Il cinema a Medicina

Il cinema a Medicina

Scheda

La ricostruzione storica delle vicende del cinema pubblico a Medicina non è semplice, sia per la varietà e complessità dei fatti sia per la quasi totale assenza di documentazione lasciata dai protagonisti di queste esperienze: la definizione dei tempi e delle date è affidata per lo più ai ricordi ed alla memoria, spesso fra loro non collimanti o addirittura contraddittori, di persone ormai avanti nell’età, in genere ben oltre gli 80 anni. La prima fase: il cinema muto.

Il “Gambrinus” | C’è chi crede di ricordare che il cinema a Medicina sia arrivato nel 1911: nell’allora Palazzo Mascagni (oggi della Comunità) in via Pillio si fecero proiezioni dei primi film muti, in genere a puntate anche di otto sere; l’araldo Fasòl li reclamizzava con un cartello “sandwich” appeso al petto ed alla schiena in giro per il paese. La vera data certa di inizio delle proiezioni pubbliche è tuttavia il 1919: in quell’anno lo storico Teatro Comunale, finito di costruire nel 1738, fino ad allora usato per concerti, opere, prosa, comizi e iniziative pubbliche, fu adattato per potere ospitare proiezioni cinematografiche. Quasi certamente a gestire la sala fu una società costituita da alcuni privati, fra cui Poli Domenico, Orlandi Dario, Stignani Elio e Giuseppe, Bragaglia Emma; fra essi il personaggio di maggior spicco fu però certamente Modelli Primo, comunemente soprannominato Ciaparòni, protagonista locale dell’intera era del cinema muto e più tardi, come vedremo, del cinema “Italia”. Per la sala si scelse il nome un po’ snob di “GAMBRINUS”; delle attività che vi si svolsero ci resta una ampia e colorita descrizione nel volume di Duilio Argentesi, che qui parzialmente riportiamo. “...Il cinema-teatro Gambrinus, come pomposamente si chiamava, aveva quattro ordini di posti: la platea, i camerini, la galleria ed il loggione. La platea non necessita di spiegazione alcuna. I camerini costituivano il primo ordine di palchi così detti perché erano divisi come stanzine e ognuno aveva la sua porta. Erano fatti per i signori: c’erano le sedie e sopra al parapetto faceva bello spicco un lungo cuscino di velluto rosso liso imbottito di crine vegetale od animale. La galleria era il secondo ordine di palchi. Non aveva divisori, né porte né cuscini, ma un paio di panche ed alcune sedie. Il loggione era... il loggione. Lo spettatore si trovava in piccionaia, più lontano dallo schermo e più vicino alle travi del tetto dove i più alti si inzuccavano. Per ovvie ragioni il loggione era il più frequentato. In platea e nei camerini tutti sapevano leggere, in galleria quasi tutti, nel loggione quasi nessuno. Simultaneamente allo spegnersi delle luci iniziava il ronzio della macchina da proiezione ed ognuno prendeva posto. Il lettore si metteva al centro di un gruppo di cinque o sei analfabeti; stavano vicini anche quelli che sapevano un po’ leggere ma per i quali la didascalia, o l’intero quadro scritto, scompariva troppo in fretta. ...C’era una partecipazione attiva e collettiva del pubblico al film, non solo leggendo ad alta voce le didascalie, ma anche con commenti appropriati. ...Si piangevano calde lacrime e si rumoreggiava forte e ripetutamente entro i fazzoletti quando morivano personaggi buoni. Si rideva a crepapelle durante le comiche. ...Quando accendevano le luci si scatenava un putiferio. Era la protesta degli spettatori della platea e dei camerini contro quelli di sopra per tutte le pelli di brustolini, cicche di sigarette e sigari, e raramente qualche sputo, che piovevano loro addosso. Ma si vede che la ragione stava dalla parte dei loggionisti perché gridavano forte: “Se non vi piace stare lì venite quassù!”. Col buio tornava la calma. Il Gambrinus era tutto: cinema, teatro, sala da ballo, palestra sportiva, salone per adunate e conferenze. ...Il sonoro ed il parlato hanno rovinato i “lettori” ed il Gambrinus, come i camion hanno soppiantato i barrocciai, le gillette i barbieri, i microfoni il Pirazzoli [l’araldo Fasòl].” Per tutta l’epoca del muto il Gambrinus fu l’unico cinema dei medicinesi: la sua decadenza iniziò con l’arrivo del parlato; a metà degli anni trenta la concorrenza del nuovo “Garibaldi” ne decretò la fine delle proiezioni. Un bombardamento nell’ultima fase della seconda guerra mondiale, per la maggior parte degli interpellati il 13 aprile 1945, per altri nell’estate-autunno 1944, distrusse lo storico teatro che non fu più ricostruito, nonostante una delibera della Giunta Comunale del 12 febbraio 1951 affidasse all’ing. Piero Toschi l’incarico di progettarne la ricostruzione con i mezzi rivenienti dai danni di guerra e dalla vendita dell’area del vecchio edificio.

