) cessione del Trentino e dell’Istria; 3) cessione di Savoia e Nizza; 4) rielezione di tutti i vecchi deputati. La lotta politica risentiva del clima di tensione e si assisteva al confronto dei due candidati al seggio parlamentare, riscontrando un forte entusiasmo nelle “città di campagna” per le posizioni del candidato democratico (Ceneri) mentre a Bologna, il moderato Minghetti riuscì a vincere per soli 9 voti sul giurista bolognese. Secondo le carte della questura il partito d’azione faceva registrare “un’epoca del tutto nuova a Bologna” mostrandosi compatto, numeroso e rafforzato avendo saputo sfruttare il malcontento generale causato dall’aumento delle tasse, (in particolare quella sulla ricchezza mobile) dalla mancanza di lavoro e dalla crisi politica.(50) Regolarmente continuavano anche gli incontri pubblici sui vari argomenti presso la sede di via Vinazzetti; si ricorda una lezione di Storia dell’Arte Moderna e Letteratura del 28 marzo ‘67; un’altra, ad aprile, sullo “Statuto” non meglio specificato, lasciando aperto il dubbio se si intendesse quello della Società o la carta fondamentale del Regno.51 Nello stesso mese si era tenuta una numerosa assemblea di circa 100 studenti universitari presieduta da Filopanti che stando alla nota informativa per il questore 52 aveva suscitato non poche apprensioni. Come per tutte le riunioni dell’Operaia questi aveva predisposto la necessaria sorveglianza.(53) Nel maggio 1867 a conferma della partecipazione del sodalizio alle questioni internazionali veniva proposto un saluto alle società operaie di Berlino e Parigi in cui si sottolineava l’importanza del “Trattato di Pace” che assicurava all’Italia una certa neutralità nelle questioni politiche tra Francia e Prussia.(54) L’Italia aveva partecipato l’anno precedente alla guerra contro l’Austria a fianco delle armate prussiane; nella primavera del 1867 si era aperta una crisi tra Napoleone III e Guglielmo I a causa del Lussemburgo che l’Olanda aveva deciso di vendere alla Francia. La conferenza di Londra, decise per la neutralità del piccolo stato sventando in questo modo la minaccia di una guerra tra le due maggiori potenze europee; ma nel frattempo la crisi aveva già provocato una vasta mobilitazione internazionale dalla quale uscirà la proposta dei francesi Lemonnier e Mangin per un grande congresso democratico, da tenersi a Ginevra nel mese di settembre, che in nome della pace proponeva un modello federale per l’unità politica europea.

Nel corso della seduta si affrontarono anche altri argomenti; già allora ci si impegnava per una robusta difesa del lavoro nazionale, qualcuno, infatti, faceva presente che non venissero cedute le imprese dello stato “agl’Esteri”, valorizzando così le produzioni fatte in Italia. Successivamente fu pronunciata una netta condanna del progetto del ministro delle Finanze Francesco Ferrara sull’introduzione della tassa sul macinato. Questo tema diventerà un cavallo di battaglia durante l’anno e ancor più nel 1868, fino ai primi mesi del ’69, in concomitanza con le molteplici manifestazioni e tumulti scoppiati nel paese e in modo più grave nelle province emiliane. Tra i vari intervenuti c’era pure chi proponeva di accettare quella proposta “allo scopo di far nascere una guerra civile”, ma secondo l’autore del rapporto la maggioranza era di opinione diversa. Anche «L’Amico del Popolo» si associava alla lotta contro la politica fiscale del governo e la tassa sul macinato. Il giornale conduceva una sua battaglia contro la “casta” del tempo che individuava fra quelle legioni di impiegati “che si beccano migliaia e migliaia di lire all’anno senza far nulla”; ad essa apparteneva – secondo il giudizio del quotidiano – lo stesso ministro delle Finanze reo di essere assurto alla carica di deputato soltanto grazie al suo ruolo di ministro non essendoci mai riuscito prima, nei sette anni precedenti, quando era soltanto un “semplice” consigliere della Corte dei Conti. Più avanti l’articolo elencava i provvedimenti del ministro Ferrara che occorreva contrastare con tutte le forze: l’aumento della tassa fondiaria e della ricchezza mobile, il dazio di consumo, la promessa dell’abolizione del corso forzoso della carta moneta, adottato l’anno prima, pur di lasciare al clero il patrimonio della Chiesa che, secondo lo stesso ministro, corrispondeva ad una ricchezza di ben due miliardi e quattrocentomila franchi che, affermava l’autore, “debbe essere restituita alla Nazione”.(55) La richiesta dell’introduzione della tassa sul macinato aveva suscitato nel giornale reazioni ancor più vivaci. In un articolo del 16 maggio si ricordava al ministro che neppure “l’onnipossente” Napoleone riuscì a mantenere questa tassa per le “gravissime turbolenze e il brigantaggio che aveva a suo tempo provocato” e ammoniva il ministro dal riproporla: 

"Noi ve lo prediciamo fin da ora; la sua attuazione porrebbe il colmo alla misura già trabboccante della pubblica indegnazione! L’Italia si vede dissanguata, smunta, scorticata fino all’osso; vede le sue sostanze dilapidate disperse senza che almeno le si dica dove e come; vede imminente il fallimento, eppure paga e sta zitta. Paga e sta zitta perché ricorda ancora gli stenti sofferti, il sangue versato a farsi forte e unita [...] ma la pazienza umana ha un limite, e una sola scintilla può bastare a far divampare un incendio che Dio solo sa, quanto sangue occorrebbe per spegnere."(56)

Anche Cattaneo si univa alla campagna del giornale contro la tassa sul macinato con una lettera pubblicata qualche giorno dopo, il 30 maggio, con la quale si associava alle critiche a Ferrara, reo di voler introdurre la nuova tassa già ideata qualche anno prima da Quintino Sella.(57) Per fare fronte alle difficoltà del bilancio statale la tassa sul macinato divenne legge nel luglio 1868 (ministero Menabrea) con la promessa che sarebbe rimasta in vigore fino al raggiungimento del pareggio di bilancio, cosa che avvenne nel 1880, con il governo Cairoli. La riscossione della tassa era stata affidata ai mugnai proprietari o gestori dei mulini che attraverso un misuratore dovevano verificare la quantità di cereali macinati ed incassare, oltre al costo del sevizio di macinatura, anche il sovrapprezzo per la tassa. In merito alla partecipazione al Congresso della Pace di Ginevra i rapporti di polizia segnalavano due importanti riunioni avvenute l’8 settembre ed il 13 ottobre 1867. Nella prima, tenutasi alla vigilia del Congrès pacifista, si riferiva il disappunto di Filopanti per non aver ricevuto dall’Operaia i mezzi necessari per recarsi a Ginevra, nella seconda, il professore budriese parlò del Congrès alla presenza di 70 soci, compreso lo stesso Ceneri che in quell’occasione non prese la parola. È da ricordare infatti che il 21 settembre si era già tenuta presso il Liceo Musicale un’assemblea generale dell’Operaia e della Democratica per ascoltare la relazione del prof. Ceneri di ritorno da Ginevra.(58) Nello stesso periodo si intensificarono i contatti tra le forze democratiche; l’Operaia partecipò ai progetti del Generale per organizzare la campagna contro lo Stato pontificio. In una riunione si fece presente questa situazione e si accennò al fatto che le operazioni erano già iniziate con il passaggio oltre confine di 20 mila fucili, ma per gli arruolamenti si attendevano ulteriori notizie.(59)

