Istituto Autonomo Case Popolari

Istituto Autonomo Case Popolari

1906 | oggi

Scheda

Con delibera del Consiglio comunale del 31 gennaio nasce l'Istituto per le Case popolari, con il sostegno della Cassa di Risparmio. Ha il compito di realizzare quartieri popolari in periferia, facilitando nel contempo gli sventramenti previsti nel centro storico dal Piano regolatore del 1889. Nel suo primo periodo di attività, fino alla guerra mondiale, l'Icp costruisce più di mille alloggi in 50 fabbricati. I primi edifici, su progetto dell'ing. Barigazzi, sorgono alla Bolognina dal 1908. L'appartamento tipo è di circa 40 mq, composto da cucina, camera e un piccolissimo locale per i servizi igienici. I palazzi progettati da Barigazzi e da Corinti sono in genere a quattro piani e formano isolati chiusi, con cortili interni e servizi comuni negli scantinati. Entro il 1911 l'ICP realizzerà 647 appartamenti per 1.781 abitanti, con una spesa di quasi 2 milioni.

L'istituto vine così descritto nel 1948: L’Istituto Autonomo per la costruzione di case popolari in Bologna, o più semplicemente l’ENTE AUTONOMO, come usa chiamarlo la cittadinanza bolognese, ha avuto giurisdizione comunale fino al 1937, giurisdizione che poi, a partire da tale anno, ha ampliata a tutti i comuni della Provincia. Queste pagine prescindono logicamente dalla attività svolta dall’Ente nei sette comuni esterni nel cui territorio ha, fino ad oggi, potuto esperimentare le proprie possibilità costruttive: ma pur limitate alle realizzazioni compiute nell’ambito del nostro Comune, ne esprimono ugualmente le caratteristiche essenziali in quanto in Bologna è nato ed ha massimamente operato l’Istituto. Il decreto di fondazione dell’Ente è dell’otto luglio 1906 e porta il numero romano CCXXXVII. Da allora sono passati oltre quaranta anni e quel decreto si è rivelato operante, mentre vitale è risultato l’Ente che ne uscì costituito. Operante e vitale, del resto, fu la legge fondamentale Luzzatti 31 maggio 1903 n. 254 sulle case popolari che apriva alle popolazioni della nostra penisola possibilità sociali ed educative prima sconosciute. “Popolo, per noi (così diceva il Luzzati), sono i proletari i quali vivono di magri salari in quartieri luridi e in tetre mude che si devono trasformare, risanare ed abbattere. Ma è popolo per noi anche l’artigiano indipendente che sta poco meglio di questi suoi infelici compagni. E’ popoli i piccoli fabbricanti, il minore impiegato civile, il piccolo funzionario delle pubbliche amministrazioni. Ed è popolo l’operaio del pensiero che fatica più volte assai peggio di quello che del proprio lavoro vive, comincia col maestro di scuola per passare all’insegnante mal retribuito delle scuole secondarie di primo e secondo grado e finisce, anche in ragioni più alte, a tante altre miserie intellettuali che noi conosciamo”. Tale dettato e tale impostazione fu felice – e conserva ancor oggi tutta la sua attualità – scartando a priori ogni esclusivismo per portare, ispirandosi a sani concetti morali, una identità di provvidenze ad una comunanza di sofferenze, gettando così largamente, alla base, quella possibilità di intesa che, con alta prova di civismo, mantenne la Camera Italiana, nella discussione della legge citata, in quei lontani anni (dai quali ci dividono non tanto due guerre mondiali, quanto soprattutto e piuttosto due dopo guerra) che costituiscono un’epoca di decoro e di testimonianza democratica. L’Istituto che – come sopra è accennato – ne nacque in Bologna, riuscì presto a realizzare le sue prime costruzioni, portò il proprio contributo di esperienza e di consiglio al 1° Congresso Italiano per le Case Popolari in Milano (1909) e fu in grado di presentarsi, alla esposizione internazionale di Torino del 1911, con una decorosa e consuntiva pubblicazione redatta in un centinaio di belle pagine nelle quali con dati e fatti alla mano, il Sindaco Tanari, compendiava tutta l’azione del Comune di Bologna in materia di case popolari (azione risalente al 1861) con particolare riguardo all’opera svolta dall’Istituto fondato nella seduta comunale del 31 gennaio 1906, citata in epigrafe. La sede, i mobili, il personale medesimo – direttivo e d’ordine – furono offerti fin dal principio dal Comune; poi, dopo la prima guerra mondiale, cresciuto questo suo figlio legittimo, mano a mano e sempre più l’Ente assunse una fisionomia sua propria; fino a quando, come detto, nel 1937, divenuto provinciale, si staccò da ogni tutela diretta del Comune. Ancor oggi, tuttavia, quando si aduna il Consiglio di Amministrazione – ove, insieme al Comune ed ai Ministeri dei Lavori Pubblici e del tesoro, sono rappresentati la Cassa di Risparmio e gli inquilini – gli uscieri rispolverano per l’occasione un magnifico ed antico tappeto di velluto portante colorati e nitidi stemma comunali con la significativa parola “Libertas”.

