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Il contributo delle Legazioni pontificie alla difesa di Vicenza

Battaglia 10 Giugno 1848

Schede

Nell'odierno Piazzale della Vittoria di Vicenza, una terrazza sulle Prealpi sita dinanzi al Santuario della Madonna di Monte Berico, due lapidi ricordano a tutt'oggi i reparti che presero parte alla difesa della città nella tarda primavera del 1848, in un momento decisivo per le sorti della Prima guerra d'indipendenza. La maggior parte di quei corpi provenivano dallo Stato Pontificio, ed un robusto contributo fu fornito loro da soldati e volontari delle quattro Legazioni.

È indubbio che il conflitto quarantottesco sia da inserirsi nella più ampia prospettiva di quei rivolgimenti europei e moti popolari che dopo Parigi, Berlino, Venezia e Milano coinvolsero anche Vienna, capitale dell'Impero asburgico, ma non va sottovalutato l'influsso che ebbe in Italia il pensiero neoguelfo, il quale per la sua diffusione e pervasività alimentò illusioni ed equivoci attorno alla figura di Pio IX, che solo l'allocuzione del 29 aprile dissipò sancendo un'involuzione in senso reazionario della sua politica. Alla teoria neoguelfa si accompagnò però anche una pratica che segnò il ritorno sulla scena politico-militare del popolo italiano «dopo secoli d'assenteismo», attraverso la nascita di molteplici “corpi franchi”, definiti da Natali «formazioni militari spontanee, improvvise, autonome, fluttuanti», che sapevano adattarsi rapidamente alle mutevoli vicende belliche.

Poco dopo lo scoppio della guerra, Vicenza era stata abbandonata dal presidio austriaco: gli asburgici avevano difatti scelto di rafforzare le fortezze del Quadrilatero, in particolare Verona. Ma per i piemontesi quella del 1848-49 fu una «guerra delle occasioni perdute», come la definì acutamente Pieri: concedendo al generale Nugent la possibilità di riorganizzare le truppe asburgiche fuggite dal Veneto, fondendole con quelle appena arrivate da Carinzia e Stiria, e permettendo al contempo al maresciallo Radetzky di ricostituire il proprio corpo dopo l'abbandono di Milano, il pur baldanzoso esercito sabaudo perse tutto il vantaggio guadagnato dai milanesi con le vittoriose Cinque Giornate (18-22 marzo). Difatti, furono proprio le forze di Nugent (che, malato, sarebbe poi stato sostituito dal generale von Thurn) a portare nella seconda metà di maggio un primo attacco alla città del Palladio, tenacemente respinto dalle truppe pontificie di Giovanni Durando.

Già il 24 marzo questo generale piemontese era stato incaricato dal Papa – che, come italiano, «non era immune agli appelli per la libertà dal dominio straniero nella penisola» – di avanzare alla testa dei suoi regolari per presidiare il confine pontificio segnato dal fiume Po, mentre il suo parigrado Andrea Ferrari fu comandato di comporre un corpo di guardie civiche e volontari, che spontaneamente già si andavano radunando nelle province settentrionali dello Stato. Il 31 marzo a Ferrara Durando si riunì con i capi di queste soldatesche, al fine di disciplinarle ed inquadrarle sotto il suo comando: confusi e dubbiosi sul da farsi, poiché era pervenuto loro l'invito del governo veneto di concorrere alla difesa della neonata Repubblica, la stragrande maggioranza optò infine per l'inquadramento nei reparti battenti bandiera vaticana. I vari nuclei, milizie e gruppuscoli furono quindi raggruppati e denominati secondo un criterio localistico: ebbero perciò origine, fra gli altri, i Cacciatori dell'Alto Reno ed il battaglione Basso Reno, che qualche mese più tardi avrebbero concorso alla difesa di Vicenza: il primo fu destinato al presidio del confine presso Francolino, il secondo a Stellata. In quegli stessi giorni (28 marzo) il Ministro delle Armi pontificio inviò a Durando l'ordine di mettersi in contatto con il Quartier generale sardo per operare in collegamento con esso: i piemontesi ne approfittarono subito per chiedergli di schierarsi in posizione tale da minacciare il nemico. Lo stesso Durando, appoggiato dai ministri laici del governo romano, era intenzionato a oltrepassare il Po, una volta che fosse giunto il grosso delle truppe, per lottare anch'egli per l'indipendenza italiana. Non a caso il proclama che lanciò il 5 aprile (scritto da Massimo d'Azeglio, ufficiale del suo Stato Maggiore) puntava a forzare la mano alla gerarchia ecclesiastica, affinché muovesse guerra agli imperiali, affermando che: «Una tal guerra della civiltà contro la barbarie è perciò guerra non solo nazionale, ma altamente cristiana. […] Sia nostro il grido di guerra: Iddio lo vuole». Perciò, se già prima del proclama qualche reparto aveva deciso di oltrepassare il confine, ora divenne insostenibile trattenere ancora i corpi volontari al di qua del grande fiume. Molti difatti, nonostante si proclamassero sudditi di Pio IX, erano intimamente repubblicani, mazziniani o liberali che, credendo in rotta il corpo di Radetzky, non volevano tardare a portare il loro contributo ai combattenti veneti.