Alla campagna dell’Agro romano avviata dal Generale al ritorno da Ginevra presero parte numerosi soci delle due associazioni bolognesi tra cui: Belluzzi, Uccelli, Caldesi, Ceneri e Filopanti; quest’ultimo non più giovane, si distinse nella conquista di Monterotondo avvenuta anche grazie ai suoi piani militari. In seguito all’arresto di Garibaldi a Sinalunga, fu convocata un’assemblea straordinaria dell’Operaia “per trattare cose urgentissime” cui parteciparono duecento soci. L’assemblea, presieduta dal Bignami, voleva proporre una mozione di protesta contro l’arresto del Generale del tipo di quella approvata dalla consorella società Democratica. La notizia del rilascio di Garibaldi fece poi desistere da questa iniziativa e si decise di sciogliere la seduta tra i numerosi “evviva” in suo onore.60 Nella citata riunione del 13 ottobre furono devolute 200 lire a favore dei volontari feriti nella campagna per Roma; inoltre, in merito a tale argomento il Filopanti “disse di non fare arruolamenti per non compromettersi presso la Polizia” ed era preferibile che ogni volontario si recasse da solo, alla spicciolata, sul confine romano. In merito alla campagna dell’Agro romano intrapresa da Garibaldi subito dopo il suo ritorno dalla Svizzera, ricordiamo un episodio del tutto sconosciuto ai più, riguardante la partecipazione del Ceneri a quella spedizione. Ceneri arrivato a Ginevra in compagnia del Generale, lo seguì poi nella sfortunata impresa dimostrando la sua completa adesione allo spirito che aveva dominato il Congrès pacifista di Ginevra, ove, è bene ricordarlo, alle guerre nazionali era riconosciuta una certa legittimità, espressione della necessaria lotta contro il dispotismo e la reazione, modelli che si riferivano alle formazioni statali d’ancien regime. Il prof. Ceneri coerentemente con le affermazioni fatte dalla tribuna di quel congresso – per le quali fu inizialmente accusato dal ministro Broglio di attività antimonarchica e condannato, poi, a quattro mesi di sospensione dall’insegnamento, per aver partecipato con Carducci ad un banchetto per celebrare la Repubblica romana – si portò ai confini del Lazio per partecipare alla conquista dello Stato pontificio. La sua presenza a Monterotondo e Mentana viene ricordata in varie pubblicazioni, tra cui la voce dedicata a Giuseppe Ceneri del Dizionario Biografico degli Italiani, confermata anche da testimonianze dei volontari, come ad esempio nel testo di Pietro Delvecchio, in cui l’autore ricorda l’arrivo di Ceneri al santuario francescano di S. Maria delle Grazie, presso Scandriglia, la sera del 22 ottobre 1867. (61)

L’avventura romana del giurista bolognese, diversamente dalle notizie che conosciamo, sembra però essere segnata da un retroscena. Lo stesso Delvecchio, anche lui reduce da Ginevra, ricorda con piacere e rispetto l’arrivo del professore: “nobilissimo per cuore, d’ingegno eletto, chiaro per fatti egregi, noi eravamo orgogliosi di averlo per compagno.” Racconta, poi, invece, come egli “assalito da fiero male”, era stato costretto a lasciarli: “Io non lo rividi più. So però che prese parte alla bella fazione di Monte Rotondo”.(62) È probabile che questa sua testimonianza sia servita per confermare la presenza di Ceneri nei luoghi più nevralgici della spedizione romana. Nel contempo essa ci informa della sua improvvisa scomparsa dalla scena. L’autore del presente saggio ha rinvenuto nel corso della ricerca una lettera, o meglio una “memoria” – così è intestata dall’autore – che acquista un particolare significato documentale proprio perché aiuta a chiarire i dubbi sulla presenza di Ceneri in quei luoghi e in modo
specifico sulla sua vicenda personale legata a quell’esperienza. La missiva di Torquato Uccelli – inviata a Raffaele Belluzzi,(63) socio della Unione Democratica, ben trentadue anni dopo i fatti (1899) – è utile a far chiarezza su un episodio personale di Ceneri, in merito alla partecipazione alla battaglia di Mentana, a cui senza indugio aderì entusiasticamente, sebbene il “fiero male”, citato da Delvecchio e opportunamente svelato nella lettera, gli impedì poi di combattere. Di seguito la lettera in questione(64):

"Lì 5 dicembre 1899. Ill.mo Sig.r prof. Raffaele Belluzzi. Memoria. Negli ultimi giorni del mese di ottobre del 1867, essendo un componente del Comitato bolognese per la campagna di Mentana per liberare Roma dal dominio del Papa fui incaricato di recarmi sul posto per diverse incombenze relative al movimento. Prima di partire la moglie del Prof. Giuseppe Ceneri sig.ra Luigia Maccaferri mi disse che suo marito trovavasi già incorporato nelle legioni guidate dal Generale G. Garibaldi, mi pregò di cercare il prof. Ceneri perché sapeva essere egli infermo. Io che gli volevo molto bene, gli promisi che ritrovandolo glielo avrei accompagnato a casa sua. Infatti partito alla volta del campo di azione arrivato che fui a Terni cominciai (dopo avere eseguite le mie mansioni) a farne ricerca e seppi dal Colonnello Vincenzo Caldesi(65) che veramente il prof. Ceneri era infermo materialmente e moralmente, che lo aveva veduto ma che non sapeva dove fosse. Allora cominciai a prendere informazioni dove trovavansi degli alloggi e dopo molte ricerche lo trovai. Mi presentai a Lui che trovavasi in una brutta casa di Terni il quale appena mi vide mi abbracciò e baciò e mi chiese come io mi trovassi in quella casa allora io gli dissi: so che Lei è infermo per cui ho promesso a sua moglie di condurlo a casa. Lui fece molte osservazioni e resistenze, perché voleva proseguire la campagna, ma finalmente cedette al mio desiderio ed a quello della famiglia, e così si decise di partire la sera stessa. Alla stazione di Terni prese un biglietto di prima classe per Bologna per me e per Lui. Giunti che fummo a Perugia non volle più proseguire e disceso alla stazione domandò al Capo Stazione se il biglietto per Bologna sarebbe stato buono anche per il mattino, avendo avuto la risposta negativa ciò non lo distolse dal suo proposito e volle pernottare a Perugia, arrivati che fummo in albergo gli chiesi perché di questa sua fermata; allora Egli mi fece questo racconto: “In una notte che ero in marcia per la campagna romana un milite che mi era addietro dicendo il mio nome disse: che è venuto a far qui quel gesuita? Io non parlai ma mi rimasi molto addolorato arrivati in una stalla ove eravi della paglia, ivi facessimo alba per riposare nel corso della notte: ma prima del giorno il medesimo individuo si presentò davanti alla porta e col fucile spianato mi minacciò e questo fatto mi produsse tale impressione da procurarmi tanto male che non so il perché mi fu tolto il mio revolver e si mi sono fermato qui, è che la medesima persona si trovava nel nostro compartimento lungo il nostro viaggio – alla sera sortimmo per la città e voleva cercare un amico per avere un revolver io lo dissuasi e cosi andassimo [sic] all’albergo ove passò una notte agitatissima ma io non lo abbandonai un momento. Alla mattina col primo treno partissimo per Bologna ma Lui temeva di non arrivarci, e tanta era la sua impressione che giunti che fummo a Casalecchio io indicandogli il Santuario di S. Luca gli dissi e persuaso ora di essere a Bologna, e Lui mi rispose: caro Uccelli ancora non ci siamo arrivati”. Arrivati a Bologna lo condussi e lo consegnai alla sua buona moglie. E tutto questo è la pura verità. Suo Dev. mo Aff. Mo, Torquato Uccelli".

La presente memoria, al di là del suo significato documentale, è in grado di mostrarci anche taluni aspetti paradossali collegati alle esperienze di quegli anni. Ceneri, tra i relatori più acclamati al Congrès ginevrino, passò infatti dall’entusiasmo della città svizzera ad una sorta di prostrazione in seguito alle accuse e alle minacce di un commilitone in camicia rossa, al punto che gli fu impossibile continuare la sua missione. Pertanto, il documento in questione riesce ad evocare in noi, anche con una certa forza, quella scena ove il protagonista appare “infermo materialmente e moralmente” per la paura di essere ucciso, non già da una palla zuava o dai fucili chassepot dei francesi, come sarebbe lecito immaginare, bensì dagli eccessi di un “garibaldino”. Dopo la sconfitta di Mentana le forze democratiche subirono un grave contraccolpo dovuto alla riaffermazione delle prerogative del governo moderato e della corona. Alle gravi condizioni del paese si sommava un certo autoritarismo delle istituzioni poco inclini ad affrontare le questioni sociali e politiche del nuovo stato unitario; in questo modo si crearono le premesse per uno scontro che non tardò a manifestarsi, già sul finire dell’anno e poi, più diffusamente, nella primavera successiva, con numerose manifestazioni e sommosse legate alla crisi economica e alla tassa sul macinato. La situazione intorno all’Operaia si faceva sempre più pesante; erano mutate le condizioni politiche e sociali come anche l’atteggiamento delle autorità nei suoi confronti. Domenica 13 dicembre, si era tenuta una riunione con circa 80 soci durante la quale Filopanti, da poco rieletto alla presidenza, con “parole caldissime accennava ai continui motivi di malcontento” causati dalla cattiva gestione amministrativa sia del governo che del comune.66 “In tale condizione – continuava il professore secondo la nota di polizia – si sarebbe costretti ad abbracciare una rivoluzione, cosa però invero assai difficile a causa della debolezza del partito rivoluzionario al quale mancava il sostegno della “classe agraria”, ovvero delle masse contadine”.

