Ferlini Giuseppe

Ferlini Giuseppe

24 Aprile 1797 - 30 Dicembre 1870

Note sintetiche

Scheda

Appena diciassettenne, per dissapori con la matrigna, fuggì da casa, recandosi prima a Venezia e poi a Corfù. Avendo acquisito, sicuramente “sul campo”, qualche nozione di medicina, a soli vent’anni riuscì a trovare un impiego come medico presso le truppe irregolari di Alì pascià di Giannina, in Albania. Sconfitto e ucciso il suo “datore di lavoro”, nel 1822 Ferlini passò in Grecia, allora impegnata nelle lotte di liberazione dai Turchi, ed entrò nelle file dei ribelli sempre in qualità di medico. Per tutti gli anni ’20 i suoi spostamenti furono frequenti, e seguirono i movimenti delle truppe e l’andamento del conflitto greco-turco. Rientrò anche a Bologna, solo per pochi mesi, nel 1827. Nel 1829 si imbarcò per l’Egitto, dove Mohammed Alì stava cercando di dare un assetto più moderno all’amministrazione ed all’esercito, e cercava ufficiali, medici farmacisti, ingegneri ecc., reclutando molti stranieri in cerca di sistemazione per le più varie motivazioni.

Nuovamente arruolato come aiutante maggiore medico presso un ospedale a 4 ore di cammino dal Cairo, questa volta dopo aver sostenuto un esame di selezione, si trovò a lavorare con molti altri europei. Anche qui si scelse una compagna locale, vivendo con lei come già aveva fatto in Grecia (la donna con cui aveva vissuto alcuni anni in Grecia era morta nel 1827). Mal sopportando la “monotona” vita dell’ospedale, nel 1830 chiese di essere aggregato ad un corpo di spedizione, muovendosi così sempre più verso sud, nell’area del Sudan. Sempre in qualità di medico fu poi impegnato presso ospedali sempre più remoti: nel Sennar, nel Kordofan, a Khartoum, nell’alta Nubia.

Cominciava oramai a prendere forma nella sua mente l’idea di avventurarsi alla scoperta di favolosi tesori sepolti, retaggio della civiltà egizia. L’area cui rivolse la sua attenzione era stata scoperta e descritta dieci anni prima dal francese F. Caillaud: si trattava dell’antica città di Meroe con le sue ottanta piramidi funerarie! Grazie ai contatti ed alle “amicizie” con maggiorenti locali strette nel corso del tempo anche grazie ai suoi uffici di medico, riuscì ad ottenere i lasciapassare necessari ed a reclutare gli uomini. La spedizione partì verso Meroe nell’agosto del 1834.

Tra alterne vicende e difficoltà anche gravi, dopo lunghi scavi e, come d’uso allora, dopo demolizioni di piramidi per accedere all’interno, nella piramide più grande Ferlini ed il socio, l’albanese Stèfani, trovarono finalmente un ricco corredo funerario, che tennero accuratamente nascosto agli operai indigeni (per timore di furti o peggio). Nonostante le precauzioni, la notizia del ritrovamento era filtrata tra le maestranze; dopo una quindicina di giorni i due soci, con le loro donne e tre servitori fedeli, caricarono nottetempo alcuni cammelli e fuggirono, riuscendo ad imbarcarsi sul Nilo. Giunti rocambolescamente, ma salvi, al Cairo, dove tra l’altro infuriava una pestilenza, Ferlini riuscì ad ottenere il congedo e le paghe arretrate, e verso la fine del 1836 riuscì ad imbarcarsi per l’Italia, sbarcando prima a Trieste e poi, dopo qualche tempo, rientrando finalmente a Bologna. L’avventura di Ferlini, che al pari di molte altre vicende analoghe del tempo era in fondo consistita in un vero saccheggio di oggetti, lo rese celebre, e lui ne descrisse le vicende, tentando di edulcorarne i particolari, in relazioni e memorie, che avevano in primis lo scopo di vendere il tesoro per ricavarne il più alto guadagno possibile. Dopo trattative anche fallite, Ferlini riuscì a vendere una parte del tesoro a Ludwig I di Baviera (si trova tutt’ora a Monaco), mentre della parte restante, che tentò di vendere a Londra, si occupò curiosamente anche Giuseppe Mazzini, allora esule, che accettò di fargli da agente (nel frattempo Ferlini, oltre al tesoro di Meroe, si era messo anche a commerciare oggetti rinascimentali, molto richiesti a Londra). A Londra aveva conosciuto anche Carlo Pepoli, anch’egli, come Mazzini, esule nella capitale britannica. Il rapporto Mazzini-Ferlini durò circa un anno, tra il 1842 e il 1843 (se ne trova traccia nelle lettere del genovese). Il British Museum non volle comunque acquistare il tesoro, ritenendolo falso, così che in seguito Ferlini lo vendette ad emissari berlinesi del Neues Museum. Ferlini donò sue pubblicazioni al Re Vittorio Emanuele II in occasione della sua visita a Bologna nel maggio 1860; a Bologna fu in buoni rapporti con Carlo Pepoli, tornato dall’esilio, e con Livio Zambeccari, che lo aiutarono nel suo contatto con il Museo egizio di Torino, cui donò la collezione dei facsimili dei bronzi e degli ori, Nel 1843 donò poi alla città di Bologna la serie completa dei fac-simile degli oggetti preziosi da lui trovati, ed altri oggetti.