La consistenza patrimoniale dell’Ente, poggiante su aree cedute gratuitamente dal Comune ed ubicate tutte alla periferia della città, risultò purtroppo compresa nell’anello marginale dei bombardamenti aerei e divenne di conseguenza, nel 1943-44, l’obiettivo di tonnellate e tonnellate di bombe. Per modo che, al consuntivo della liberazione, fra danni grandi e piccoli, massimi e medi, si è registrata la impressionante percentuale di oltre il 90%. Con dispositivi di legge inadeguati ai tempi nuovi, con una tale somma di danni bellici, con la sofferenza organizzativa comune, nei primissimi tempi successivi alla liberazione, a tutte le strutture autonome, l’Istituto si accinse, faticosamente e decisamente, alla ricostruzione. Occorreva impostare i problemi principali e salienti su nuovi ed adeguati concetti nazionali che potessero imporsi alla attenzione ed alle possibilità governative: gettare le prime basi dei programmi “di somma urgenza” o “di pronto intervento”, per usare la terminologia specifica che si rifaceva alle ipotesi delle inondazioni, delle frane, dei terremoti. Soprattutto abbisognava poter iniziare subito i primi lavori e – da notare – in modo da non doversi più rimettere le mani, evitando così impieghi improduttivi di somme. L’inquilinato rimasto senza alloggio – ammassato in coabitazioni, in scuole, in centri profughi, in alloggi di fortuna ecc. - ha dovuto quindi dar prova di pazienza, ed ancora la prova dura e durerà fino a quando non si ottengano i finanziamenti necessari (per i soli danni di guerra occorre oggi ancora più di un miliardo, anche se – fino ad ora – si è avuta, in parte a fondo perduto ed in parte da restituire, più o meno onerosamente, la non indifferente somma di 890 milio), mentre l’inquilinato, che ha avuto la ventura di rimanere alloggiato o di poter riavere un quartiere a seguito dei lavori di ricostruzione, ha dovuto dar prova di collaborazione, accettando quegli aumenti di fitti che, già ora nuovamente deficitari, assicuravano il pareggio di bilancio preventivo dell’esercizio 1945-46. Per trovare appoggio e conforto nei suoi numerosi complessi e non trascurabili problemi l’Istituto ha partecipato ai convegni Alta Italia (Milano, settembre 1945), ai Convegni nazionali degli Istituti Case Popolari (Roma, ottobre 1945, giugno 1947), al secondo Congresso Nazionale di urbanistica e di edilizia (Roma, giugno 1948), ed ha altresì collaborato attivamente a numerosi convegni regionali che hanno raccolte e riunite le esperienze degli otto Istituti Provinciali dell’Emilia e Romagna e formulato al Governo una serie di “voti” che – se accolti – verranno indubbiamente a rimuovere talune delle attuali non indifferenti difficoltà. E’ da notare a quest’ultimo proposito come la nostra regione sia stata la prima e la sola – almeno fino a qualche mese fa e nel campo delle attività degli Istituti per le Case Popolari – a dar vita ad un Consorzio di fatto mirante a sommare i vantaggi di un opportuno collegamento, senza precostituire nulla che possa comunque impegnare l’avvenire. Pure da non passare sotto silenzio è l’approvazione, da parte del Congresso Nazionale di Urbanistica e di Edilizia citato, dei “voti” conclusivi redatti e approntati – con l’adesione previa ed intera di Trieste, Milano, Roma ecc. - dagli Istituti per le Case Popolari della nostra Regione.

A quest’ultimo riguardo appare non inutile, anche in questa sede, trascrivere i principi informatori di tali voti. Eccone pertanto una breve sintesi: 1°) La casa è un elemento essenziale della vita umana alla pari del cibo. 2°) Ognuno deve sempre poter trovare disponibile un alloggio corrispondente alle sue condizioni, ma sano, sufficiente e gradevole. 3°) Per consentire questa disponibilità alle classi popolari meno abbienti è giustificato un contributo dello Stato, degli Enti Locali e degli Industriali. 4°) L’attività prevalente e specifica degli Istituti per le Case Popolari deve essere volta ed intesa a formare un pubblico demanio, inalienabile ed indiviso. Tale regola generale è tuttavia suscettibile di talune ben vigilate eccezioni per case a riscatto, la cui costruzione va comunque incoraggiata anche all’infuori dell’attività degli Istituti per le Case Popolari, specie per case isolate od abbinate con orto e giardino. Si aggiunga che, per quello che riguarda le case a riscatto, gli Istituti sono indubbiamente gli organi più attrezzati ed idonei anche per la costruzione e gestione delle case previste dal piano Fanfani. 5°) E’ improvvido, ove si voglia affrontare il problema delle Case Popolari, dimenticarsi degli appositi Istituti che in un cinquantennio hanno dato prova di perizia nella costruzione e nella gestione delle case. 6°) Le gestioni di case per conto di terzi, da affidarsi agli Istituti, devono avvenire senza loro danno e – ovunque si tratti dei problemi dell’edilizia popolare ed economica – deve essere presente una rappresentanza qualificata di essi Istituti.