Un mese dopo il procuratore di Bologna apriva una procedura giudiziaria nei confronti di Caldesi e Filopanti “per i propositi tenuti in seno della Società Operaia”.(67) Di fronte alle pressioni e alle successive perquisizioni della sede si sollevarono le proteste dei soci e dei dirigenti determinati a coinvolgere anche i deputati democratici in modo da sostenere quella battaglia sin dentro il Parlamento.(68) Alle perquisizioni nella sede dell’Operaia seguirono poi gli arresti di alcuni esponenti tra cui Torquato Uccelli e Giuseppe Bonzi nonché la chiusura della sede. Alla base dei provvedimenti – lo si apprende dai rapporti delle autorità – vi era la convinzione che le due associazioni bolognesi fossero coinvolte in una nuova società segreta mazziniana la Falange Sacra da poco costituita;(69) l’accusa piuttosto grave e tutta da dimostrare, configurava un reato per cospirazione contro la sicurezza interna dello stato e stando alle vicende successive, non trovò accoglimento nel corso del procedimento. Le autorità di polizia operarono diverse perquisizioni nei domicili di vari esponenti, tra cui Quirico Filopanti, Giuseppe Ceneri, Vincenzo Caldesi, Gustavo Sangiorgi, Torquato Uccelli, Francesco Pais, Pompeo, direttore de «L’Amico del Popolo». Nella sede delle due società, in via Vinazzetti, vennero sequestrati i documenti sociali: statuti, circolari ecc. oltre la prova della società segreta: “le istruzioni della associazione criminosa con un autografo di Mazzini”. Tornando poi alla natura delle due associazioni si rilevava nella nota:

"i processi verbali delle sedute, pure sequestrati, addimostrano lo scopo di quelle riunioni tutt’affatto politico e di opposizione al Governo. Lo statuto della Società Segreta ordina che si faccia propaganda mazziniana fra il popolo ed in esecuzione appunto di questa prescrizione si fa propaganda fra gli operai e i proletari che compongono le due società. Come potranno giustificarsi il Sangiorgi e gli altri colpiti da così stringenti risultanze?("70)

In conseguenza dei riscontri effettuati si era più volte invocato l’allontanamento dei due presidenti (Filopanti e Ceneri) dalla città o “altre misure energiche a loro carico”. Nello stesso periodo alcuni esponenti della Società Operaia e della Democratica tra cui Ceneri, Sangiorgi, Pays e Uccelli erano a processo come appartenenti alla società segreta mazziniana Falange Sacra.(71) In una riunione, convocata appositamente per protestare contro quei provvedimenti eccessivi e ingiustificati, si era votato all’unanimità un ordine del giorno con cui si richiedeva la nomina di un giureconsulto “onde procedere contro gl’atti di violazione e d’arbitrio commessi da queste autorità”. Seguiva la richiesta di scarcerazione e di riapertura del locale sequestrato(72). Filopanti in persona protestò per quegli atti illegali compiuti in assenza di un provvedimento ufficiale, inviando una lettera a «L’Amico del Popolo» e a «L’Indipendente»; Ceneri da parte sua, querelò il Prefetto di Bologna Cornero.(73) Venne anche sottoscritta una petizione popolare consegnata poi al deputato Cairoli; questi rivolse una interrogazione al ministro dell’Interno Cadorna il quale fu costretto ad ammettere che erano stati commessi degli abusi da parte del prefetto e delle autorità di polizia. Nel gennaio 1868 il ministro Broglio sospese per due mesi dall’insegnamento i professori: Ceneri, Carducci e Piazza, per aver inneggiato alla Repubblica romana in occasione del suo anniversario, il 9 febbraio 1867. A Ceneri la sospensione fu confermata per 4 mesi mentre Filopanti sospese le sue lezioni per solidarietà con gli altri.

Anche nei confronti della stampa democratica la pressione si era fatta più pesante; già in primavera era stato sequestrato il giornale «L’Eco dell’Operaio» uscito da appena un giorno,(74) ancora, in autunno, la polizia sequestrò per l’ennesima volta «L’amico del Popolo».(75) L’anno successivo, alle due società Operaia e Democratica si aggiunse anche l’Associazione Universitaria. La loro unione rappresentava un vero e proprio sistema nello schieramento democratico bolognese cresciuto per effetto della crisi economica e sociale che da otto anni gravava sul paese; resa ancor più pesante dai costi della guerra del 1866 e dal corso forzoso, la crisi si abbatteva pesantemente su tutti i ceti, impoverendone i redditi e aumentandone i pesi. La situazione si era ulteriormente aggravata negli ultimi mesi del 1867; il ministero Rattazzi, caduto in seguito a Mentana, cercava anch’esso di perseguire politiche restrittive accompagnate da una maggiore imposizione fiscale. Il ministro delle Finanze Cambray–Digny del nuovo governo Menabrea, introdusse nuove imposte compresa quella sulla macinazione dei cereali provocando un vasto moto di ribellione in tutto il paese che dette luogo a gravi tumulti e sommosse con morti, feriti ed arresti soprattutto in Emilia. Al divieto imposto dal questore di celebrare l’onomastico di Garibaldi e di Mazzini, il 19 marzo 1868, le due associazioni bolognesi risposero con una assemblea generale insieme all’Associazione Universitaria e a quella dei compositori e tipografi. L’Unione Democratica il 15 marzo riprendeva le sedute dopo circa un mese di sospensione e in quell’occasione decideva di lanciare una pubblica sottoscrizione tra i soci di 2,50 lire a favore dei poveri della città.76 Di lì a pochi giorni ci furono le dimostrazioni degli studenti dell’ateneo bolognese contro la sospensione dei professori di quella università cui abbiamo accennato.(77) Finalmente, il 25 marzo, nella sede dell’Operaia, alla presenza di circa 150 persone, si tenne una prima riunione sulla controversa tassa sul macinato.(78)

La popolazione bolognese viveva una condizione di disagio economico e sociale ed esprimeva in vari modi la sua avversione alle politiche governative e comunali. In occasione del compleanno del re, il 14 marzo, nessun cittadino aveva esposto alla finestra la bandiera o le luminarie per celebrarlo. Già a febbraio c’erano state le prime manifestazioni di protesta degli allevatori contro il dazio sui suini, troppo elevato; il primo aprile scioperarono i conduttori delle carrozze pubbliche per gli aumenti della tassa comunale sull’attività, imitando così, i colleghi di Milano e Torino, già scesi in piazza nei giorni precedenti; si registrava, inoltre, la volontà del comune di innalzare al massimo le imposte municipali, o, in alternativa, di aumentare le tasse sulle proprietà immobiliari con i debiti rincari degli affitti e le conseguenti difficoltà per la popolazione.(79) Anche gli operai e gli artigiani scioperarono: chiesero aumenti di salario inscenando dimostrazioni e allargando il movimento di protesta. Gli scioperi del 1868 nei grandi centri urbani si differenziavano da quelli degli anni precedenti, in quanto rivelavano la loro capacità ad estendersi da una categoria all’altra di operai creando così le premesse per uno sciopero generale.

