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Mario Jacchia detto/a Rossini

2 gennaio 1896 - 3 agosto 1944

Scheda

Mario Jacchia, nome di battaglia "Rossini", da Eugenio ed Elisabetta Carpi; nato il 2 gennaio 1896 a Bologna ivi residente nel 1943. Avvocato. Iscritto al PdA. Era figlio del massimo esponente della massoneria bolognese, nel periodo prefascista, un avvocato espulso da Trieste, molti anni prima, dal governo austriaco per la sua attività politica irredentista. Alla vigilia della guerra 1915-18 prese parte ai movimenti interventisti che si tennero a Bologna e organizzò il Comitato irredenti per assistere i patrioti profughi da Trento e da Trieste. Scoppiato il conflitto, abbandonò l'università e parti volontario con il 6° reggimento alpini. Restò ferito due volte e si meritò due medaglie d'argento, una di bronzo e una croce di guerra al merito. Tornato a Bologna dopo la smobilitazione, riprese gli studi, pur partecipando attivamente alla vita politica.

Fece parte dei primi gruppi dei "Sempre pronti per la patria e per il re", le formazioni paramilitari del Movimento nazionalista bolognese, organizzate dal tenente Dino Zanetti. I Sempre pronti provocarono i gravi scontri che si verificarono a Bologna il 15 giugno 1919, quando la Federterra provinciale organizzò un'imponente manifestazione per rivendicare la requisizione delle terre incolte. La mattina, mentre i manifestanti lasciavano la piazza Malpighi, dove si era svolta la riunione, e percorrevano via Ugo Bassi, diretti verso via Rizzoli, si ebbe uno scontro nel quale alcuni ufficiali spararono e uccisero la bracciante Geltrude Grassi. Nel pomeriggio altri ufficiali, guidati da Zanetti, assalirono la sede della CCdL in via Cavaliera 22 (oggi via Oberdan), contro la quale spararono numerosi colpi di rivoltella. La polizia intervenne e fermò cinque ufficiali, tra i quali Jacchia. Alla fine del 1920 si iscrisse al secondo Fascio di combattimento di Bologna, guidato da Leandro Arpinati. Diede le dimissioni dopo la bastonatura - e non era la prima - subita il 28 giugno 1924 dal fratello Luigi che da tempo militava in campo antifascista. Il 12 settembre 1924 i fascisti penetrarono nella sede della massoneria in vicolo Bianchetti e sottrassero tutti i simboli e le bandiere. I cimeli furono collocati in una bara, poi abbandonata davanti all'abitazione della famiglia Jacchia, in via d'Azeglio 58, quale monito all'avvocato Eugenio, gran maestro della massoneria bolognese. Dopo l'aggressione subita dal padre, passò decisamente all'antifascismo. Poiché alla campagna antimassonica dei fascisti si era associato "L'Avvenire d'Italia", il 13 ottobre 1924 affrontò Carlo Enrico Bolognesi, direttore del foglio clerico-fascista, e lo schiaffeggiò.

Il 3 gennaio 1925 numerosi fascisti - guidati da Arconovaldo Bonaccorsi e Giuseppe (Peppino) Ambrosi - assalirono e distrussero il suo studio professionale e quelli di altri avvocati antifascisti. Giunto sul posto, mentre le fiamme stavano divorando i mobili e le pratiche, estrasse la rivoltella e si mise a sparare contro gli squadristi. Questi risposero al fuoco e lo bastonarono ferendolo gravemente a un occhio. A un commissario di PS, che lo invitava ad andarsene, disse: "Mi lasci fare. Sono un combattente decorato di quattro medaglie e non ho paura". Fu arrestato e denunciato perché aveva fatto uso della rivoltella. Dopo di allora iniziarono le persecuzioni, anche sul piano professionale. Nel 1927 gli fu negato il certificato di buona condotta politica, essendo antifascista e non iscritto al PNF, per cui venne cancellato dall'elenco dei curatori fallimentari. Nel 1930 il ministero degli interni non gli concesse il permesso per il conseguimento del brevetto di pilota aeronautico "dati i precedenti politici del richiedente", nonostante avesse superato tutte le prove tecniche. Nel 1937 non fu ammesso all'avanzamento del grado militare sempre perché antifascista. Infine, nel 1939, essendo ebreo, venne radiato dall'albo degli avvocati e procuratori. Fu riammesso qualche tempo dopo, quando la commissione nazionale per la determinazione della razza stabili che il padre Eugenio "debba considerarsi non appartenente alla razza ebraica". All'inizio del 1943 aderì al PdA e, con Massenzio Masia, rappresentò questo partito nel Comitato militare del Fronte per la pace e la libertà, il primo organismo unitario dell'antifascismo bolognese. 

