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Ehi! ch'el scusa

15 febbraio | 18 aprile | 1948

Schede

Capodanno 1948. Bologna rinasce, ma lentamente, ancora lacerata nel corpo dalle brutali ferite della guerra e nell'anima da divisioni che sembrano insanabili. Il colore trova poco spazio nelle quattro striminzite pagine dei quotidiani, quando la crisi della carta non le riduce a due. L'intolleranza genera violenza e talvolta delitti; la miseria arma i piccoli ladruncoli. Il pane (ottanta per cento grano, venti segale) costa caro ed è razionato. Ma i cosidetti bollini del razionamento abbondano al mercato nero, così come quelli per la carne, che compare legalmente, ma non sempre, sui banchi dei macellai tre volte la settimana. Giungono dagli Stati Uniti, accolti da autorità governative in festa, "Treni dell'Amicizia" carichi di merci per i poveri. A cinquantaduemila bolognesi quasi poveri provvede l'UNRRA con una distribuzione di tessuti a prezzi, si legge, abbastanza contenuti. Crescono gli affitti; una frittata è pietanza da nababbi, visto che le uova costano 52 lire. I quotidiani che amministrano, con discordanti opinioni, quella grigia realtà, sono tre: il "Giornale dell'Emilia", di proprietà dell'Associazione degli industriali, diretto da Luigi Emery, il socialcomunista "Progresso d'Italia" (direttore il socialista Schiavetti), il cattolico "L'avvenire d'Italia" (direttore Raimondo Manzini).