Uno dei primi corpi a sconfinare fu l'Alto Reno del conte Livio Zambeccari, che lo costituì a partire dalla colonna che lui stesso aveva guidato a Modena il 21 marzo precedente, quando si era sparsa la voce di un'insurrezione contro il duca Francesco V d'Este. Una volta fatto ritorno a Bologna Zambeccari, reduce delle guerre spagnole e sudamericane, già maggiore della Civica nonché leader locale del partito dei cosiddetti “esaltati”, si accinse a rinforzare questo corpo per muoversi contro il presidio austriaco di Ferrara. Da lì, il 1° aprile partì per Francolino, ma l'impazienza dei militi e le richieste di aiuto da parte delle municipalità dell'entroterra veneto portarono il conte a decidere di oltrepassare il Po a Pontelagoscuro: era il 3 aprile. Alla stessa decisione giunse quasi contemporaneamente il colonnello Vito Diana, già comandante della Civica centese ed ora a capo del Battaglione Basso Reno (costituito con elementi di Cento, Pieve di Cento, S. Giovanni in Persiceto, S. Agata Bolognese e Crevalcore) che sconfinò il 5 presso Ostiglia. Di fronte a questi fatti compiuti, il Durando ammise al suo superiore: «Non avrei come generale dato loro ordine di passare […]. Hanno voluto passare; non mi sono opposto ed ho loro mandato istruzioni ed ordini, onde sappian guardarsi militarmente». Il generale vaticano però, sollevò dall'incarico il Diana, che fu sostituito dal maggiore (poi ten. colonnello) Tommaso Rossi di Crevalcore. Nel frattempo, animato dalle reminiscenze latino-americane della “guerra per bande”, Zambeccari tenne il suo corpo in costante movimento, finché il 9 non si stabilì presso il castello di Bevilacqua, vicino Montagnana (Padova), a partire dal quale per diversi giorni disturbò gli asburgici con tipiche azioni di guerriglia. Nella seconda metà del mese, in seguito all'avanzata dei rinforzi austriaci, l'Alto Reno fu destinato dal generale sabaudo Alberto Ferrero Della Marmora alla difesa del Piave, con base a Fossa (presso Sant'Andrea di Barbarana), quindi il 10 maggio venne richiamato a Treviso, dove ripiegò anche la divisione del generale Ferrari sconfitta a Cornuda il giorno precedente. Proprio a Cornuda si era resa protagonista una compagnia di studenti universitari bolognesi: qualche settimana prima, sotto la crescente pressione degli allievi dell'ateneo pontificio, alcuni dei quali già avevano partecipato alla “marcia su Modena” del conte Zambeccari, fu concessa l'istituzione di un Battaglione Universitario, la cui organizzazione venne demandata a Carlo Berti Pichat. Accanto alle compagnie sedentarie ne fu organizzata una mobile che seguisse il corpo di operazioni in Veneto. Questa contava inizialmente 54 soldati (ascesi poi ad un centinaio) posti agli ordini del tenente Giovanni Ferri: essa fu inquadrata come 4a Compagnia dei Tiragliori (equivalenti ai bersaglieri) nel battaglione omonimo, formato dagli studenti dell'Università “La Sapienza” di Roma agli ordini del maggiore Ceccarini. Gli studenti bolognesi condivisero pertanto le sorti dei loro colleghi capitolini: dopo lo scontro dell'8-9 maggio, essi vennero inviati a rinforzare la guarnigione di Vicenza, dove subito rintuzzarono gli attacchi austriaci del maggio tra Porta S. Lucia e Palazzo Scroffa.

