Fuga di Angelica

Fuga di Angelica

1858

Scheda

Gaetano Belvederi (Bologna, 1821 - ivi, 1872), Fuga di Angelica, 1858. Ubicazione: sconosciuta. La foto del dipinto riporta una dedica del nipote di Gaetano – e non figlio come indicato in molti cataloghi a stampa – l’ingegnere Paolo Belvederi. Sappiamo che quattro quadretti di tema risorgimentale di Belvederi conservati al Museo Civico del Risorgimento furono esposti al Tempio del Risorgimento in occasione dell’esposizione del 1888 (Belluzzi e Fiorini 1901, n. 73, p. 58, nn. 75 e 200, p. 67), prima di essere donati nel 1891 al costituendo Museo. Si ipotizza che uno di questi due momenti, il 1888 o il 1891, possa esser stato occasione per questo dono personale. In ogni caso dà prova di un’amicizia e di un preciso periodo di frequentazione. Bellentani dice di Belvederi che “[...] si piace di ispirarsi all’Orlando” e nel 1856 annuncia che: “Avea risposto al mio desiderio e superata l’aspettazione Gaetano Belvederi graziosamente pingendo con anima e gusto le boschereccie insidie amorose di Alcina e Ruggiero cantate dall’Ariosto, ma soverchia modestia ne defraudò l’Esposizione” pronosticando per l’anno successivo, come puntualmente avverrà, l’esposizione del Funerale di Zerbino. Successivamente Belvederi partecipa all’esposizione della Protettrice delle Arti del 1858 con la Fuga di Angelica, dal Canto I del poema dell’Ariosto, che la Società acquista per 220 scudi romani e che è poi assegnata per sorteggio al dottor Bernardo Notari. Bellentani lo definì “tutto fuoco ed ardire romantico”, tuttavia ne sottolinea anche alcuni difetti, difficilmente interpretabili partendo dalla fotografia in bianco e nero di cui disponiamo: “[...] sennonchè un maggiore pallore avrebbe in lei dimostrato e l’ansia della rovinosa fuga ed il timore, che Sacripante e Rinaldo non la raggiungano, oltredichè qualche livido nelle carni qualche tinta metallica nel cavallo possono considerarsi mende in questa pittura: vero è che questo è tutto sudato e che, avendo bianco pelame, così diviene di fatto; ma gli occorrebbero [sic] certi lustri che mancano: e se baio poi fosse stato, avrebbe giovato alla luce della donna. Eppure il difficile scorcio nella testa del corsiero, le magnifiche pieghe ondeggianti, l’opportunità, la poesia del luogo, il facile tocco, l’anima, d’impronta del genio, non che perdonare i piccoli nei, danno gran fama a questo giovane artista”. Collina legge questo quadro come culmine della ricerca espressiva del pittore: una virata “verso una ricerca stilistica romantica neobarocca”. Tuttavia non è dato sapere se questa strada intrapresa abbia avuto altri esiti altrettanto romantici e vorticosi, dato che i suoi dipinti successivi conosciuti sono il Monna Ghita di Tovaglia (1866, n. 38) e il Napoleone III (1865 ca., ante 1867).

Isabella Stancari

Testo tratto da: Isabella Stancari, 'Il Primo album fotografico Belluzzi e i pittori bolognesi della Seconda metà del secolo XIX', Bollettino del Museo civico del Risorgimento, Bologna, anno LXIII - LXVI, 2018 – 2020, Bologna, 2022. Bibliografia: Bellentani 1856, pp. 4, 124; Bellentani 1857, p. 20; Bellentani 1858, pp. 20, 35-36, 50; Rapporto 1858, n. 2; Masini 1867a, p. 16; Bologna 1983b, pp. 62, 199; Bologna 1994, p. 98.

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