A Torino, ai primi di aprile, lo sciopero degli operai dell'Arsenale, che non intendevano pagare l'imposta di ricchezza mobile, si estese ai ferrovieri e ai lavoratori della manifattura dei tabacchi. A Bologna, il 14 e 15 aprile, iniziò lo sciopero generale con la serrata dei bottegai cui si associarono altre categorie di lavoratori, motivati anch’essi, dal rifiuto di pagare quell’imposta oltre che dalla richiesta di ritirare la tassa sul macinato in discussione in Parlamento.(80) La situazione nella città apparve subito grave. Chiusi tutti i negozi, le strade furono invase dai dimostranti, in particolare piazza Maggiore fu il centro della protesta, trasformata poi in tumulto in seguito alle pesanti cariche della truppa che presidiava il centro cittadino. Seguirono numerosi arresti tra cui diversi membri delle due società democratiche: Filopanti, Ceneri, Caldesi, Berti; la sede di via Vinazzetti fu chiusa per diversi mesi. Nel decreto di chiusura dei locali, emanato dal ministro dell’Interno, così se ne spiegavano le ragioni:

"Considerato che nella città di Bologna ebbe luogo nei giorni 14 e 15 del corrente mese uno sciopero di molti operai accompagnato da grida sediziose e da violenze che resero necessario l’uso della forza per mantenere rispetto alla legge e per tutelare l’ordine pubblico. Che a questi fatti diede espressa adesione la Società dei compositori – tipografi, con una deliberazione resa pubblica per le stampe. Che parimenti le società sotto il titolo L’Unione Democratica e Società Operaia, non solo hanno aderito a tali fatti, ma hanno con le loro deliberazioni dichiarato la loro partecipazione ai medesimi, e minacciato la loro continuazione sotto condizioni contrarie alle leggi. Che ciò costituisce una flagrante violazione delle leggi, dell’ordine pubblico ed una minaccia di ulteriori violazioni e turbamenti.(81)

In realtà i fatti sembravano essere andati diversamente in quanto gli arrestati avevano cercato di contenere i tumulti ormai scoppiati nel centro cittadino proponendo anche l’interruzione dello sciopero. Filopanti e Ceneri in qualità di presidenti dell’Operaia e della Democratica presero ad arringare la folla in questo senso:

"Poiché la rivoluzione oggi non può farsi – così ricorda quei momenti il Bottrigari – è nell’interesse della città il soprassedere ed aprire intanto le botteghe sospendendo lo sciopero. La Società operaia e l’Unione democratica si faranno a chiedere con urgenza al Governo la liberazione dei prigionieri. la riforma della legge sulla ricchezza mobile e la ripulsa dell’altre sul Macinato. [...] In caso di rifiuto si tornerebbe allo sciopero."(82)

Oltre ai provvedimenti della autorità i dirigenti delle due associazioni dovettero difendersi anche dalle accuse provenienti dal loro schieramento. In un articolo de «L’Unita Italiana» del 29 aprile, Filopanti, Ceneri e Caldesi venivano attaccati per aver voluto fermare anzitempo la protesta del popolo bolognese. A queste accuse replicava Filopanti asserendo che sia lui che Ceneri, per coerenza, avevano già rinunciato alle loro cattedre universitarie; a maggio poi arrivarono le loro dimissioni dal consiglio comunale accusato, insieme alla Giunta, di non averli difesi nel momento del loro arresto. Nei ricordi di Ceneri rivive l’amarezza per quegli episodi e nello specifico di quel loro arresto provocato a suo dire dalla “peregrina idea che un alto funzionario non ebbe rossore di esprimere, che se noi eravamo stati capaci di sedare il tumulto, voleva dire che noi lo avevamo provocato”.83 Questa opinione era condivisa dallo stesso procuratore di Bologna che ne scrive in una relazione al ministro di Grazia e Giustizia relativa alla riunione delle due società bolognesi con i bottegai:

"Appena saputa la presa deliberazione [la sospensione dello sciopero] le botteghe da caffè, gli spacci di vivande si apersero come per incanto e da questo fatto si ebbe la riconferma del giudizio già prima formato che cioè lo sciopero non fosse una dimostrazione spontanea di tutti, ma un fatto imposto da una minoranza violenta ad una maggioranza debole e senza coraggio."(84)

Ceneri, sconfitto alle elezioni politiche di aprile, contrapposto nel primo collegio a Giacomo Medici, tornerà in consiglio comunale già ad ottobre 1868, grazie al notevole successo ottenuto dai democratici; replicheranno infatti l’anno successivo permettendo di nuovo a Ceneri di battere Minghetti al ballottaggio nel seggio per la Camera.(85) Anche Filopanti poi riprenderà il suo posto come consigliere comunale che conserverà ininterrottamente fin quasi alla sua morte. Alcuni giorni dopo gli arrestati furono rilasciati,(86) compresi i presidenti delle due associazioni; non tardò ad arrivare il ringraziamento del ministro dell’Interno al prefetto di Bologna: “per la fermezza, l’energia e la presenza – citava la nota – che Ella ha spiegato durante i disordini che negli ultimi giorni ebbero luogo in codesta città”.(87) Dalla lettura dei documenti dell’autorità giudiziaria l’operato delle forze di polizia risulterebbe eccessivo se paragonato al gran numero di fermati ed arrestati. Lo stesso procuratore nel suo rapporto comunicava che già il 17 aprile dodici di loro erano stati rimessi in libertà ed altri trenta sarebbero usciti, il 18, questo perché fu assai difficile «per non dire impossibile lo sceverare i veri tumultuanti dai semplici curiosi “e sono per la maggior parte di assai giovane età».(88) A testimonianza della gravità dei disordini occorsi in quei giorni e che colsero di sorpresa le autorità come le stesse società democratiche riproduciamo di seguito il manifesto che il prefetto di Bologna fece affiggere in città dopo i tumulti scoppiati in piazza Maggiore:

"Cittadini Bolognesi. La vostra città che fu sempre modello di quiete e di saviezza fu questa mattina agitata da sintomi e tentativi di disordine, che ebbero per conseguenza la chiusura di quasi tutti i Magazzini pubblici con grave scapito del Commercio e con danno comune a tutti i Cittadini. A far cessare un tale stato di cose il quale mentre mantiene l’agitazione è cagione di gravissimo danno per tutti, io fo appello al vostro senno ed al vostro patriottismo. Non è con tumultuose dimostrazioni che i Cittadini possano vedere soddisfatti i loro bisogni ed esauditi i loro voti. Io vi invito all’ordine, alla calma ed a ripigliare le vostre abitudini. Il Governo vi offre e vi presterà tutta la protezione che vi è dovuta contro coloro che attentino al libero esercizio dei vostri diritti. Io non transigerò col mio dovere. Proteggendo tutti i buoni abitanti di questa Città che si affidano alla tutela del Governo, io procederò secondo le leggi con tutto il rigore verso quelli che volessero continuare a compromettere la tranquillità pubblica e privata. A raggiungere questo compito io faccio assegnamento sul concorso di tutti i Cittadini buoni ed amanti del bene del paese. Bologna il 14 aprile 1868. Il Prefetto Cornero."(89)

1.3 La tassa sul macinato e i moti nelle campagne | Già in primavera, come accennato, la Società Operaia aveva organizzato un’assemblea proprio su quella legge odiatissima dalla popolazione urbana e contadina; ora, in coincidenza con la sua entrata in vigore il ministro dell’Interno Cantelli autorizzava il prefetto Bardesone a restituire le chiavi della sede alle due associazioni democratiche consentendone la ripresa delle riunioni.(90) Il 24 dicembre il ministro inviava ai prefetti un telegramma in cui si coglieva la più viva preoccupazione per le reazioni che la nuova tassa avrebbe suscitato nel paese: "Attuazione legge macinato – vi era scritto – segna momento importantissimo nell'assetto finanziario e politico del regno. Partiti estremi si sforzano di turbarlo, eccitando interessi, passioni, pregiudizi. Spetta ai signori prefetti rendere vana l'opera sovvertitrice col prevenire ogni disordine."(91) L'inasprimento delle tasse e la coscrizione rendeva più acuto il malcontento delle popolazioni contadine rispetto a quelle urbane sebbene quest’ultime pagassero un prezzo più alto alla crisi economica e commerciale in atto; ma in questa situazione anche le sorti dei piccoli proprietari, dei mezzadri e degli affittuari in genere peggiorano visibilmente facendogli rimpiangere i passati governi clericali o quelli delle precedenti dinastie in cui le loro condizioni sembravano migliori. A queste difficoltà vanno poi sommate quelle ancora maggiori della massa dei braccianti agricoli, le cui condizioni di lavoro erano difficilmente equiparate a quelle degli operai urbani. A differenza di questi, che vivevano concentrati in grandi centri, gli operai agricoli erano, invece, molto più dispersi e rimanevano isolati nei numerosi borghi rurali, motivo per cui venivano difficilmente intercettati dai partiti politici e dalle società operaie per far valere la loro forza e resistere ai ribassi di salario come ai prolungamenti di orario di lavoro. Questa categoria di lavoratori era in genere sprovvista di qualsiasi forma di assistenza e previdenza, i cattivi raccolti per loro si traducevano immediatamente in un salario molto più basso.(92) In un clima così instabile dal punto di vista sociale e politico il richiamo al popolo delle campagne da parte delle forze reazionarie e clericali rappresentò, di fatto, un altro elemento di insicurezza che le autorità seguivano con attenzione, temendo l’esplosione di una insurrezione sanfedista in grado di saldarsi al più ampio movimento repubblicano; notizie in questo senso ne abbiamo segnalate nelle pagine precedenti. Allo scopo di evitare contrasti e disordini tra le popolazioni rurali il prefetto emanava già a settembre una circolare ai sindaci dei comuni della provincia bolognese chiedendo "[...] mettere nel suo vero aspetto la natura della imposta suddetta e la larga base su cui essa poggia, e far comprendere come essa sia destinata a far risorgere il credito dello Stato, cui la prosperità generale della Nazione è strettamente connessa, è un rimuovere quegli ostacoli che i nemici del Governo hanno cercato di frapporre all’attuazione della tassa suddetta, è un facilitarne l’applicazione [...]".(93)