Frattanto il generale Durando, le cui truppe erano entrate in Veneto il 21 aprile, aveva dato ordine a Zambeccari di portarsi nella città palladiana per concorrere alla sua difesa: il conte, insistendo per avere un trasporto mediante strada ferrata, riuscì a raggiungere giusto in tempo il nuovo teatro di combattimento. Al mattino del 20 maggio l'Alto Reno fu subito schierato alla sinistra dello schieramento che respinse l'attacco della brigata Schwarzenberg tra Porta S. Lucia e Borgo Scroffa. Zambeccari fu ferito alla gamba destra, mentre in generale l'Alto Reno lamentò 3 morti e almeno 13 feriti. Il 21 il reparto fu schierato di riserva all'ala destra del Durando, che tentò di molestare la ritirata asburgica verso Verona. Ancora, il 24 sia l'Alto Reno che il Battaglione Universitario furono protagonisti nella difesa contro gli uomini del generale Thurn. Pochi giorni dopo, Zambeccari fu nominato comandante militare del presidio di Treviso, dove si diresse con i suoi Cacciatori: là guidò la difesa della città, che infine avrebbe capitolato il 14 giugno.

Come detto, furono svariati i reparti provenienti dalle Legazioni che presero parte alla difesa di Vicenza. Un altro fu il 6° Battaglione Fucilieri: costituito come regolare corpo di linea, la sua ufficialità fu attinta fra gli aiutanti maggiori della Guardia civica bolognese. Il comando fu pertanto assegnato al marchese Pietro Pietramellara Vassé, nominato maggiore: di tendenza mazziniana, egli era già stato istruttore della Civica stessa nonché ex ufficiale dell'esercito piemontese. Il battaglione poteva contare su 626 uomini (per la quasi totalità bolognesi) divisi in 6 compagnie: il 18 maggio fu fatto dirigere in Veneto, dove il 27 fu incorporato nella divisione Durando di stanza a Vicenza. Nella giornata del 10 giugno, per via della sua dislocazione, non partecipò ad azioni importanti, contando infine 8 morti e 36 feriti.

La battaglia del 10 giungeva dopo le giornate di Curtatone e Montanara e di Goito (29-30 maggio): essa si inseriva in un nuovo ciclo operativo dell'esercito asburgico. Nella marcia nemica verso Verona, Vicenza diventò pertanto una piazza strategica per impedirne l'avanzata: a difenderla vi era il generale Durando, che poteva contare su 11.000 tra regolari e volontari pontifici: essi però avrebbero dovuto affrontare non meno di 30.000 austriaci dotati di 124 cannoni con sole 36 bocche da fuoco. Il nemico anzitutto interruppe i collegamenti ferroviari, scongiurando così l'arrivo di possibili rinforzi, anche se Carlo Alberto aveva scelto di agire contro Rivoli Veronese per minacciare le posizioni austriache in Trentino, mentre le truppe napoletane erano state appena richiamate in patria dal re Ferdinando II per ripristinare l'ordine nel regno borbonico. La battaglia cominciò alle 5 del mattino ed interessò particolarmente l'altura detta di Monte Berico. Il Basso Reno si pose a difesa del settore compreso tra Porta S. Lucia e Borgo Scroffa. Il Battaglione Universitario combatté invece all'avanguardia al fianco dei Civici faentini e dei Bersaglieri del Po – reparto composto in larga parte da ferraresi agli ordini del capitano Mosti – mantenendo infine la posizione presso Porta del Monte finché il generale Durando non decise per la capitolazione verso le 19. Combatterono anche l'Artiglieria civica bolognese, distinguendosi nella difesa delle Porte di S. Bortolo e S. Lucia, nonché battaglioni civici lughesi e ravennati. In particolare, l'Artiglieria bolognese nacque come sezione della Guardia Civica cittadina, e la sua componente mobile fu prontamente istituita per poter partecipare alla campagna del Veneto. Comandata dal capitano Camillo Atti, era composta di due sezioni di cannoni da 9 in bronzo per un totale di 6 ufficiali ed 82 fra graduati e comuni.

