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I pranzi patriottici in epoca rivoluzionaria

1798

Schede

“Il giorno del pranzo patriotico delle generose ed amabili cittadine è fissato pel dì 9 pratile (28 corrente maggio) e l’ordine stabilito è il seguente: 1- Le cittadine Soscritte sono invitate a portarsi alla casa delle Scuole nel giorno suddetto ad un’ora dopo mezzodì con le rispettive povere Commensali, (…) Alcune Cittadine reciteranno brevi discorsi proprj della circostanza. 2- Appena ricevuto l’avviso dei Deputati alle tavole partiranno a due a due, la ciascuna colla sua povera per mano, (…) 3- Ognuna potrà essere vestita ad arbitrio, ritenuto il solo principio che la decenza deve in quel giorno regolare la moda e la modestia Democrazia deve assistere alla toletta. 4- Sono caldamente invitate tutte le Cittadine soscritte, per quanto amano la patria e la virtù di cui si accingono a dare sì luminoso esempio, a voler superare (…) qualche piccolo incommodo e qualche circostanza inopportuna (…) e concorrere personalmente a rendere numeroso il fraterno convito. Quanto sarà glorioso per essere il poter dire: il sesso debole ha superato in virtù il più forte! (…) Cittadine! Voi vi affrettate a dare un grande spettacolo di Virtù Repubblicana. Possa questa Virtù regolare in quel giorno tutte le vostre azioni! Possa parlar coi vostri labbri e trionfare nei vostri sguardi! Cittadini! (…) La Giustizia e la legge fisseranno in quel dì immobile e severo lo sguardo a custodia dell’innocenza e del buon costume. Caste spose, vergini pudiche, venite, e non temete. (…) I cesti per gli avanzi del pranzo si distribuiranno a maggior commodo nel Palazzo Nazionale. (...) Il dopo pranzo alle cinque vi saranno alla piazza d’armi le evoluzioni militari (…) Si passerà dopo al Teatro Nazionale. Vi sarà Festa di Ballo tanto nel Teatro, quanto sulla piazza anteriore al medesimo. E’ inutile il dire, che si farà quanto sia possibile pel decoro, per l’eleganza e pel buon ordine. Viva l’Eguaglianza! Viva la Virtù Muliebre!”

Queste parole sono estratte dalla Notificazione data alle stampe il 17 maggio 1798, anno sesto repubblicano, che chiamava a raccolta le donne bolognesi di condizioni diverse – le cittadine e “le più povere”- invitandole ad un “pranzo patriottico” sulla pubblica piazza, ovvero nella piazza Maggiore. Non era un evento banale: chiamare in piazza le donne di “buona famiglia”, che per tradizione vivevano una vita all’interno delle mura domestiche e non partecipavano ad eventi pubblici, e chiamarle a condividere la tavola con “le più povere”, era senz’altro un evento speciale. Ma cosa erano i Pranzi patriottici? Tra le tante nuove ritualità introdotte dalla Rivoluzione Francese, e portate poi in tutta Europa al seguito dell’Esercito Rivoluzionario – gli alberi della libertà, i roghi dei titoli aristocratici, le feste civili e non più religiose – quella del Pranzo patriottico si legava in senso molto forte al principio di Eguaglianza, proclamato, unitamente a Libertà e Fratellanza, nei motti e nelle costituzioni rivoluzionarie. Nel corso del triennio giacobino – 1797-1799 – che vide la presenza francese in chiave decisamente rivoluzionaria anche a Bologna, si tennero alcuni di questi eventi. Celebri sono rimasti, per la risonanza che ebbero, i Pranzi patriottici del 1798, o meglio dell’anno Sesto repubblicano: la domenica 3 floreale, ovvero il 22 aprile, quello riservato ai “Cittadini”, e il lunedì 9 pratile, ovvero il 28 maggio, quello riservato alle “Cittadine”.

Tutti i cronachisti e i giornali del tempo ne parlarono, più o meno diffusamente: dal foglio ufficiale “il Monitore bolognese” al “Quotidiano bolognese”, dal patriota fervente repubblicano Giuseppe Guidicini nel suo “Diario bolognese”, al nobile e pettegolo marchese Tommaso De’ Buoi nel suo “Diario delle cose principali accadute nella città di Bologna dall'anno 1796 fino all'anno 1821”.