Arriva il parlato: il “Garibaldi” | Un documento ufficiale conservato dalla famiglia Bini attesta di un “compromesso” del 1931 con cui l’Amministrazione Comunale concesse ad Anna Garbesi, moglie di Carlo Croci, e a Valentina Bonzi, moglie di Giovanni Bini, il quale è stato per cinquant’anni protagonista assoluto del cinema a Medicina, il permesso di costruire nella centrale Piazza Garibaldi un immobile da destinare a sala cinematografica. La collocazione sollevò critiche fra la popolazione, perché chiudeva inopinatamente la piazza a sud, verso il portico del Venturoli. Raccogliamo qui una voce di persona che si ritiene bene informata: lo scopo del podestà fascista Vito Fabbri, notoriamente massone convinto, sarebbe stato in realtà di contrastare il desiderio della parrocchia e dell’autorevole arciprete Don Vancini di ampliare in quel sito la preesistente sala parrocchiale “Don Bosco”. Costruito l’immobile e chiamata la nuova sala inizialmente “Savoia”, poi “Garibaldi”, Giovanni Bini iniziò le proiezioni, si può presumere alla metà degli anni ‘30, nel tempo del cinema parlato trionfante, con locali (ingresso, atrio, platea e galleria) e attrezzature idonei e moderni. Per oltre 35 anni, fino alla chiusura avvenuta nel 1970, il “Garibaldi” fu la sala per eccellenza e per molto tempo unica del paese: è in essa che si visse l’età dell’oro del cinema, i “pienoni” degli anni ‘50, le mitiche pellicole di Hollywood, i “drammoni” e i capolavori del neorealismo italiano. Sale stracolme e rumorose, attossicate da una densa cortina di fumo, con gente che entrava e usciva in ogni momento della proiezione, che sgranocchiava in continuazione brustulli, che sottolineava con commenti salaci, divertiti o sdegnati i passaggi cruciali del film. Al “Garibaldi” anche il cinema di qualità visse una sua stagione fortunata: a metà degli anni ‘60, dal 1965 al 1968, la sala fu settimanalmente, per alcuni mesi all’anno, utilizzata come sede di un CINEFORUM, che ad un pubblico numeroso e attento per un paese come Medicina di medie dimensioni (i soci furono circa 250) fece conoscere le pellicole dei grandi maestri, italiani e stranieri, della storia del cinema. Giovanni Bini, che aveva nel frattempo ottenuto il titolo di Cavaliere, nel 1961 ricevette una pubblica attestazione di merito che ne riconosceva i 25 anni di attività nel campo cinematografico.

Negli anni ‘40 ci fu anche l’“Italia” | L’attività di Primo Modelli non si esaurì con la chiusura a metà degli anni ‘30 del “Gambrinus”; nel 1944 infatti egli rilevò il “baraccone” in legno di una compagnia di avanspettacolo formata dalla famiglia Roberti, padre, madre, figlio, figlie e relativi mariti, che si era esibita a Medicina per un certo tempo nel cosiddetto zug balòn, in via Oberdan. Modelli lo spostò nell’ex mercato del pollame, in uno spiazzo di fianco alle Scuole Elementari, e lo attrezzò della macchina da proiezione del “Gambrinus” che aveva conservato in un proprio magazzino. Cominciarono così le proiezioni nel cinema “Italia”, in concorrenza con il “Garibaldi”, descritte con arguzia ed ironia da Giuliana Grandi in “Brodo di Serpe” del 2010. Nel dopoguerra una delibera del Consiglio Comunale del 5 settembre 1946 confermò l’affitto del cortile comunale (ex mercato del pollame) a Modelli Primo, affitto in essere dal 1944, per £ 30.000 a semestre, con l’impegno del Modelli a costruire un apposito immobile con inizio dei lavori entro il 31 marzo 1947, impegno evidentemente rimasto sulla carta. C’è contrasto di opinioni, fra i vecchi medicinesi, su cosa successe dell’“Italia” dopo che il 25 gennaio 1947 una nevicata ne provocò il crollo della copertura; alcuni ritengono che il “baraccone” da allora non sia più stato usato. Altri, secondo noi con argomenti più attendibili, affermano di ricordare che invece la copertura fu riparata, che le proiezioni ripresero e continuarono per qualche anno, almeno fino alla fine del 1948; affermano che la definitiva chiusura fu determinata da un intervento di autorità superiori, esterne a Medicina, che impose la chiusura del cinema causa la insufficiente garanzia di sicurezza del contenitore in struttura di legno. Diamo conto anche di una terza versione secondo cui, dopo il crollo, l’“Italia” fu usato per un breve periodo come cinema all’aperto solo per il periodo estivo.

