Cultura del bere a Bologna

Cultura del bere a Bologna

1796 | 1915

Scheda

Il rifornimento idrico di Bologna rimase problematico almeno fino agli anni Ottanta del XIX secolo: la città infatti mancava sia di un acquedotto che di una rete fognaria efficiente e ciò rendeva le condizioni igieniche assai precarie. Attraversavano il centro della città i canali di Savena e di Reno (suddivisi in una rete di canali secondari) e il torrente Aposa. I canali erano alimentati soprattutto dal Reno, utilizzato anche come collettore fognario (per convogliare le acque reflue e farle defluire lontano dalla città). La forza motrice generata dal flusso d’acqua nei canali veniva sfruttata da vari opifici i quali inoltre vi riversavano direttamente rifiuti e scarichi (era dunque molto inquinata); quelle stesse acque erano utilizzate per una gran varietà di impieghi inclusi igiene personale, nettezza urbana, lavaggio dei panni ed anche per alcuni usi alimentari. L’acqua da bere si attingeva dai pozzi (14.500, su tutto il territorio comunale, numero stimato dall’inchiesta sanitaria del 1885); purtroppo neppure l’acqua dei pozzi era potabile perchè la falda freatica, che li alimentava, era contaminata a causa delle dispersioni provenienti dalla rete fognaria e dei liquami scaricati dai pozzi neri direttamente nel terreno. Quando l’antico acquedotto di epoca romana venne ripristinato, nel 1881, non si esaurì il ruolo dei canali che continuarono a fornire acqua a strutture come lavatoi e bagni pubblici. Nella fornitura di acqua potabile, in particolare per la popolazione più povera, i pozzi persero progressivamente terreno a vantaggio delle fontanelle pubbliche, introdotte in un secondo momento e alimentate non dall’inquinata falda freatica, ma dall’acquedotto, con conseguente miglioramento delle condizioni igieniche per la città.

In un mondo in cui la popolazione beveva acqua proveniente da pozzi, cisterne o acquedotti, a fine Ottocento nacque l’industria dell’acqua minerale, naturale o gassata (acqua gassosa). Nel 1901 iniziò la produzione della celeberrima Idrolitina del cavalier Gazzoni che con le sue cartine rosse e blu segnò un’epoca ed ebbe per decenni amplissima diffusione, grazie anche ad azzeccate forme pubblicitarie. Rendeva l’acqua leggermente gassata. Ancora oggi si trova in vendita nella caratteristica scatola gialla contenente non più i due tipi di cartine piegate, ma un unico tipo di bustina sigillata. Cercare sollievo e salutare riposo grazie alle cure termali, all’acqua di sorgente, fresca e pura, in luoghi immersi nella quiete e nel verde, lontani dal caos dei grandi centri, divenne nel corso dell’Ottocento consuetudine per ampie fasce di pubblico. Le località nell’area di Bologna che ospitavano fonti di acque minerali erano numerose: ben 67 ne registrò Alfonso Barbieri nel suo scritto 'Cenni sulla idrologia medica nella montagna bolognese', pubblicato nel 1881. A Barbianello per esempio sorgeva un rinomato stabilimento termale che offriva acqua “fresca, limpida con un leggero sapore di chiodi arrugginiti, prova evidente che del ferro ve n’è” come osservò Oreste Cenacchi dalle pagine del periodico Ehi! ch’al scusa! (luglio 1881) come riporta Molinari Pradelli in "L’Emilia Romagna com’era". L’acqua di Barbianello infatti era notoriamente ferrosa, caratteristica posseduta pure dall’acqua di Corticella, detta per ciò “marziale”. Scoperta la fonte nel 1826, la sua efficacia venne attestata molto tempo dopo da una certificazione della Società Medico-Chirurgica che la rese fruibile soltanto nei primi anni del Novecento, quando ormai l’area nel suo complesso era scivolata nell’oblio (dovuto al declino del vicino canale Navile). Negli ultimi decenni dell’Ottocento era molto frequentato (soprattutto durante l’estate) uno stabilimento che prendeva nome dalla località di Casaglia, nella quale si trovava, ed era alimentato dall’acqua del torrente Ravone. Nel 1880 la sorgente d’acqua salino-iodata di Casaglia, come quelle di Barbianello e di Corticella, compariva in un repertorio di acque minerali italiane che ne riportava composizione e proprietà. Ne era autore il “cav. dott. Luigi Marieni medico primario emerito e consulente straordinario dello Spedale Maggiore di Milano”.