Nella cronaca del Guidicini cogliamo alcuni interessanti particolari: egli descrive l’allestimento della piazza Maggiore, realizzato per l’occasione, ma anche il percorso dei cortei ed i menù approntati. In occasione del pranzo dei Cittadini (maschi), tenuto il 22 aprile, egli così scrive: “A norma del proclama, stampato nella mattina, è stato dato nella pubblica piazza il pranzo patriottico, cui intervennero 524 cittadini ed altrettanti poveri. Molte tavole circondavano tutta la piazza, al disopra erano coperte di tela con guarnizioni di velo per difesa del sole. Nel mezzo della piazza era una tenda per la guardia civica e la banda. Tre numerose compagnie della guardia, cioè granatieri, cacciatori e fanti, guardavano l’interno ed esterno delle tavole. Usciti i cittadini contribuenti dalle scuole con a fianco ciascuno il suo povero (parte ciechi, parte storpi) si sono incamminati verso le fabbriche dirimpetto alle scuole, poi si sono diretti per sant’Andrea degli Ansaldi, da san Damiano, per Castiglione e per le Clavature alla piazza, dove hanno preso posto alle suddette tavole. La comitiva era accompagnata da 200 ufficiali della guardia nazionale, i quali, giunti in piazza, sono entrati nel pubblico palazzo a prendere le vivande e a distribuirle sulle tavole. La minestra era di maccheroni, i salumi erano sulle tavole. La seconda portata fu un lesso di manzo, la terza un umido di vitello, la quarta un arrosto di agnello, la quinta delle crostate, regalate dall’ex-senatore Lambertini che furono 250, e la sesta portata di formaggio e frutta. Tutto il pane e il vino nero è stato somministrato dal cardinale arcivescovo; il vino bianco è stato dato da diversi cittadini… La sera vi fu veglione gratis”. La cronaca riportata dal “Monitore bolognese” è più ampia ed esultante: l’ignoto redattore sottolinea continuamente il clima festoso e l’entusiasmo della popolazione tutta, a discapito dei detrattori e aspiranti sabotatori, che non mancarono neppure in quell’occasione: “...L’Arbore della Rigenerazione (l’albero della libertà) sarà fregiato ed adorno di emblemi allusivi alla Festa… Ghirlande, ed allori intrecciati, formeranno un vago spettacolo all’occhio, ed inni patriottici, e liete sinfonie della banda militare, ecciteranno il più vivo entusiasmo nel cuore dei Cittadini” si legge nella presentazione della festa, nel numero 32 del Monitore, uscito il giorno precedente. Nella cronaca riportata invece a festa avvenuta, sul numero 33, uscito il 24 aprile, si leggono frasi di questo tipo: “… Con lungo giro di tre contrade, in mezzo ad immensa folla di popolo, si giunge alla gran Piazza. Le tavole disposte intorno a parallelogramma; e coperte di tele adorne di colorati veli; l’Albero della Libertà fregiato di nuovi ornamenti; un popolo innumerabile, che circondava lo steccato entro cui erano chiuse le tavole; … formavano un quadro imponente. I bravi militari destinati a servirgli si portano alle cucine collocate nel Palazzo Nazionale (palazzo comunale), e con ammirabile ordine e celerità coprono di vivande le tavole già in parte coperte di fiori, e di vasi sostenenti piccole tricolorate bandiere… Verso il finir del pranzo si dà un segno generale di tamburi. Tutti i commensali s’alzano. Si dà il secondo tocco, ed un bacio generale impresso sulle guancie de’ poveri sanzionò il trionfo dell’Eguaglianza, la distruzione eterna dell’orgoglio. Il pranzo è finito. Comincia una gioja universale, che trattiene in fino a sera numerosa copia di popolo attorno l’Albero Rigeneratore.” Interessante una annotazione in merito agli inni ed alle musiche eseguite dalle numerose bande militari per l’occasione: tra gli autori è ricordata la “brava, ed amabile Cittadina Maria Giorgi”, autrice della musica dell’inno patriottico che fu eseguito durante il pranzo.

