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La collezione di burattini

Schede

La presenza del teatro di animazione e dei burattini è documentata già nell’antica Grecia, all’epoca della Repubblica di Platone. I primi spettacoli di burattinai itineranti, realizzati in occasione di fiere e mercati di tutto il continente, risalgono ai decenni successivi alla caduta dell’Impero romano. Poco si conosce del periodo medievale: solo quattro codici miniati documentano la presenza delle “teste di legno” e nel periodo della controriforma, come i marionettisti, anche i burattinai furono costretti a lasciare l’Italia e a trasferirsi con i loro spettacoli nel resto dell’Europa. All’avvento della Commedia dell’Arte corrisponde una rinascita del teatro di animazione che, a volte, anticipa quello d’attore presentando in anteprima al pubblico maschere come Arlecchino, Brighella, Pantalone, Pulcinella. In età napoleonica cominciano a distinguersi le tre fondamentali tradizioni italiane: quella modenese con Sandrone, quella bolognese con Fagiolino e quella bergamasca con Gioppino alle quali in seguito si affianca quella napoletana con Pulcinella. L’Ottocento segna il periodo di maggiore diffusione dello spettacolo dei burattini: molte le rappresentazioni in repertorio e le compagnie, grandi e piccole, che raggiungono anche i più piccoli centri abitati dove tengono vere e proprie rassegne teatrali. Oggi, dopo l’ultima crisi di metà Novecento, il mestiere del burattinaio sta recuperando il suo posto nel panorama culturale italiano non più come espressione teatrale minore, ma come moderna interpretazione del teatro di figura, con la sua straordinaria gamma di varianti e potenzialità.

La collezione e i suoi autori

La raccolta di burattini del Museo Civico di Medicina è un interessantissimo esempio di muta bolognese della prima metà del Novecento ed è composta, oltre che da un cospicuo gruppo di burattini, da una serie di bellissime scenografie e da un nucleo considerevole di abiti ed attrezzerie. Non si sa esattamente a chi appartenesse questa muta, ma è probabile che il proprietario fosse Agostino Serra, un burattinaio bolognese che negli anni trenta era solito frequentare Medicina per divertire i bambini della scuola elementare. Al momento del ritiro dall’attività, Serra cedette per una piccola cifra l’intera raccolta alla Scuola stessa che l’ha custodita fino al 2001, anno in cui la Direzione Didattica decise di donarla al Museo Civico. I burattini sono opera dei fratelli Frabboni, una delle più importanti famiglie di burattinai bolognesi. La compagnia Frabboni era retta da Filippo, affiancato dai fratelli Emilio ed Augusta. Le teste, scolpite da Emilio, erano diffuse tra i più noti burattinai bolognesi, come Chinelato e Mandrioli. I tratti del volto sono inconfondibili per le espressioni sobrie e contenute. Le pupille degli occhi sono ottenute con borchie metalliche scodellate al centro e dipinte, mentre il contorno è colorato ad imitazione degli ombretti e dei trucchi degli attori. I capelli sono veri ed applicati alla testa come parrucche mentre il collo, quasi un timbro di fabbrica, è conico per garantire un saldo fissaggio degli abiti. La maggior parte degli abiti indossati dai burattini fu probabilmente realizzata da Augusta, detta “Gosta”. Su alcuni compare il timbro “Filippo Frabboni – Burattinaio - Bologna” spesso seguito da un numero di serie ad indicare la casa produttrice piuttosto che la proprietà. Il camiciotto (o buratto), che permetteva di inguantare il burattino, è realizzato secondo i canoni della tradizione bolognese: un tessuto di canapa interno è cucito al vestito su cui è applicato un gilet con bottoni completato da un abito supplementare. I personaggi femminili della raccolta sono costruiti e vestiti diversamente da quelli maschili, secondo i metodi che si addicevano alle “burattine”. Il burattino donna non si inguantava, ma era mosso da un bastone inserito in un busto di legno che conferiva il portamento femminile ed era vestito con un semplice tessuto senza la struttura interna di canapa. Moltissimi gli accessori di scena: dalle corone ai diademi, dai cestini alle borse, dalle spade ai fucili. I fondali, di grandi dimensioni, sono ventisei. La maggior parte di essi è dipinta a tempera e rappresenta paesaggi, scorci di città, interni di abitazioni di vario genere. Uno in particolare, rappresentante la salita ed il portico di San Luca, si distingue per il pregio e si presenta come un brano pittorico a tutti gli effetti. La tecnica a tempera è qui utilizzata con sicurezza quasi fotografica, soprattutto nelle parti architettoniche. La consapevolezza del buon lavoro è testimoniata dalla presenza della firma dell’autore G. Rubbiani. Alcuni fondali sono doppi, formati, cioè, da fondale e principale per meglio rendere la prospettiva dello scenario.

Paolo Parmiggiani, Silvia Reggiani

In collaborazione con il Museo civico di Medicina.