Al termine di quella sanguinosa giornata, si contarono 141 morti, 540 feriti e 140 dispersi fra gli austriaci, e 293 morti e 1665 feriti nel campo italiano. Il colonnello Alberi fu incaricato di trattare la capitolazione: Radetzky concesse ai difensori di poter uscire in armi da Vicenza con gli onori militari, obbligando però quelle truppe a ritirarsi oltre il Po e a non dare battaglia per i tre mesi successivi. Nei giorni seguenti, il successo asburgico si consolidò con le capitolazioni delle piazze di Padova, Treviso e Palmanova, permettendo al maresciallo austriaco di riprendere il controllo dell'intero Veneto, eccezion fatta per la sola Venezia. Nondimeno, le vicende dei corpi franchi e regolari di cui si è qui brevemente trattato continuarono ancora per qualche mese: alcuni presero la via della Serenissima, altri dopo la proclamazione della Repubblica Romana si diressero prontamente verso l'Urbe. Là, personaggi come Zambeccari o Felice Orsini, capitano dell'Alto Reno, furono eletti alla Costituente, mentre figure come il marchese Pietramellara o Angelo Masini (anch'egli ufficiale dei Cacciatori) caddero durante la difesa di Roma del '49. Soprattutto, all'interno di questi corpi franchi «si mescolarono ceti e opinioni diverse: il loro stesso comporsi e scomporsi facilitò il graduale superamento delle idealità iniziali della Prima guerra d'indipendenza; onde chi partì da casa con la bandiera di Pio IX non esitò alla fine a difendere il tricolore repubblicano». Si può pertanto affermare, con le parole di Natali, che questi reparti «divulgarono e insinuarono nei cuori il sentimento che solo la guerra di popolo avrebbe procurato agli italiani indipendenza e unità».

Andrea Spicciarelli

BIBLIOGRAFIA: Alcuni cenni sulla battaglia di Vicenza, [Bologna, Società Tip. Bolognese 1848]; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. III, La rivoluzione nazionale 1846-1849, Milano, Feltrinelli 1979; D. I. Kertzer, Il Papa che voleva essere Re. 1849: Pio IX e il sogno rivoluzionario della Repubblica Romana, Milano, Garzanti 2019; Il Museo del Risorgimento di Bologna, a cura di M. Gavelli e O. Sangiorgi, Bologna, BUP 2013; G. Natali, Il Battaglione Universitario Bolognese e la sua Compagnia Mobile nel 1848-49, Bologna, Coop. Tip. Azzoguidi 1932; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino, Einaudi 1962; G. Natali, L'istituzione della Guardia Civica (luglio 1847-marzo 1848) in “Il Comune di Bologna”, 6(1933), pp. 51-60; G. Natali, La mobilitazione dei Civici Bolognesi e la prima difesa del Po in “Il Comune di Bologna”, 10(1933), pp. 47-54; G. Natali, Corpi franchi del Quarantotto. I battaglioni dell'Alto Reno, del Basso Reno, dell'Idice, del Senio in “Rassegna Storica del Risorgimento”, 2(1935), pp. 185-233; G. Natali, Il battaglione bersaglieri Pietramellara (12 aprile 1848-5 luglio 1849) in “Rassegna Storica del Risorgimento”, 3(1936), pp. 1247-1274; G. Gamberini, Il battaglione del “Basso Reno”. I centesi nelle lotte del Risorgimento in “Famiglia Centese”, 9(2010), p. 7.

Testo originariamente pubblicato nello scenario "Il Leone contro l'Aquila. Il 1848 in Veneto" sul sito del Coordinamento Nazionale Associazioni Risorgimentali "Ferruccio", in occasione della commemorazione della difesa di Vicenza (10 giugno 1848). Il testo è stato inoltre utilizzato a corredo dell'esposizione ...È successo un 48. Mostra di cimeli e documenti della Prima Guerra d'Indipendenza (Gavinana, Pistoia - 19 luglio-27 settembre 2020) curata dal Coordinamento Nazionale Associazioni Risorgimentali "Ferruccio" in collaborazione con l'Associazione Ecomuseo della Montagna Pistoiese e con il patrocinio dalla Regione Toscana.