Un mese dopo, il “Monitore” preannuncia, sempre con grande enfasi, l’imminente Pranzo patriottico delle Cittadine: “...nel giorno 9 pratile (28 maggio) in cui le nostre Cittadine sensibili, e democratiche riconosceranno col pubblico pranzo patriotico per sorelle, e per loro eguali le infelici nate nell’indigenza...” (numero 42 del 26 maggio). L’articolo continua con una interessante invettiva rivolta a tutti coloro che vorrebbero boicottare il previsto pranzo femminile: “Tutto è in moto per il pranzo patriotico delle Cittadine di lunedì. Nel moto universale vi sono dei moti particolari e segreti per impedire il moto di alcune Cittadine a questa Repubblicana funzione. Gli Agenti sono alcuni pretuccoli, alcuni bigottoni, alcune pinzocchere, alcuni fratacchioni. Se sapeste cosa dicono? Se sapeste cosa fanno? Cose degnissime di riso e di pietà. Dicono, per esempio, che una donna, ed una ragazza non debbono esporsi alla vista di migliaja di persone. Ipocriti! Si esponevano bene alle vostre processioni … con bei mazzetti di fiori in petto, con tutte l’eleganze della moda indosso; ma allora si trattava di sante botteghe, che vi empivano la borsa, miei cari Preti, e Frati, ed ora si tratta di dar da mangiare ai poveri… Le brave cittadine si copriranno di gloria e di benedizioni. I pretuccoli si morderanno le labbra, i bigottoni bestemmieranno devotamente, le pinzocchere creperanno di rabbia, i fratacchioni sbufferanno per il dispetto, e tutto andrà sorprendentemente bene.”

Purtroppo ci mise lo zampino il tempo mutevole di fine maggio: “… la piazza sola così ornata e disposta con festoni tricolorati per tutto, colle tavole coperte alla Bruto di berrettine rosse, di fiori, di verdura, con superbi pennacchioni sopra le tende, con altre quattro tende ai quattro angoli per la Guardia Nazionale, dava di sé un compìto, vaghissimo spettacolo”. Il corteo partì dalle Pubbliche Scuole, site in quella che oggi è via Farini, di fronte a Piazza Minghetti, si snodò senza intoppi per il Pavaglione, sino in piazza Maggiore, dove però “Appena assise le cittadine a tavola con le indigenti compagne, ed assaggiata la prima portata, un’improvvisa violentissima pioggia disperse le commensali, che si ricovrarono parte sotto i portici e parte nel palazzo nazionale, ove confusamente fu dispensato il restante del pranzo alle povere indigenti, che si presentarono a riceverlo.” (Guidicini) Più drammatico e poetico il resoconto del “Monitore”: “I bravi militari … preceduti dalla banda, servono in tavola le prime vivande….. Ahimè! Il Cielo in pria sereno si turba; già cade qualche goccia d’acqua, già densa nube s’avvanza, già un diluvio di acqua innonda per tutto… Tutto venne dispensato ai poveri dentro il Palazzo Nazionale. Sono le cinque, e torna a risplendere il sole...”. Il dispetto del tempo provocò ovviamente le inopportune considerazioni di tutti coloro che già avevano criticato l’idea di portare le donne sulla pubblica piazza, ma in ogni caso la serata terminò in tranquillità, col veglione offerto al Teatro, che sul retro era allestito con un “graziosissimo boschetto di alberi trasportati da cui pendevano fiaccole tricolorate. In fondo, in mezzo ad alta e folta spalliera di verdure, sorgeva la statua colossale della libertà, ed accanto ad essa due ordini d’orchestra per la banda militare. Il teatro, gli archi, il boschetto, l’eleganza, la disposizione, l’invenzione formavano un tutto brillante, spettacoloso, magnifico, una di quelle cose insomma, che bisogna vedere, per poterne comprendere il pregio e la bellezza. Tutto fu ritrovato, ed opera del Cittadino Mauro Gandolfi.”

Mirtide Gavelli