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Il volto ottocentesco di Medicina

1800 | 1900

Schede

Dagli ultimi decenni del Settecento anche a Medicina si avvertono con sempre maggiore frequenza nell’urbanistica del centro abitato e nell’arte figurativa in generale gli impulsi dell’illuminismo e del razionalismo che animano l’Occidente. Da ciò si diffonde ovunque un conseguente deciso distacco culturale dalle fantasiose ed esuberanti opere architettoniche e di arredo pubbliche e private peculiari dell’epoca barocca. Interventi significativi di tali nuove tendenze si registrano a Medicina fino dagli anni ’70 -’80 e nei primi anni ’90 del Settecento nel campo urbanistico quando per volontà degli Uomini della Comunità - ancora appartenente allo Stato della Chiesa - viene deciso di conferire al paese un più funzionale e moderno assetto abbattendo le antiche mura, le porte di accesso al centro storico del paese e i quattro torrioni d’angolo. Una vasta operazione questa non priva di critiche da parte dei cittadini più conservatori nonostante fosse finalizzata a creare nuovi spazi urbani come la piazza principale, una igienica rete fognaria indispensabile al centro abitato e una più razionale aggregazione tra il nucleo storico e i nuovi borghi, notevolmente sviluppatisi all’esterno della cinta muraria.

In quegli anni da parte dei consiglieri della stessa Comunità vengono inoltre programmate opere impegnative riguardo alla qualificazione urbanistica del paese e alla qualità estetica dei progetti. Quanto fossero determinati gli amministratori pubblici a dotare Medicina di nuovi e qualificati edifici si rileva che, a loro spese personali, venne affidato all’architetto Angelo Venturoli la costruzione del primo tratto di portico, che avrebbe dovuto congiungere il centro del paese con il complesso dei Padri dell’Osservanza con successivi auspicabili edifici porticati. La confraternita del Suffragio, sempre nello stesso periodo, 1788, dà inizio, in successione al “porticone”, al nuovo Ospedale degli infermi progettato dal giovane architetto medicinese allievo del Venturoli, Francesco Saverio Fabri; la costruzione verrà poi interrotta con l’arrivo dei francesi e in seguito demolita, vanificando in tal modo un programma di notevole valore civile oltre che urbano e artistico. Del Fabri, prima del suo fortunato trasferimento in Portogallo, a Medicina resta nella chiesa dell’Assunta il pregevole altare della Buona morte, elegante opera concepita in un moderno ricco stile classicheggiante con ampio apparato di sculture eseguite da Luigi Acquisti, che bene si inseriscono nello stile dello spazio barocco di metà Settecento. Quasi contemporaneamente alla formazione dell’altare del Fabri, i membri della Comunità, per la cappella maggiore della chiesa arcipretale di San Mamante (cappella di giuspatronato comunale), commissionano al Venturoli la realizzazione di un nuovo moderno e ricco altare marmoreo, compreso di tutti gli arredi, in sostituzione del precedente altare ligneo eseguito nei primi decenni del Settecento dall’ebanista Carlo Galli da Barlassina, lavoro ritenuto tuttavia meritevole di essere adeguatamente conservato e perciò trasferito nella sua coetanea chiesa di Portonovo.

Appartenenti a cittadini medicinesi, membri del Pubblico Consiglio, sono due importanti costruzioni, precisa espressione dello stile che in quegli anni tendeva a riproporre nella composizione architettonica le eleganti e lineari regole armoniche adottate da artisti e trattatisti del Cinquecento, ispirate liberamente a canoni dell’antichità. Tali nuove costruzioni sono il complesso della Villa Mòdoni (in seguito Simoni poi Gennari) in cui Angelo Venturoli richiama la serena pulita stesura classica ricreata dal cinquecentesco Palladio; di autore coevo segue il Palazzo Prandi con l’ampia facciata su Via libertà ove anch’esso, col suo frontone alla sommità tra due gugliette, mostra la sua aderenza agli incipienti motivi classici. La galleria superiore in quest’ultimo palazzo si trova arricchita con decorazioni in stucco affini a quelle presenti nell’altare del Fabri e nella villa realizzata dal Venturoli: opere riferibili alle forme proposte dall’affermato artista bolognese Carlo Bianconi, autorevole promotore a livello nazionale del rinnovamento della scultura e dell’architettura in termini di ascendenza classica rinascimentale. Questi precisi indirizzi estetici adottati a Medicina dagli architetti e dai committenti possono senza dubbio essere attribuiti in gran parte alla frequente presenza a Medicina del colto e influente artista accademico clementino Carlo Bianconi presso la sorella, sposa del notabile “Signor Prandi”.