L'8 settembre 1943 si trovava a Roma dove partecipò agli scontri con i tedeschi. Rientrato a Bologna, fu il primo rappresentante del PdA nel CLN bolognese. Ai primi del 1944 lasciò questo incarico politico, per assumerne altri di carattere militare. Con il nome di battaglia "Rossini", ebbe il compito di tenere i collegamenti tra il PdA bolognese e la direzione di Milano. In seguito fu nominato ispettore delle formazioni militari dello stesso partito per l'Emilia e infine ebbe il comando militare delle forze partigiane del nord Emilia. Il 3 agosto 1944, mentre a Parma presiedeva una riunione del suo comando, fu catturato dai fascisti, dopo avere fatto fuggire i compagni di lotta e cercato di distruggere il materiale compromettente. I fascisti lo consegnarono alle SS tedesche e dopo di allora nulla si è più saputo di lui. I suoi compagni di cella hanno testimoniato che fu ferocemente torturato e che tentò due volte di togliersi la vita. Il suo corpo non fu trovato. Alla sua memoria è stata concessa la medaglia d'oro. Riconosciuto partigiano dall'1 ottobre 1943 al 3 agosto 1944. Sulla facciata dello stabile di via D'Azeglio 58, dove aveva l'abitazione e lo studio professionale, è stata murata una lapide con questa epigrafe "Mario Jacchia fedele agli ideali del padre per l'Italia valorosamente combattè per la libertà sostenne tenace lotta. In questa casa visse lavorò cospirò da essa si diparti per offrirsi in olocausto nella duplice tirannide straniera e domestica 1896-1944". Il suo nome è stato dato a una piazza di Bologna. [Nazario Sauro Onofri]

E' ricordato nel Monumento Ossario ai Caduti Partigiani della Certosa di Bologna e nel Sacrario di Piazza Nettuno. Così viene segnalato nel volume 'I cento anni del Liceo Galvani' del 1961: Capitano Jacchia Mario di Eugenio e di Elisabetta Carpi, nato a Bologna il 2 gennaio 1896. Frequentò il Ginnasio “Galvani” nel biennio 1907-1909, conseguendo, nell'anno scolastico 1908-09 la licenza ginnasiale. Laureatosi in giurisprudenza all'Università di Bologna il 10 marzo 1920. Volontario di guerra nella guerra mondiale 1915-18 come Ufficiale degli Alpini. Deceduto a Parma nell'agosto 1944 (fucilato dai tedeschi). Decorato con Medaglia d'Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: Comandante di una sezione di mitragliatrici, mentre colonne avversarie irrompevano sulle nostre posizioni, con la voce e con l'esempio incorava ed incitava i dipendenti alla resistenza ristabilendo la calma e la fiducia nei tratti di linea più scossi e minacciati. Accerchiato dall'attaccante che gli intimava la resa, resisteva disperatamente infliggendogli gravi perdite. Vedendo preclusa ogni via di ritirata, si sottraeva con sottili accorgimenti alla vista del nemico e dopo essere rimasto così un giorno ed una notte entro le linee avversari, attraverso pericoli e difficoltà di ogni genere, tornava fra i nostri fornendo preziose informazioni. (Monte Kukli – S. Lucia di Tolino). - 25 ottobre 1917, R. D. 25 agosto 1919 (R. D. 10 agosto 1923), B. U. 1923, pag 2402. Decorato con Medaglia d'Argento al Valor Militare (D. L. 7 ottobre 1917): Entrava per primo con pochi uomini in una trincea nemica determinando il panico generale dei difensori ed ottenendo la resa di una sessantina di austriaci fra cui due ufficiali, a Forte Mattassone. (28 giugno 1916, B. B. 1917, Dispensa 75, pag. 6167, del 12 ottobre 1917). Decorato con Croce di Guerra al Valor Militare (B. U. 1923, Dispensa 48 del 18 agosto 1923) con la seguente motivazione: Diede prova di calma, slancio ed ardimento nel guidare il proprio reparto all'occupazione di successive posizioni avversarie (Vallarsa 12-13 giugno 1916. - R. D. 10 agosto 1917). Decorato con Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: Comandante di una Sezione Mitragliatrici cooperò con intelligenza ed efficacia all'attacco delle posizioni nemiche. In un successivo spostamento in avanti si esponeva arditamente al pericolo dando prova di fermezza e di valore. (Altipiano della Bainsizza 29-30 agosto 1917. - R. D. 2 giugno 1919, pag. 3084, disp. 43).