Malgrado le buone intenzioni delle autorità già a dicembre si registrarono i primi tumulti tra i contadini del veronese, allargatisi rapidamente poi in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia. A Reggio i disordini avevano provocato dei morti mentre si estendevano anche in altre province. Nei giorni successivi la situazione divenne ancora più grave. In molti comuni i mugnai, incaricati di riscuotere il sopraprezzo sulla macinazione fecero causa comune coi rivoltosi oppure, in altri casi, per il timore di subire minacce e ritorsioni dagli insorti chiusero i loro mulini. A Parma, il 7 gennaio 1869, ci fu un’insurrezione popolare repressa col sangue dalle truppe dell’esercito; in alcuni casi questi tumulti assumevano connotati più politici legati alle lotte dei partiti repubblicani; ad esempio, ad Ancona sui muri della città si trovarono manifesti che invitavano a non pagare le imposte e inneggiavano alla Repubblica.(94) In particolare, per quanto riguarda la città di Bologna, secondo il rapporto del questore, la situazione rimase abbastanza tranquilla con la chiusura di quasi tutti i mulini, mentre nel circondario si registrava “molto fermento”. A Castel Maggiore il primo gennaio 1869, ci fu una dimostrazione contro la tassa, cui seguì un incontro dei dimostranti con il sindaco, allo scopo di richiedere un suo impegno per sospenderne gli effetti.95 In caso contrario i contadini minacciavano di prendere le armi. Altri incidenti si segnalavano a Bentivoglio dove “diversi capi famiglia di Saletto si sarebbero presentati al Mulino Pizzardi facendosi restituire dal mugnaio, Neri Raffaele, la tassa che il medesimo aveva riscosso per grano macinato”. Si richiedevano comunque rinforzi di truppa e di cavalleria per i comuni accennati. Le indicazioni del questore in questi casi erano di usare tutti i mezzi di persuasione possibili con gli autori delle proteste e di impedire le dimostrazioni, infine di procedere con gli arresti e possibilmente trasferire a Bologna i fermati. Seguendo questo modus operandi il 2 gennaio, a S. Giovanni in Persiceto, furono arrestati alcuni mugnai più riottosi che non intendevano riaprire i propri mulini.(96) Tuttavia la situazione degenerò completamente facendo registrare, qui, i fatti più gravi. Duemila contadini invasero gli uffici comunali mettendo a fuoco i locali e i documenti, saccheggiando poi, alcune abitazioni private; la sommossa veniva tragicamente repressa dall’intervento delle truppe e dei carabinieri che lasciarono a terra diversi morti e feriti sequestrando anche un gran numero di fucili. Ne seguirono 251 arresti e molti altri ne venivano sollecitati dai carabinieri di Bologna “poiché – secondo la loro motivazione – se il giorno della sommossa non [fosse giunta] in tempo la forza la città sarebbe stata saccheggiata e incendiata”.(97)

A Medicina il sindaco dopo che ebbe riunito alcuni mugnai del luogo per istruirli sui modi per riscuotere la tassa, questi rifiutarono di “assumere il loro servizio” provvedendo così a chiudere il mulino la sera stessa.(98) In realtà la paura di ritorsioni da parte di alcuni di loro, contrari alla tassa, li constringeva a questi comportamenti. Su alcuni manifesti del municipio di Castel S. Pietro comparvero le proteste contro il mugnaio Molina. Altre manifestazioni si segnalavano con esiti e protagonisti diversi. A Borgo di Pianoro, vicino Bologna, la mattina dell’11 febbraio 1869, un gruppo di 150 donne si presentò davanti la locale stazione dei carabinieri protestando vivacemente contro la tassa sul macinato: “Vogliamo macinare e non vogliamo pagare la tassa, vogliamo aperti i molini oggi stesso perché siamo per morire di fame noi coi figli nostri, altrimenti saremo costrette a fare dei passi inconvenienti per la nostra compromissione”.(99) Altri disordini erano stati segnalati a Bazzano la sera del 7 gennaio, dove una folla tumultuante proveniente dal comune limitrofo di Crespellano si recò presso il castello locale e qui “a viva forza furono estorti tre permessi diretti ad altrettanti Mugnai di quel comune” e veniva ordinato loro di macinare senza riscuotere la tassa appena decisa dal governo.(100) Verso la metà di gennaio le sommosse e le manifestazioni cessarono quasi completamente facilitando gradualmente il ripristino delle ordinarie attività lavorative e sociali oltre a una più regolare applicazione dell’imposta. Di conseguenza anche i provvedimenti eccezionali che erano stati adottati per fronteggiare le numerose sommosse verificatesi nel paese, come anche nella provincia bolognese, venivano attenuati a seguito delle osservazioni espresse dalle autorità politiche e militari già un mese dopo quegli episodi. In questo senso infatti si esprimeva il generale Raffaele Cadorna, cui era stato affidato l’incarico di ristabilire l’ordine nelle province emiliane, – in un rapporto per il prefetto di Bologna a metà di febbraio 1869.(101)

Moti e dimostrazioni si erano registrati in numerose altre province italiane tra cui: Cuneo, Verona, Pavia, Cremona, Piacenza, Modena, Lucca, Arezzo. Anche se il meridione era stato meno toccato dal problema in quanto già nei passati regimi quelle popolazioni avevano subito la tassa sul macinato; alcuni centri del mezzogiorno furono ugualmente coinvolti nei disordini come Potenza, Trani, Molfetta, ed anche alcuni comuni dell'Abruzzo e delle Calabrie.(102) Complessivamente gli effetti dei moti furono molto pesanti. Nella sola Emilia morirono 26 contadini; i feriti, tra contadini e militari, furono 55; nel solo circondario di Bologna, erano state arrestate 1.127 persone.(103) Sempre in Emilia furono istruiti 129 processi con 2.226 imputati di cui più della metà erano braccianti e giornalieri e per un quarto mezzadri. Secondo le statistiche pubblicate su alcuni giornali del tempo ci furono 257 morti in tutta Italia, 1099, feriti e 3.788 arrestati.(104) Scorrendo queste cifre risalta fortemente la dimensione contadina della rivolta che non coinvolse minimamente i centri urbani rimasti per questo colpevolmente inattivi e distanti. Nelle campagne, invece, i contadini che pur mancavano di nuclei di organizzazione, unendo le forze di tre o quattro paesi vicini, agirono poi di conseguenza, disarmando in qualche caso la guardia nazionale e procedendo a disordini e violenze. Ai fatti seguirono poi le polemiche, alimentate sui giornali democratici e clericali che investivano direttamente anche le testate ministeriali. Le accuse maggiori erano indirizzate ai democratici e al Partito d’Azione che i detrattori sia governativi che reazionari vedevano come gli istigatori dei moti in realtà finalizzati alla instaurazione della repubblica, come abbiamo potuto leggere anche in varie relazioni di polizia. Ma probabilmente mancò proprio questo tipo di apporto che forse collegato ad un programma più ampio di riforme avrebbe permesso il coinvolgimento delle masse contadine analfabete e isolate nei ranghi di un partito o movimento che allora risultava come il più avanzato dello schieramento politico e sociale. D′altronde conosciamo i limiti e i problemi del Partito d’Azione e di Mazzini nei confronti della questione sociale e contadina in particolare, e ancora di più, la sua diffidenza per le rivolte nelle campagne che considerava – non a torto – una forma di ribellione antimoderna. In effetti fu questa l’impressione che se ne trasse: il tentativo di dare soluzione ad un problema fiscale ed economico attraverso il metodo della rivolta nel tentativo di far cancellare quell’imposta così odiata. Malgrado alcuni sporadici tentativi di coinvolgimento delle categorie contadine alla vita politica sociale, come il caso testimoniato della Società Operaia, queste rimanevano fondamentalmente estranee a qualsiasi ipotesi di riforma e di programma politico; quindi sprovviste di strumenti organizzativi si rivolgevano, gioco forza, verso forme elementari di affermazione politica che aveva nella violenza e nella resistenza al potere la sua ragione d’essere. La scelta di questa opzione del resto era certamente suggerita, e in molti casi strumentalizzata, da quelle forze clericali e reazionarie, sempre ben disposte a sfruttare il risentimento popolare per inseguire velleitari progetti di ritorno a governi regionali e assolutistici.