Anni ‘50: cinema all’aperto | Negli anni di massimo successo del cinema, gli anni ‘50, per diverse estati, Medicina usufruì anche di un cinema all’aperto: sempre per iniziativa di Giovanni Bini e Carlo Croci, all’inizio di via Libertà fu aperta una sala estiva. Chi la ricorda ha memoria della proiezione di grandi caplòn, i film del Far West, di un pubblico ancor più fracassone e intemperante, degli innumerevoli tentativi di ragazzi di intrufolarsi senza pagare il biglietto d’ingresso, delle file di sedie in legno, assai precarie e instabili, che a volte si rovesciavano indietro, della povera “maschera”, il mitico Guerròtta che con un diavolo per capello, per lo più vanamente, tentava di contenere e respingere i tentativi dei troppi portoghesi. Forse anche per questo, fu un’esperienza abbastanza breve che si esaurì nei primi anni ‘60.

L’“Ariston”, 1960-1980 | Sul finire degli anni ‘50, visto il grande successo di pubblico del “Garibaldi”, Giovanni Bini, assieme ad Anna Garbesi, allora vedova di Carlo Croci, decise di aprire una seconda sala cinematografica; assieme ad un terzo privato fu costituita una società che provvide a costruire un apposito immobile in via della Pace. Nel 1960 iniziarono le proiezioni nel nuovo cinema “ARISTON”. Nei primi anni ‘60 la sala vide ancora una buona presenza di pubblico, ma ormai anche a Medicina la televisione iniziava ad occupare uno spazio ed un ruolo crescente negli interessi e nelle case dei medicinesi, dopo aver invaso i bar ed i luoghi pubblici, a scapito soprattutto del cinema. Né valse provare a intercalare ai film a volte nelle sale cinematografiche alcune delle trasmissioni di maggior successo, come “Lascia o raddoppia?”. Così nel 1970 il “Garibaldi” cessò le proiezioni; l’immobile, successivamente ristrutturato, fu adibito a sede dell’ufficio postale, di un bar e di altre attività. L’“Ariston” rimase l’unica sala cinematografica del paese ma rapidamente l’affluenza del pubblico andò progressivamente esaurendosi. Alla fine degli anni ‘70 società e gestione del cinema restarono affidate alla Banca Popolare dell’Emilia; nel 1980 anche le proiezioni dell’“Ariston” cessarono, l’immobile fu riconvertito in appartamenti e da allora Medicina è restata priva di cinematografi e i suoi non troppi cinefili costretti a recarsi a Bologna, a Imola o nella più vicina Castel San Pietro.

Il cinema nella “Casa del Popolo” | Va ricordata infine l’esperienza del cinema nella “Casa del Popolo” di via Battisti, l’immobile costruito con lavoro volontario e contributi economici dai medicinesi a partire dal 1954, su iniziativa dei partiti Comunista e Socialista locali, in risposta alla requisizione nel 1953 da parte del governo della precedente Casa del Popolo (ex Casa del Fascio) di via Saffi. Come ricorda Pietro Poppini, l’1 ottobre 1956 nell’immobile dai medicinesi ribattezzato “Cremlino”, iniziarono le proiezioni, saltuarie e riservate ai soci; solo nel gennaio 1973 la Casa del Popolo ottenne infine, dopo averla chiesta inutilmente per tanti anni, la licenza per proiezioni aperte al pubblico ed iniziò un’attività di sala cinematografica sotto il nome di “Nuovo Garibaldi”. Si era però ormai nella fase calante dell’interesse per il cinema; le proiezioni, in soli alcuni giorni della settimana, si esaurirono negli ultimi anni ‘70. A lungo scarsamente o per nulla utilizzato, l’immobile fu demolito nel 1999 e convertito in appartamenti.

Giuseppe Argentesi

Testo tratto da "LA PARABOLA DEL CINEMA A MEDICINA 1919-1980: sessant’anni di iniziative imprenditoriali", in "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 10, dicembre 2012.

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Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi, Associazione Pro Loco Medicina, n. 10, dicembre 2012. © Associazione Pro Loco Medicina.

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