A metà di gennaio (per fortuna la stagione è mite, stante la scarsità di combustibile) Corrado Corazza, valentissimo pittore ed acuto critico d'arte, nonché elegante scrittore, mi domandò a bruciapelo (collaborava a "L'Avvenire d'Italia"): - Senti un po', che cosa ne diresti di dirigere un giornale umoristico? Venivo dalla stampa umoristica (redattore-capo del "420" nerbiniano, poi, nel 1945, direttore di "Scaccomatto", un settimanale a diffusione nazionale del quale mi riprometto di raccontare la curiosa vicenda). Dissi: - Mica un nuovo "Scaccomatto", per carità? - No, no, un giornale bolognese, per ridere tra noi e far ridere, se possibile. C'è tanto bisogno di sorrisi. L'editore era Angiolo Silvio Ori, un caro collega di Modena, redattore de "L'Avvenire d'Italia", più giovane di me, che allora ero assai giovane, e perciò più intraprendente (o incosciente). Aveva comperato, nella sua città, una tipografia, gloriosa ma obsoleta, si direbbe oggi: l'antica Tipografia Ducale, ribattezzata Commerciale, ma assai poco rinnovata, tanto che i tipografi dovevano arrangiarsi per i titoli con vetusti, e appetiti dai musei, caratteri di legno. Ori aveva già pubblicato a Modena il settimanale: "Sandrone", affidato a penne poi divenute illustri: Guglielmo Zucconi e Giovanni Cavicchioli e alla velocissima e pungente matita del pittore Molinari. Ma un contrasto con i collaboratori aveva interrotto sul più bello il felice cammino del settimanale, cosicché egli aveva deciso di proseguire l'attività editoriale a Bologna. Il ricordo della cosidetta "vecia Bulgnaza" era ancora vivo e affascinante, illuminato dal sorriso di Alfredo Testoni, Giove di un Olimpo di giocondi, gaudenti e pacifici Dei dell'allegria: Lorenzo Stecchetti, Carlo Musi, Nasica, Fiacchi... Il mio sì fu quasi immediato e al sì s'accompagnò la proposta del titolo: "Ehi! ch'al scusa", vale a dire quello di un glorioso e allora indimenticato periodico umoristico dell'Ottocento, a cui i succitati Dei avevano a lungo collaborato. - Bene, - fece sapere Ori – si faccia Ehi! ch'al scusa. Primo problema: i collaboratori. - Io ci sto. - disse Corazza. E lì per lì disegnò la testata, con un errore di ortografia dovuto alla scarsa dimestichezza con il dialetto scritto. Ehi! ch'al scusa diventò così: Ehi! ch'el scusa. Ci prendemmo il meglio: Corazza anzitutto, poi Enzo Biagi, Giorgio Vecchietti. Il pittore Dino Boschi, allora giovanissimo, allievo di Guglielmo Pizzirani, austero ancora col pennello, in attesa di scoprire le stazioni e i campi di calcio, ma con la matita divertito e divertente. Infine Fulvio Apollonio, negli anni cinquanta trsmigrato a Firenze. Prima riunione in via Rizzoli, da Viscardi. Un caffè a testa, misero misero, con molta cicoria, e moltissime idee. Biagi si incaricò della critica cinematografica e della cronaca mondana; Vecchietti propose un saluto manzoniano ad uno degli ultimi vespasiani e due rubriche: "Scrive il generale Cialdoni. Come ti istruisco le masse", una presa in giro del linguaggio e della mentalità dei militari, e "Bologna che scompare. Cronache del 3500", azzecatissimo pretesto di satira su persone e avvenimenti. Corazza offrì "Una vera guida per il forestiero ignaro", nonchè note d'arte e disegni. A Apollonio toccarono le prese in giro spicciole e i commenti alle notizie. Il sottoscritto si accollò l'imitazione del Sgner Pirein di Fiacchi e una cronaca il più possibile irrispettosa del Consiglio comunale. Viveva ancora, in una bella villa in collina, ben vegeto e più che mai vispo, sebbene ultraottantenne, Augusto Majani, alias Nasica, l'ultimo dei collaboratori di "Ehi! ch'al scusa". Salii il colle, con la trepida venerazione di un pellegrino, per recare l'annuncio della sacrilega rinascita e insieme una richiesta di collaborazione. Nasica benedì il ritorno e accettò, sebbene una tantum, di essere dei nostri. Lo vedevo contento di essere ricordato, dopo tanti sconquassi. Disse: - Sa cosa faccio? Scrivo il resoconto di una seduta spiritica con Testoni. Mi pare giusto che sia lui a rievocare i bei tempi passati. Ritorni fra una settimana. Dopo una settimana, ecco, con puntualità antica, pronto il pezzo e, in più, una caricatura di Testoni. Non potevamo aver miglior battesimo. Restava il problema degli uffici redazionali. Scegliemmo due sedi: una, per lavorare, presso il Gruppo turistico bolognese al numero 29 di piazza 8 Agosto (g.c.), l'altra, per chiacchierare, presso il ristorante Sampieri, nella via omonima. "Il pubblico, avvertiva un annuncio collocato sotto il titolo, si riceve ogni sabato, dalle ore 16 alle 18, nella redazione per chiacchierare. Si prega di depositare bastoni, mitra ed altri oggetti contundenti nell'apposito posteggio, curando di ritirare la contromarca allo scopo di evitare, all'uscita, spiacevoli cambi di mitra. I manoscritti non si restituiscono, ma vengono venduti ogni mese al pizzicagnolo."