L’avvento dell’Internazionale operaia come anche delle prime associazioni socialiste che proprio in quegli anni si stavano diffondendo in Italia, permise anche alle masse contadine di aspirare ad un miglioramento della propria condizione che le emancipasse dal mero sfruttamento semi-servile, per raggiungere quel riconoscimento sociale del lavoro in un contesto statale rinnovato. Nel panorama bolognese, che abbiamo cercato qui di delineare, queste posizioni arriveranno negli anni successivi, intorno agli anni Settanta, quando si formeranno i primi nuclei socialisti con Bignami, Costa ecc. Nel frattempo l’azione delle società democratiche continuerà ad essere preziosa anche se circoscritta ad una funzione di servizio con un programma riformista che non trovava applicazione nella politica di governo. Diversamente, invece, la società napoletana Libertà e Giustizia – probabilmente a causa dell’influenza del rivoluzionario russo Michail Bakunin, come anche per il peso dell’eredità di Pisacane – aveva già maturato una maggiore attenzione nei confronti della questione sociale e del mondo del lavoro ed in particolare delle classi contadine che Bakunin stesso aveva posto al centro del suo progetto di radicale cambiamento sociale.

Fabrizio Fabrizi

Pubblicato su Giornaledistoria.net, registrazione n° ISSN 2036-4938. Contenuti pubblicati con licenza Creative Commons Attribution- NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International (CC BY-NC-ND 4.0). Note | (1) Alla costituzione della società parteciparono 208 persone tra operai e cittadini. M. Maragi, Storia della società operaia di Bologna, Imola, Galeati, 1970, pp. 25-27. (2) Ivi, p. 32. (3) A. Ravà, Storia delle associazioni di mutuo soccorso e cooperative nelle provincie dell'Emilia, Zanichelli, Bologna 1873, pp. 9-10. (4) Ivi, Introduzione, pp. 3-4. (5) Statistica del Regno d’Italia, Società di mutuo soccorso. Anno 1862, Torino, Tip. Letteraria, 1864; Statistica delle società di mutuo soccorso, Roma, Regia Tipografia, 1875; Cfr. E. Arioti, Un sondaggio sugli archivi delle società di mutuo soccorso dell’Emilia Romagna, Le società di mutuo soccorso italiane e i loro archivi. Atti del seminario di studio, Spoleto 8-10 novembre 1995. Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Uff. Centrale per i Beni Archivistici, Roma 1999, p. 110. (6) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, p. 48. (7) Ivi, p. 51. (8) Quirico Filopanti, pseud. di Giuseppe Barilli (Budrio 1812-Bologna 1894) precursore dell’invenzione dei fusi orari, esule a Londra a causa della sua adesione alla Repubblica romana, estensore del decreto di proclamazione della Repubblica (9 febbraio 1849). Docente di Meccanica idraulica all'Università di Bologna. Volontario nella guerra del 1848. Tornò in patria nel 1860 e fu tra i fondatori e poi Presidente della Società Operaia di Bologna. Molto stimato da Garibaldi che lo considerava suo maestro per la sua visione filosofico-scientifica e soprattutto per la sua opera di educazione a favore delle classi popolari. Seguì il Generale a Bezzecca nel 1866 e poi a Mentana. Fu deputato dal 1876 nei banchi della sinistra fino al 1892. Noto per le sue opere filosofiche: Miranda! A book on wonders, Dio liberale, Dio esiste e Bibbia sociale. Cfr. voce Barilli Giuseppe, di L. Lotti, Dizionario Biografico degli Italiani, 6, 1964; mostra: Il professore dell’infinito. Quirico Filopanti a 200 anni dalla nascita, Museo del Risorgimento di Bologna, 17 marzo-15 aprile 2013, www.storiaememoriadibologna.it (20 aprile 2021). (9) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, p. 61. (10) A. Bertani, Della opposizione parlamentare. Pensieri, Robecchi Levino, Milano 1865, pp. 42-44, cfr. E. Mana, La democrazia radicale italiana e le forme della politica, cfr. M. Ridolfi, La democrazia radicale nell'Ottocento europeo: forme della politica, modelli culturali, riforme sociali, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 189. (10) A. Bertani, Della opposizione parlamentare. Pensieri, Robecchi Levino, Milano 1865, pp. 42-44, cfr. E. Mana, La democrazia radicale italiana e le forme della politica, cfr. M. Ridolfi, La democrazia radicale nell'Ottocento europeo: forme della politica, modelli culturali, riforme sociali, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 189. (11) A. Preti, (a cura di), Un democratico del Risorgimento. Quirico Filopanti, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 19-20. (12) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, p. 74. (13) A. Preti, (a cura di), Un democratico del Risorgimento. Quirico Filopanti, p. 113. (14) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, p. 76.; cfr. A. Preti, (a cura di), Un democratico del Risorgimento. Quirico Filopanti, pp. 109-112. (15) Archivio di Stato di Bologna (d’ora in poi ASB) Prefettura, Gabinetto, busta 122. «Rapporto del 22 marzo 1865 del Questore al Prefetto di Bologna». (16) A. Ravà, Storia delle associazioni di mutuo soccorso e cooperative nelle provincie dell'Emilia, pp. 49 -53. (17) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, p. 74. (18) Ivi, p. 99. (19) Maragi riprende una affermazione contenuta in una tesi di laurea (candidato Forlai): «E’ stato notato però che in questo periodo [1864-‘65] si ha, da una parte, un rallentato (e quasi inesistente) controllo di polizia sull’esercizio del diritto di associazione degli organismi popolari, e dall’altra una penetrazione “moderata” in questi organismi […]». Ivi, p. 98. (20) ASB., Prefettura, Gabinetto, busta 122. Il materiale riguarda circa venti rapporti del questore di Bologna al prefetto sulla Società operaia nel periodo febbraio 1863-marzo 1865. (21) ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 122. «Rapporto del questore di Bologna al prefetto. Bologna, 25 febbraio 1863». (22) ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 122, «Relazione del questore al prefetto di Bologna, 2 marzo 1863». (23) Opuscolo stampa del discorso inaugurale del Prof. Q. Filopanti Presidente della Società Operaia di Bologna pronunciato nell’Adunanza Generale del giorno 10 gennaio 1864 e contenente il Programma del Novello Consiglio Direttivo pubblicato per ordine dello stesso Consiglio con aggiunta dell’elenco dei vari Comitati della medesima società, tip. G. Vitali, Bologna 1864. ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 122. (24) ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 122. Nota per il prefetto di Bologna, 29 febbraio 1864. (25) Ibidem. Rapporto del 21 marzo 1864 al Prefetto di Bologna, A.S.B., (26) Ibidem. (27) Ibidem. 28 Ibidem, Rapporto del questore al prefetto di Bologna, Bologna, 19 gennaio 1864, oggetto: società operaia. (29) Ibidem, Rapporto del questore al prefetto, Bologna, 15 febbraio 1864, oggetto: società operaia in via S.Vitale. (30) Ibidem, Il ministro dell’interno al prefetto di Bologna, Torino, 12 gennaio 1864, oggetto: società operaia di Budrio. (31) Ibidem, comune di Bazzano a prefetto di Bologna, ogg.: società operaia, 3 agosto 1864; questore di Bologna a ministro interni, oggetto: società operaia proposta a Bazzano, 22 luglio 1864. (32) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, pp. 100-102. (33) ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 123, Rapporto del ministro dell’Interno al prefetto di Bologna, Firenze, 5 gennaio 1866, oggetto: mene del partito esaltato. 