I concetti di cui sopra, con una loro puntuale ed esauriente formulazione, sono già stati trasmessi al Governo quale “ordine del giorno” presentato ed approvato dal secondo Congresso Nazionale di Urbanistica e di Edilizia: ed è augurabile che diventino le idee ispiratrici, i principi basilari sui quali approntare i dispositivi di legge utili ad una sempre più profonda educazione permanente di masse sempre più vaste di meno abbienti. Le più recenti provvidenze del Comune di Bologna disposte in favore dell’Istituto si sono rivolte nell’accensione di mutui, per complessivi 143 milioni, contratta con la Cassa Depositi e Prestiti. Lungo il non facile cammino che ancora resta da percorrere per esurire il programma dei danni di guerra e nella via – che ci si augura ampia – che dovrà portare ad opere di vasto respiro per la migliore edificazione morale e materiale della nostra popolazione, l’Istituto ha bisogno di essere sorretto dall’appoggio non solo del suo inquilinato e del suo personale, ma anche di tutte le autorità, organizzazioni, associazioni, rappresentanze ecc. che operano nella sua giurisdizione: autorità, organizzazioni, associazioni, rappresentanze eec. Che fino ad oggi, non hanno mancato di dar prova di attenzione, affezione e simpatia verso un organismo che si avvia ad essere una parte, sempre meno ignota, della vita bolognese.

“Consiglio comunale di Bologna – Tornata del 31 gennaio 1906. ‘Fondazione di un Istituto Autonomo per la costruzione di case popolari’. Il Sindaco (Giuseppe Tanari) dice che è colla maggiore soddisfazione che porta all’approvazione del Consiglio la proposta relativa alla fondazione di un Ente Autonomo per la costruzione di case popolari – omissis – Il Consiglio, nell’approvare lo Statuto del nuovo Ente, esprime il plauso e la riconoscenza alla benemerita Cassa di Risparmio, che, col suo generoso ed illuminato intervento, ha grandemente contribuito a dar vita a così provvida e benefica istituzione, ed estende questa sua manifestazione alla persona dell’illustre Consigliere Direttore Cesare Zucchini che tanto si è adoperato per la costituzione dell’Ente medesimo”.

(…) “I villaggi dei nostri tempi… devono sorgere secondo i bisogni delle popolazioni che abitano e producono nelle varie zone, esprimendo in forma d’arte l’anima dei luoghi ed assicurando ai lavoratori che vi debbono vivere quei servizi, igienici e sociali, che sono il portato della nostra civiltà urbana. (…) la casa non è soltanto un tetto su quattro mura, ma bensì e piuttosto il luogo solatio, comodo, accogliente, dove si cerca e si ritrova, dopo la quotidiana fatica, riposo e conforto; dove si riscaldano e si mantengono gli affetti familiari, dove si crescono e si educano, sotto il vigile occhio paterno e sotto la materna carezza, i figlioli; dove si esercita la festevole ospitalità per l’amico. (…) le case dovranno sorgere, come la moderna scienza urbanistica insegna, non sull’asfalto, ma in prossimità dei campi coltivati, anzi in mezzo ai campi coltivati e alberati, per modo che cessi il divorzio fra l’uomo e la natura che l’agglomerato urbano ha provocato in questa nostra società industriale, e faccia riprendere contatto, almeno visivo, agli inquilini colle coltivazioni della terra e colle meraviglie confortatrici della vegetazione circostante la casa”. (Dalla Relazione degli Istituti Autonomi Provinciali per le Case Popolari dell’Emilia-Romagna al II Congresso Nazionale di Urbanistica e di Edilizia Roma, 17-20 giugno 1948). (Testo tratto da "Bologna, rivista del Comune a cura del Comitato bolognese per le celebrazioni del 1848", numero speciale della rivita del Comune “Bologna”, Comune di Bologna, dicembre 1948).

In collaborazione con 'Cronologia di Bologna' della Biblioteca Sala Borsa.

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Bologna, rivista del Comune a cura del Comitato bolognese per le celebrazioni del 1848, numero speciale della rivista del Comune “Bologna”, Comune di Bologna, dicembre 1948. Collezione privata. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.