Le due redazioni restarono però sempre deserte. Quella per lavorare era proforma; alle chiacchiere rinunciammo per mancanza di tempo. Ogni tanto il proprietario del Sampieri telefonava. - Siete ancora vivi? - E noi: - Si, si, stia tranquillo. Prima o poi vedrà che arriviamo. Intanto dica che abbiamo tutti il morbillo. Ed eccomi in viaggio verso Modena, su una corriera segnata, di fuori e di dentro, dalle vicissitudini belliche, con la scorta di un panino per il pranzo. La tipografia era nella centralissima via Canalchiaro. I tipografi anziani come le attrezzature. Per risparmiare, Ori aveva deciso di stampare con procedimento litografico le illustrazioni più grandi, che oltretutto erano a colori (uno solo, nel primo numero ocra scuro, ma richiedente una doppia tiratura). Con quel procedimento bisognava disegnare direttamente sulla lastra litografica. Boschi e Corazza si affidarono alla conclamata abilità del litografo nel ricopiare fedelmente. Fedelmente si, constatammo poi, ma con tratto rozzo e ingiustificate sbavature. Si partì, comunque, dopo esserci arrabattati per piegare alle esigenze giornalistiche caratteri predisposti per bandi ducali. Fummo accolti con simpatia. Non ricordo la tiratura, ma credo che all'inizio fosse ragguardevole per una città povera e incupita. Molti anni dopo, in alcuni miei libri, ho rinfacciato a Giove-Testoni e agli altri dei lo scarso impegno politico, la tendenza a sorridere sui fatti senza indagarli. Mi ero dimenticato di quel nostro "Ehi! ch'al scusa", il quale, con eccessiva fedeltà al motto dell'altro: "colle persone usare dei modi gentili", aveva navigato con animo da diporto su un mare ben più ribollente. Le nostre gaudiose vellicatine lasciavano indifferenti i politici abituati a maneggiare la sferza e a subirla. Ma quanta suscettibilità tra i laici, quante minacce di querelarci. Le proteste riguardavano specialmente una rubrichetta: Oggetti smarriti. Protestò con molta vivacità un salumiere del centro, che aveva il vezzo di imbiondirsi i capelli, al quale attribuimmo la perdita di due scamorze e di un flacone di ossigeno. Se la prese, boicottandoci, Filomena Bontà, la vecchia, sempre sbraitante e non molto linda giornalaia di piazza Calderini, nel vedersi attribuire lo smarrimento di "una saponetta non usata dal 1812". Ma il peggio venne dalla "Vera guida per il forestiero ignaro". Descrivendo la pasticceria Calderoni di via Indipendenza frequentata, per la vicinanza di alcuni quotidiani, da molti giornalisti, Corazza scrisse che il titolare "è di quelli che mostrano di non vedere nulla ma vedono benissimo che Perbellini e Zanotti mangiano cinque paste e ne pagano tre". Era una malignità infondata, naturalmente. Giuliano Zanotti ci rise su, ma Perbellini, uomo di altri tempi, firma illustre ed amata, ne fece una vera tragedia. Corazza dimostrò il suo pentimento a suon di paste. Ottenne il perdono di Perbellini e di Zanotti, ma non quello della cassiera dell'Arena del Sole. "Un mio amico romano, aveva scritto, certo Nestore Spacca, da me personalmente condotto all'Antica Arena del Sole, nel vedere la cassiera che è un vero fenomeno (sembra Miriam Hopkins fra 18 anni) ha esclamato: "Che cesso!" con allusione all'antico locale". Bravi? Simpatici? Divertenti? Forse. Ma i bolognesi avevano ben altro per la testa: il costo della vita in aumento, la crescente disoccupazione e, in più, le vicine elezioni, quelle, divenute famose, del 18 aprile. Il giornale costava 25 lire: troppe, diceva il distributore. Ori, angustiato dai magri affari della decrepita tipografia, per giustificare il prezzo a partire dal numero 5 del 14 marzo raddoppiò il formato (ma ridusse a quattro le pagine che prima erano sei e impiegò vecchi cliché del "Sandrone" con battute "bolognesizzate". Inoltre, non c'erano più le rubriche di Biagi e Vecchietti, assorbiti da altre più gratificanti attività). Il 18 aprile si avvicinava. Circuito da politici in caccia di favori propagandistici che non mi andava di accordare, proposi un break all'editore. Il numero 6 affrontò le edicole il giorno delle elezioni. "E' morto "Ehi! ch'al scusa?" si saranno chiesti i nostri lettori. No, non è morto: ha voluto solo dimostrare di non esser nato per la campagna elettorale. Ha lasciato il posto ai politicanti. Torna ad uscire proprio oggi e cioè il giorno che i politicanti tacciono in attesa del responso delle urne. Per conto nostro vi diciamo soltanto: Votate per chi vi pare". Era l'ultimo, nobile o ingenuo?, messaggio. Stanco io del ruolo di vice Testoni in una città irremidiabilmente cambiata, stanco Ori di fare l'editore in perdita, ditratto e immusonito il pubblico, chiudemmo bottega.

Franco Cristofori

Trascrizione da testo autografo di Cristofori in collezione privata.