34 ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 125, «Rapporto del questore al prefetto di Bologna. oggetto: onomastico di Garibaldi e Mazzini, 20 marzo 1866». (35) ASB, Ivi, Rapporto del Sottoprefetto di Imola al Prefetto di Bologna, oggetto: sulla festa per l’onomastico di Giuseppe Garibaldi, 27 marzo 1866. (36) ASB, Ivi, Relazione del Questore al Prefetto di Bologna, oggetto: banchetto a Budrio, 22 marzo 1866. (37) F. Conti, L’Italia dei democratici. Sinistra Risorgimentale, massoneria e associazionismo fra Otto e Novecento, Milano, Franco Angeli, 2000, p. 15. (38) ASB, Prefettura,Gabinetto, busta 124, «Rapporto del questore al prefetto di Bologna, oggetto: rapporto trimestrale, 4 luglio 1866». (39) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, op. cit., p. 106. (40) Programma. L’unione Democratica residente in Bologna. Supplemento a «L’Amico del Popolo», Bologna, 12 maggio 1867. (41) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, pp. 117-118. (42) Ivi, p. 116. 43 Giuseppe Ceneri (1827– 1898) Avvocato, professore di Diritto romano all’Università di Bologna; clericale fino al 1859. Consigliere comunale pre-unitario, deputato all’Assemblea delle Romagne che votò l’annessione al regno sardo. Nel 1867 mutò decisamente il suo indirizzo politico passando dai liberali moderati alla sinistra democratica in occasione delle elezioni politiche. Iscritto alla massoneria, nello stesso anno divenne presidente dell’Unione Democratica di Bologna e delegato al congresso della pace di Ginevra. Sostenitore della campagna per la liberazione di Roma, vi partecipò come volontario garibaldino. Egli fu una delle figure più in vista del radicalismo. Più volte rifiutò per principio il giuramento alla corona, motivo che lo costrinse alle dimissioni da deputato nel 1870. Due anni prima, a seguito dei provvedimenti presi dal governo durante le proteste contro la tassa del macinato, e del suo arresto insieme all’amico Filopanti, si dimise per protesta dall’insegnamento. Ancora nel 1868 fu sospeso, per quattro mesi, dalla cattedra universitaria per motivi politici insieme ad altri professori tra cui Carducci (due mesi e mezzo) e Piazza (un mese e mezzo) ai quali si unì lo stesso Filopanti, che per solidarietà sospese le sue lezioni. Cfr. A. Varni, Giuseppe Ceneri: l’avvocato, lo studioso, il politico, Bologna, Il Mulino, 2002; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano, Garzanti, 1973; E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, A. Berselli, (a cura di), 2-4, Zanichelli, Bologna, 1960-1962; G. Ceneri in Storia e memoria di Bologna, progetto del comune e del Museo Civico di Bologna, www.storiaememoriadibologna.it; voce G. Ceneri di M. Caravale, Dizionario Biografico degli Italiani, 23, 1979, http://www.treccani.it (10 novembre 2020). (44) A. Preti,(a cura di) Un democratico del Risorgimento. Quirico Filopanti, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 17. (45) T. Martello, Storia dell’Internazionale dalle origini al congresso dell’Aja, F.lli Salmin, Padova 1873, p. 40. (46) «L’Amico del Popolo», 18 settembre 1867, “Congresso di Ginevra”, p. 1. (47) Lettera di Filopanti a Garibaldi, Bologna 25 agosto 1867. M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, p. 112. Caldesi partecipò soltanto al Congrès pacifista come delegato della Società Progresso di Castel Bolognese. (48) ASB, Questura, Gabinetto, busta 45. «Questura, sez.. di Levante a Questore di Bologna, ogg.: spirito pubblico, 14 febbraio1867». (49) Ibidem, «Rapporto Questura, Ispezione di Levante al Questore di Bologna, oggetto: Società Operaia, 25 febbraio 1867». (50) ASB, Questura, Gabinetto, busta 43. «Questura, sez. di Mezzogiorno a questore, oggetto: spirito pubblico, aprile 1867»; «Questura sez. di Ponente a questore di Bologna, ogg.: spirito pubblico e movimento elettorale, 1 marzo 1867»; «Questura , sez. di Ponente a questore di Bologna, rapporto mensile, 2 gennaio1867»; «Questura, sez. di Mezzogiorno a questore di Bologna, rapporto mensile sullo spirito pubblico, gennaio 1867». (51) ASB, Questura, Gabinetto, b. 44; questore di Bologna ad ispettore sez. di Levante, oggetto: lettura pubblica nella sala della società operaia. A.S.B., Questura , Gabinetto, busta 44. Bologna, 28 aprile 1867. (52) Ibidem,Questura . Sez. di Levante. a Questore di Bologna, oggetto: studenti universitari, 9 aprile 1867. (53) Ibidem. Di seguito si segnalano alcune note di incarico del questore all’ufficio Questura, sez. di Levante, per predisporre la sorveglianza sulle riunioni della Società Operaia. anno 1867: 6 giugno; 19 luglio (lezione su Venezia); 8 agosto; 28 agosto (lezione sullo “Statuto”), 5 settembre, riunione straordinaria; 27 settembre, riunione straordinaria; Ibidem. (54) Ibidem, Rapporto della sez. di Levante per il questore di Bologna, oggetto: società operaia, 20 maggio 1867. (55) «L’Amico del Popolo», Bologna, 23 maggio 1867, p.1. Il 12 maggio il giornale aveva pubblicato un altro articolo sul ministro Ferrara: Il ministro Ferrara e la sua esposizione finanziaria. (56) L’imposta sul macinato ed il progetto Semenza. «L’Amico del Popolo», Bologna, 16 maggio 1867. (57) La lettera di Cattaneo o la tassa sul macinato. «L’Amico del Popolo», Bologna, 30 maggio 1867. (58) ASB, Questura, Gabinetto, busta 47.«21 settembre 1867, Questura del circondario di Bologna, Ispezione di Levante, oggetto: Riunione Democratica nella sala del Liceo nella Piazza Rossini». (59) Nota per il Questore di Bologna, ogg. Società Operaia, 29 luglio 1867. Ibidem. (60) ASB, Questura, Gabinetto, busta 44, «Questura, sez. di Levante, nota per il Questore , Ogg.: Società Operaia, 27 settembre 1867». Alla nota è allegato il manifesto di convocazione: «Società Operaria di Bologna. Presidente onorario G. Garibaldi. Sono convocati tutti i soci in ADUNANZA STRAORDINARIA questa sera alle ore 7 nel solito locale della Società in via Vinazzetti N. 3128 per trattare di cose urgentissime. Bologna, 27 settembre 1867. Il Vice Presidente G. Bignami, il Segretario, D. Sangiorgi.». Ibidem. (61) P. Delvecchio, La colonna Frigyesi e la campagna romana nel 1867, Roma,Tipografia Guttemberg, 1887, p. 24. (62) Ibidem. (63) Raffaele Belluzzi (1839-1903), patriota, garibaldino, insegnante e politico. Con Garibaldi nella terza guerra d'Indipendenza e nella spedizione dell’Agro romano del 186,7 in cui venne fatto prigioniero dai franco-papalini. A Mentana fu comandante della compagnia bolognese. Dal 1870 si dedicò all’insegnamento e all’educazione. Fu anch’egli presidente della Società Operaia di Bologna e costituì, insieme a Filopanti e Carducci, la Lega per l’Istruzione del popolo. Tra i promotori e fondatori, nonché direttore del Museo del Risorgimento di Bologna inaugurato nel giugno 1893. Comune di Bologna, Storia e memoria Bologna, https://www.storiaememoriadibologna.it/belluzzi-raffaele-482358-persona; Museo Civico del Risorgimento. Istituto per i beni artistici culturali e naturali, Patrimonio culturale dell’Emilia Romagna, Ritratto di Raffaele Belluzzi, http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it.