Ferlini, in virtù dei suoi viaggi, aveva imparato in modo fluente il greco, l’albanese, l’arabo e l’inglese (dall’inglese fece traduzioni anche per Marco Minghetti). Viaggiò poi anche in tutta Europa. Dai viaggi africani, quando rientrò in Italia, portò con sé, oltre agli ori ed ai reperti archeologici, anche servitori africani. Di loro, giunse a Bologna solo un ragazzino, Cassaballa, che il 9 marzo 1837 venne autorizzato dal Cardinale Oppizzoni a restare in casa Ferlini come servitore, nell’intento di istruirlo nella religione cristiana. Di lui si occupò con intensità per anni, fino alla morte per tubercolosi polmonare che coglierà il ragazzo nel 1842. Cassaballa, benché non compaia sulla lapide, dove invece trovano posto i nomi della moglie Maria Lisini e di una delle di lei figlie, venne sepolto nella tomba di famiglia, come risulta dai fogli sepolcrali col nome di Ferlini Carlo Iariba, sepolto il 23 novembre 1842. Il ragazzo, tra il tripudio generale, era stato battezzato un paio di anni prima, e questo ne consentì la sepoltura in terra consacrata.

Ferlini restò sempre legato alla memoria dei suoi viaggi: nel 1848 si fece ritrarre in costume turco dal pittore Aureli, con le piramidi meroitiche sullo sfondo; girava per Bologna sfoggiando la barba di un rosso acceso, il servo nero sempre vicino, il corno di antilope al fianco come bastone da passeggio, le medaglie ottenute durante i suoi servizi militari… ma si dedicò anche ad attività economiche: nel 1843, in società con altri, acquistò da Luigi Roversi la Fabbrica Aldrovandi, che produceva vasi e stoviglie in porcellana e ceramica. Grazie ai proventi delle vendite delle antichità e dell'eredità dello zio Giuseppe riuscì a fornire 12.000 dei 17.000 scudi necessari per la transazione: nella società rimase anche Roversi, ma per vari dissapori dal 1844 Ferlini diventerà l'unico proprietario, affiancato da Raffaele Buresti, Paolo Muratori (fisico-chimico) e Carlo Scarabelli (ingegnere meccanico). Si deve a questo periodo la collocazione sulla sommità del monumento Ferlini alla Certosa del prezioso vaso ora conservato presso il Museo Davia Bargellini, in quanto tra i soci di minoranza vi era anche Filippo Ferlini, cui era intestato il monumento posto nel Chiostro Maggiore, realizzato due decenni prima dallo scultore Giovanni Putti. Con la morte di Giuseppe nel 1870 l'azienda passa fino al 1882 a Gaetano Accursi, ed alla sua morte alla moglie Vittoria Bonzani che proseguì la produzione. Nel 1891 l'azienda chiude e il fondo di magazzino sarà acquistato da Riccardo Zironi.

Nel 1864 Giuseppe Ferlini ottenne un brevetto per la conservazione delle carni, secondo un metodo da lui sperimentato in Africa e che avrebbe voluto vendere all’esercito. Fu impegnato anche in altri campi: fu capo-pattuglia nelle Pattuglie Cittadine e ufficiale della Guardia Civica nel 1848, Si sposò varie volte, di cui due in Italia: con Alma Baroni, morta nel 1853 e con la vedova di un amico, Maria Lisini, madre di quattro figli ancora bambini, nel 1858 (aveva avuto anche figli dalle compagne durante i suoi viaggi, sembra morti in tenera età). Dalla seconda moglie, nel 1862, a 65 anni, ebbe un’altra figlia, Clitennestra, sposata Boldrini.

Morì a Bologna il 30 dicembre 1870. Riposa nella tomba di famiglia collocata nella Sala delle Tombe della Certosa di Bologna. 

Mirtide Gavelli

Bibliografia: Giuseppe Ferlini, Nell’interno dell’Affrica 1829-1835, a cura di Walter Boldrini, Bologna, Ponte nuovo editrice, 1981; G. Fagioli Vercellone, Ferlini, Giuseppe, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 46, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1996, ad nomen; La ceramica dell'Ottocento nel Veneto e in Emilia - Romagna; Banca Popolare di Verona, 1998. I testi sono rilasciati sotto licenza CC-BY-SA.

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Articoli di argomento vario: Touring Club, esplorazioni, cultura funeraria, criminologia e brigantaggio, miniere di zolfo, fusione delle campane, eloquenza, pedagogia, scultura. Estratti dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1905/1906