A pieno titolo appartiene alle importanti realizzazioni architettoniche e artistiche del primo periodo di moderato classicismo il Palazzo della Comunità, in cui dal 1775, sotto la direzione del consigliere delegato Giuseppe Maria Donadi e ad opera del perito architetto del Comune Bernardo Gamberini, viene completamente ristrutturata la residenza comunale con particolare rilievo alla sua parte di rappresentanza - ora attuale spazio che ospita la Biblioteca civica. Il consigliere Donadi riesce a conferire all’ambizioso progetto uno stile nobilmente elevato grazie alla presenza di noti scultori e decoratori formati al seguito degli aggiornati maestri accademici clementini di Bologna. In questo cantiere è già presente lo scultore Luigi Acquisti con il grande altorilievo della Madonna col Bambino lungo la scala; le raffinate sovrapporte in bassorilievo e gli stucchi della sala con l’ampio stemma comunale sono invece di mano di Antonio Mughini, mentre le decorazioni pittoriche nei riquadri dei soffitti appartengono ai bolognesi Giuseppe Barozzi e Domenico Pancaldi, i quali non rinunciano ad ornare gli scomparti, già avviati a forme più raffinate e meno rococò, con elementi floreali eseguiti con vivace freschezza in parte ancora memore del primo Settecento.

La vivace stagione culturale, che negli ultimi decenni del scolo XVIII stava producendo nel nostro paese operazioni di rinnovamento urbanistico e artistico di notevole spessore classicheggiante, viene improvvisamente interrotta dall’avvento del regime francese. Di fatto per tutto il periodo napoleonico l’amministrazione comunale e il Consorzio dei partecipanti saranno pesantemente impegnati a far fronte alle massicce spese militari richieste dal governo; così come gli stessi cittadini si troveranno gravati dall’arruolamento obbligatorio, dalle continue requisizioni di viveri, bestiame, carri di fieno, e da una generalizzata tassazione. Tali condizioni non possono certo consentire all’amministrazione locale e a committenti privati del paese, impoverito, di intraprendere opere pubbliche di qualificazione urbana o di carattere artistico. Soltanto nei maggiori centri politici, prima dal governo cisalpino e dal regno napoleonico poi – in particolare a Milano e a Bologna con la grande Villa Aldini sul colle dell’Osservanza - saranno realizzate opere di importante pregio urbanistico, architettonico e artistico già improntate all’esplicito carattere ispirato all’arte dell’antichità greca e romana. Già da qualche tempo il culto dell’arte antica si era rapidamente diffuso non solo in tutta Europa e in Inghilterra, ma anche nelle colonie americane. Si radica così l’estesa epopea del neoclassicismo, animato dai grandi esempi e dagli studi archeologici. Sarà questa un’estetica che coinvolgerà tutto l’Occidente e verrà variamente declinato, con successo, in ogni operazione artistica, soprattutto nel corso della prima metà dell’Ottocento con propaggini fino oltre le soglie del secolo successivo. Tuttavia nel periodo napoleonico le operazioni di carattere pubblico a Medicina si compiono ugualmente, ma con spese ridotte; infatti, si trova molto più conveniente da parte degli amministratori utilizzare gli edifici appartenuti alle ex confraternite laicali e agli ordini religiosi soppressi e passati al demanio. L’ Ospedale degli infermi viene quindi allestito nell’ ex convento dei Frati Minori dell’Osservanza; gli uffici del Comune trovano spazio nell’ex convento dei Carmelitani - lasciando in tal modo il palazzo della Comunità alla Partecipanza di Medicina - e l’ex convento delle Servite viene ristrutturato per accogliere le ragazze del Partenotrofio Donati Zucchi. La cultura e lo stile neoclassico, che ovunque trovano appunto successo a livello universale tra governanti, urbanisti, architetti e in ogni espressione artistica, e che a Medicina nei primi due decenni dell’Ottocento non producono particolari occasioni di opere significative; dalla caduta dell’impero napoleonico e dalla Restaurazione del governo pontificio in poi si avrà una notevole serie di interventi di precisa obbedienza classica in cui gli esempi greci e romani sono di rigore.