(22 aprile 2021) (64) Museo Civico del Risorgimento di Bologna (MCRB), fasc. G. Ceneri, serie B. (65) Patriota molto attivo prima nei moti di Romagna poi nel movimento nazionale. Partecipò alla Repubblica romana e alla spedizione dei Mille. Nel 1867 capeggiò una compagnia di volontari romagnoli nella battaglia di Monterotondo. Delegato al Congresso della pace di Ginevra del 1867 per la Società Operaia di Bologna e la Società del Progresso di Castelbolognese. Per maggiori note biografiche si veda la voce V. Caldesi di G. Monsagrati, Dizionario Biografico degli Italiani, 16, 1973, http://www.treccani.it. (66) ASB, Questura, Gabinetto, busta 44. Nota per il Questore di Bologna, 13 dicembre 1867, oggetto: Società Operaia. (67) Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero di Grazia e Giustizia 1853-1983, Direzione Generale Affari Penali Grazie e Casellario, Divisione Affari Penali 1862-1925, busta 9 bis; -nota per il Questore di Bologna, 25 novembre 1867. Rapporto del Procuratore di Bologna al ministro di Grazie e Giustizia, oggetto: Informazioni circa la procedura iniziata contro il prof. Filopanti e Vincenzo Caldesi, 8 dicembre 1867; ASB, Questura, Gabinetto, busta 44, Nota per il Questore di Bologna, 25 novembre 1867. (68) Nota per il Questore di Bologna.ogg.: società democratica, 11 dicembre 1867 . A.S.B., ibidem. (69) Rapporto del Questore di Bologna al Ministro degli Interni, oggetto: Società Segreta, 14 febbraio 1868, A.S.B., Prefettura, Gabinetto, busta 151. 70 Ibidem. (71) Relazione al Prefetto di Bologna, oggetto: società segreta col titolo Reduci di Mentana, 18 gennaio 1868, A.S.B., ibidem. Altri documenti si riferiscono allo stesso argomento: cfr. rapporto del Prefetto di Milano a a quello di Bologna, 21 gennaio1868, Nota del Prefetto di Genova al Prefetto di Bologna, 22 gennaio 1868, rapp. del Questore di Bologna al Prefetto, 26 gennaio 1868, nota del Ministro dell’Interno al Prefetto di Bologna, 13 febbraio 1868. A.S.B., ibidem. (72) Rapporto al Questore di Bologna, Ogg.: società Operaia, 15 dicmbre 1867. A.S.B., ibidem. (73) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, pp. 114-115. (74) «Rapporto al Ministro dell’Interno, ogg: sequestro del giornale L’Eco dell’Operaio, 14 aprile 1867»; «Rapp. del Procuratore di Bologna al Prefetto, 14 aprile 1867». ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 132. (75) Rapporto al Prefetto, oggetto: sequestro del Giornale L’amico del Popolo. 2 ottobre 1867. ASB., Prefettura, Gabinetto, busta 132. (76) Nota del Questore al Prefetto di Bologna, oggetto: deliberazioni della Società Democratica, 17 marzo 1868, ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 151. (77) «Rapporto al Prefetto e al ministro dell’interno, 26 marzo 1868». Sullo stesso argomento cfr. nota del procuratore di Bologna al prefetto, oggetto: disordini all’Università, 24 marzo 1868, «rapporto del Questore al prefetto di Bologna, ogg.: disordini nell’Università, 29 marzo 1868». ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 151. (78) ASB, Questura, Gabinetto, busta 51. Questura sez. di Levante rapporto al Questore di Bologna, oggetto: Letture pubbliche alla Società Operaia, 25 marzo 1868; Al documento è allegato il manifesto di convocazione del convegno: Società Operaia di Bologna. «Presidente onorario G. Garibaldi. Letture Pubbliche, mercoledi 25 marzo 1868 alle ore 8 pomeridiane nella sala di detta Società, in via Vinazzetti n. 3128. Il Signor Francesco Pais terrà un discorso popolare, il cui argomento sarà la tassa sul macinato. Il Presidente Filopanti. Il segretario F. Belotti», ASB Ivi. In altra nota di servizio del 18 marzo ‘68 si disponeva da parte del questore la necessaria sorveglianza per l’altra riunione prevista per il giorno 22 marzo. ASB Ivi. (79) M. Maragi, Storia della Società operaia di Bologna, p. 125. Cfr. Rapporto del Questore di Bologna al Prefetto, ogg.: rapporto politico mensile, 5 aprile 1868; ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 150. (80) N. Rosselli, Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860- 1872), prefazione. di L. Valiani, Einaudi, Torino 1982, p. 95. (81) Decreto del ministro Cadorna. Firenze, 16 aprile 1868, ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 151. 82A. Preti (a cura di), Un democratico del Risorgimento. Quirico Filopanti, p. 255. (83) L’affermazione è compresa in un discorso di Ceneri del 1882. Cfr. A.Varni, a cura di, Giuseppe Ceneri: l’avvocato, lo studioso, il politico, op. cit., p. 21. (84) Archivio Centrale dello Stato (ACS), Ministero di Grazia e Giustizia 1853-1983, Direzione Generale Affari Penali Grazie e Casellario, Divisione Affari Penali 1862-1925, busta 9 bis. «Rapporto del 16 aprile 1868, oggetto: sciopero in Bologna». (85) A. Varni, (a cura di), Giuseppe Ceneri: l’avvocato, lo studioso, il politico, p. 22. (86) Nella nota del Procuratore di Bologna al Prefetto il nome di Ceneri non compare nella lista. Bologna, 25 aprile 1868. ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 151. (87) Ibidem, nota per il Prefetto di Bologna, ogg.: disordini in Bologna, 22 aprile 1868. (88) ACS, Ministero di Grazia e Giustizia 1853-1983, Direz. Gener. Affari Penali Grazie e Casellario, Div. Affari Penali 1862-1925, busta 9 bis. Rapporto al ministro di Grazia e Giustizia, oggetto: sciopero e arresti a Bologna, 18 aprile 1868. (89) Ibidem. (90) Il Prefetto Cornero era stato sostituito dal 1° novembre 1868. Nota del ministro dell’Interno al Prefetto di Bologna, ogg.: locali e riunioni di codesta Società Operaia, 23 dicembre 1868; nota del Questore al Prefetto di Bologna: “restituite alla Società Operaia le chiavi del suo locale”, 28 dicembre 1868. ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 163. (91) Il telegramma venne letto alla Camera nella seduta del 21 gennaio 1868, cfr. N. Rosselli, Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), p. 99. (92) Ibidem. (93) Circolare in data 1 settembre 1868, ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 163. (94) N. Rosselli, Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860- 1872), p.100. (95) «Rapporto del Questore al Prefetto di Bologna, ogg.: per la tassa sul macinato, 2 gennaio 1868». ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 163. 96Ibidem. (97) «Rapporto dei Carabinieri di Bologna al Prefetto, 15 gennaio 1869», Ibidem. (98) «Rapporto del sindaco di Medicina al Prefetto di Bologna, ogg.: tassa sulla macinazione, Medicina, 31 dicembre 1868», Ibidem. (99) «Rapporto dei carabinieri di Bologna al Prefetto, ogg.: dimostrazione femminile, 14 febbraio 1869». ASB, Prefettura, Gabinetto, busta 163. (100) Nota del prefetto al questore di Bologna, ogg.: tassa sul macinato, 21 gennaio 1869. Ibidem. (101) Rapporto del Comandante Generale delle truppe attive nella Media Italia, ogg.: sulle misure straordinarie da ritirare, Parma, 16 gennaio 1869. Ibidem. (102) N. Rosselli, Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860- 1872), pp. 100-101; per ulteriori notizie sulla tassa. per il macinato cfr. P.C.Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Rizzoli, Milano 1969, pp. 42-43. (103) secondo un documento delle carceri di Bologna erano 723 gli arrestati tradotti lì per i moti del macinato. carceri giudiziarie di Bologna: stato nominativo degli individui arrestati per ribellione alla legge sul macinato, 23 gennaio 1869. ASB, Questura, Gabinetto, b. 58. (104) N. Rosselli, Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860- 1872), p. 101.

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