È interessante notare che a dare il via, a Medicina, ad opere architettoniche in puro stile neoclassico siano ristrutturazioni di parti centrali interne di edifici religiosi originariamente concepiti in elegante stile barocco settecentesco. Aprono nel 1826, ad opera e a spese personali del rettore della chiesa dell’Assunta (o del Crocifisso) don Antonio Grossi, gli interventi consistenti nell’ampliamento e ammodernamento della cappella maggiore della chiesa. Si inizia con la demolizione dell’ originale parete di fondo del presbiterio a pianta rettangolare per erigere un’abside concava sormontata da catino, che verrà dipinto a cassettoni dal medicinese Crispino Gualandi, al quale si devono anche le decorazioni pittoriche sulle due cantorie. Si procede ad eliminare tutto ciò che di barocco era presente nello spazio progettato nella metà del Settecento da un architetto del calibro di Alfonso Torreggiani. Si sostituiscono così con motivi rettilinei gli elementi preesistenti, in evidente contrasto con le morbide decorazioni presenti nei quattro piloni che reggono la cupola. Anche le finestre del presbiterio, da normali aperture rettangolari, come quelle nello spazio centrale della chiesa, vengono modificate in ampie aperture semicircolari di tipo ‘termale’ romano. Nelle pareti della nuova abside sono collocale due grandi statue rappresentanti i profeti Davide e Isaia, eseguite dal bolognese Bernardo Bernardi in marcate forme neoclassiche, ad imitazione della grande statuaria ufficiale romana. Anche queste sculture si pongono in un evidente rapporto dialettico con le dinamiche figure plasmate da Luigi Acquisti, nel suo iniziale periodo bolognese, poste sul vicino altare progettato due decenni prima dall’architetto Fabri.

Se l’affermazione della cultura neoclassica nella chiesa dell’Assunta è in parte motivata dalla volontà dei suoi rettori di ampliare gli spazi del presbiterio, la trasformazione generale della cappella maggiore della chiesa arcipretale di San Mamante nelle imperanti moderne forme, non viene invece adottata da necessità di spazi, ma soprattutto dalla condivisa volontà della Partecipanza di Medicina – erede del Comune nel giuspatronato della stessa cappella – di riformarne a fondo l’aspetto. Qui è evidente che l’obiettivo della Partecipanza nell’intraprendere, dal 1833, la dispendiosa operazione consiste esclusivamente nell’ostentare il proprio prestigio e la propria presunta apertura culturale verso il nuovo che avanza. Di questa complessa operazione si conosce il progettista, l’ingegnere bolognese Carlo Scarabelli, il quale non si discosta dalle opere eseguite all’Assunta: anche qui si sostituiscono le due settecentesche finestre con altre di tipo termale, si rettifica il profilo delle due cantorie ridisegnando le mostre del vero e del finto organo, portando le cornici ad un semplice prospetto rettangolare su cui vengono poste le due distinte scritte dorate: PARTECIPANZA MEDICINESE. Anche la cornice originale della grande pala dipinta da Ercole Graziani - con i santi patroni - viene sostituita da una nuova cornice di ‘più corretta’ forma ottocentesca.

Dieci anni più tardi, nel 1843, l’arciprete “Dott. Mons. Camillo Monari” è promotore della costruzione della nuova sagrestia dell’arcipretale in sostituzione del vecchio angusto e umido locale. Viene incaricato di predisporre il progetto l’ingegnere bolognese Raffaello Pirotti: un intervento che trova il pieno gradimento della Parrocchia e che la Partecipanza non esita a sostenerne entusiasticamente l’ingente costo, ignorando senza scrupoli il parere del Cardinale Legato, che aveva prescritto venisse dimezzata la spesa prevista. L’esito del lavoro risulta un’opera di notevole interesse per la dimensione e la qualità architettonica del nuovo vano interno, in cui la sobria eleganza e le armoniose classiche proporzioni dello spazio vengono accentuate anche dalle due colonne ioniche che delimitano l’area del piccolo altare. Con altrettanta sensibilità compositiva il progettista interviene nell’insieme dei volumi che si presentano all’esterno rivolti verso la nuova piazza; egli realizza un ampio prospetto simmetrico con timpano centrale di classica e semplice stesura, che si inserisce perfettamente con l’architettura della chiesa preesistente qualificandone la visione d’insieme. Tale soluzione di carattere estetico e di valore urbanistico viene bene evidenziata nella nota incisione ottocentesca del Corty, in cui si vede inserita anche la costruzione, presso il campanile, della fontana pubblica dei ‘tre delfini’ addossati al fusto di una colonna, opera di arredo urbano di sapore classico ideata dall’architetto Carlo Brunelli e realizzata a cura del Comune a ulteriore qualificazione del sito cittadino divenuto centrale.

È ancora il Comune a intervenire, non nel centro del paese ma nella zona periferica del Borgo Inferiore di prospetto alla strada San Vitale, per chi proviene da Ravenna, costruendo un grande edificio destinato ad ospitare il nuovo macello pubblico e contenere anche spazi abitativi. Nel progetto ideato dall’ingegnere bolognese Angelo Emiliani, approvato e realizzato dagli amministratori comunali, convergono diversi obiettivi che insieme non risulteranno tutti positivamente raggiunti. Ecco come si esprime a proposito Giuseppe Simoni (a pag.34 della sua Cronistoria): “Nel 1844 il Municipio, con l’intendimento di compiere un’opera di pubblica utilità, fece costruire il nuovo Macello al nord del Borgo Inferiore, nel mezzo del Podere Parrocchiale espropriato all’uopo, il quale riescì (sic) d’abbellimento al Paese; e infatti guardandolo dalla Strada Provinciale offre l’aspetto di un Palazzotto per ricco proprietario, anziché di un pubblico ammazzatoio. In questa fabbrica fu sacrificato l’utile reale al bello prospettico, e per conseguenza non si raggiunse a pieno lo scopo per cui fu speso tanto pubblico danaro”. Neppure cento anni più tardi, infatti, venne costruito distante dal centro un nuovo più funzionale macello. Analogamente a come afferma il Simoni, anche l’altra nota incisone del Corty coglie visivamente quale fosse l’intento risultato prevalente nella costruzione dell’opera in quella forma e in quella posizione: per chi percorreva la strada esterna da levante doveva essere attratto non dalle povere casette del Borgo inferiore, ma dalla vista di un edificio imponente e di elevata qualità architettonica, capace di gareggiare, come moderno messaggio di importanza civica, con i monumentali profili di Medicina storica. Ma tralasciando le motivate incongruenze funzionali della costruzione, non si può nascondere il valore culturale che l’opera senza dubbio esprime. Il ‘Macello vecchio’ costituisce uno dei più rappresentativi edifici del periodo neoclassico a Medicina, grazie alla sua dimensione e in particolare al suo monumentale prospetto con timpano, contenente lo stemma comunale, sorretto da solide colonne di ordine dorico, e nel piano terreno i classici bucrani sugli archi – in qualche parte manomessi – indicano la funzione dell’edificio. Dal secondo decennio del Novecento, con la costruzione delle cosiddette chè novi nello spazio antistante la facciata del Macello, viene completamente annullata la programmata funzione di “bello prospettico” che gli era stata ambiziosamente affidata.

Trent’anni più tardi, nel 1874, il Consiglio Comunale ebbe modo di erigere la costruzione di maggiore adesione ai canoni dello stile neoclassico: si tratta della cappella con due portici laterali posta al fondo del primo campo del cimitero del capoluogo. Anche questo insieme architettonico viene concepito come fondale prospettico, perfettamente inserito al termine del breve rettilineo della strada San Vitale che va dalla Barletta alla prima curva verso Ganzanigo. La cappella centrale si presenta, con la sua cupola abbassata, preceduta dal pronao di quattro colonne ioniche, come una riduzione modellata sul Pantheon romano. I due portici laterali sono aperti a nove luci, non ad archi ma ad architrave, la cui cornice è sormontata da classiche antefisse scultoree decorative. La linearità dei portici suggerisce un sereno effetto ritmico e fa emergere gli ampi volumi del corpo centrale; alle loro estremità un più solido arco, le cui semicolonne addossate reggono un piccolo frontone, accenna a concludere la dinamica in chiaro-scuro degli spazi laterali. Al termine dei lavori l’insieme risultava un intervento frutto di una notevole sensibilità compositiva, in grado di offrire a chi entrava al primo campo del nuovo cimitero un frontale di vera classica eleganza. È particolarmente interessante conoscere - grazie al nostro storico Giuseppe Simoni - che il merito della progettazione di questo meritevole lavoro spetta al professore Gian Giorgio Marchesi di Lodi, il quale non era un celebre architetto, ma un insegnante di disegno nelle Scuole Tecniche attive in quel tempo a Medicina.

Ma anche davanti a questo apprezzato “bel lavoro” la criticabile incuranza rivolta a opere di vera eccellenza classica, come per il Macello vecchio e per la Villa Modoni, negli anni di metà Novecento, ha purtroppo provveduto a creare costruzioni in grado di nascondere e sminuirne per sempre il valore. L’intento di questo breve contributo vorrebbe suggerire, ai cittadini di Medicina e agli eventuali interessati visitatori, di sapere cercare e cogliere, anche all’interno di chiese e palazzi e tra le quinte anonime create nel tempo, quanto di pregiato contiene Medicina non soltanto di barocco sei-settecentesco.

Luigi Samoggia

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 15, dicembre 2017.