Vino e birra

Nell’ambito domestico era abitudine comune a Bologna e nel territorio bere vini locali, spesso di produzione casalinga, soprattutto bianchi (Albana, Trebbiano, Montuni), ma anche rossi (Lambrusco e Barbera) e in seguito vini bianchi come Sauvignon e Riesling provenienti da nuovi vitigni. Molti bolognesi acquistavano l’uva già pigiata e secondo l’usanza locale aggiungevano acqua al mosto, per evitare un prodotto giudicato troppo violento. Questa usanza era particolarmente deprecata da Carducci, che per il proprio consumo acquistava vini (spesso toscani) oppure li preparava, con uva prodotta in proprio o comprata, ma sempre alla maniera toscana poiché voleva vini rossi e puri senza aggiunta di acqua al mosto. Tra i suoi preferiti era il Lambrusco “… che Domineddio fece apposta (…) per annaffiare la carne dell’animale caro a Antonio Abate”. Nel territorio bolognese la produzione ebbe delle fluttuazioni raggiungendo i valori minimi negli anni Ottanta a causa dei danni alle viti provocati dalla filossera, con una ripresa successiva anche grazie all’introduzione di nuovi vitigni. Si ebbe un aumento del consumo soprattutto nell’ultimo trentennio del secolo. A Bologna nel 1875 erano attivi circa 900 esercizi tra osterie, trattorie, rivendite di vini e liquori, bettole, “buche” (rivendite di vino situate sotto il livello stradale), locande, ristoranti, taverne, caffè, birrerie, bigliardi e alberghi. Nelle tante osterie e bettole si servivano vini locali, mentre nei caffè e nei ristoranti venivano proposti vini toscani, francesi, spagnoli, o costosissimi vini esotici. Tra i locali di maggior richiamo erano la Fiaschetteria Toscana in via Malcontenti e la bottiglieria di Luigi Cillario in via Rizzoli frequentate con assiduità da Carducci, che in quest’ultima aveva un tavolo riservato. L’Osteria del Sole in vicolo Ranocchi è tra le più antiche e ancora in attività, mentre dell’Osteria All’offesa di Dio in via de’ Foscherari, non più in attività, si diceva dovesse il nome ad un piccante episodio di tradimento coniugale. Altri locali tra i più frequentati erano la bottiglieria Rovinazzi, celebre anche come pasticceria, il Caffè degli Stelloni (uno dei locali aperti giorno e notte come richiesto ad esempio da una disposizione del questore del 1866). Ritrovo diurno di contadini e mercanti di bozzoli era il Caffè del Pavaglione. Tra i suoi avventori più illustri vengono ricordati Carducci e la sua cerchia, Minghetti e Gioachino Napoleone Pepoli. Da segnalare ancora tra i più noti il Caffè dei Cacciatori (presente nell’Indicatore bolognese del 1854 come Caffè dell’Ungherese) e il Caffè dei Servi, locali anche questi frequentati da Carducci (nell’ultimo il poeta sbrigava parte della corrispondenza).

Da sottolineare che grazie al diffondersi di caffè e pasticcerie anche le donne divennero frequentatrici di locali pubblici. Al Caffè degli Studenti, nell’attuale via G. Petroni, frequentato soprattutto da universitari, si giocava a carte o a dama mentre si discuteva di politica, di arte e di sport; nel 1888 vi fu chi celebrò qui gli otto secoli di vita dell’Università felsinea. L’Osteria dell’Angelo nel Borgo San Pietro era descritta da Alfonso Rubbiani nel 1882 come buia, tappezzata di caricature politiche e frequentata dalla popolazione umile del Borgo. “Quando morrò, lungo la terra mossa / non piantate il cipresso e la mortella; / io la mia tomba non la voglio bella, / ma giovevole altrui più che si possa;/ (…) Piantateci una vite! Il suo giocondo, / il suo celeste grappolo spremuto, / diverrà vino ghiotto e rubicondo, / e così, benché morto, il mio tributo/ ai vivi pagherò, rendendo al mondo/ qualche goccia del vin che gli ho bevuto”. Così scrisse Olindo Guerrini, sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti, nella composizione "Testamento". Il poeta e bibliotecario Guerrini era anche grande estimatore della birra e frequentatore abituale della Birreria Hoffmeister, locale in via Farini tra i più conosciuti in città, il cui proprietario Otto Hoffmeister introdusse per primo le “kellerine” (giovani donne con il compito di servire ai tavoli). Guerrini dedicò al birraio “idealista” la raccolta di sue poesie "Nova Polemica". H. Barth nel suo libro intitolato "Osteria" rievoca il birraio e il suo locale, meta di studenti e professori tedeschi che qui festeggiarono nel 1888 l’ottavo centenario dell’Università di Bologna. Tra i fabbricanti di birra è doveroso citare almeno Camillo Ronzani che iniziò la propria attività a Bologna nel 1855 in via delle Lame, trasferita poi nel 1887 a Casalecchio di Reno. Verso la fine dell’Ottocento nella preparazione della birra (così come nella diluizione del mosto e del vino) veniva ancora impiegata l’acqua del Reno, perciò la birra venne soprannominata l’Oro del Reno. Nei mesi estivi erano particolarmente frequentate birrerie e locali fuori porta come la Birreria Belletti fuori Porta d’Azeglio, uno dei ritrovi dell’Accademia della Lira.

Liquori e distillati

Nel mondo di liquori e distillati vanno ricordati vari tipi di rosoli. Una vastissima e rinomata offerta di rosoli dai nomi fantasiosi veniva proposta da caffè e laboratori: ad esempio il caffè di Vincenzo Galazzi ne offriva circa settanta varietà, tra le quali il Perfetto amore e il Labbro di rubino. Un ruolo di particolare rilievo nella produzione di liquori ebbe la ditta Buton. La “Distilleria Giovanni Buton”, rinomata ancora oggi, venne fondata nel 1820 a Bologna da Jean Bouton. Questi, nato da una famiglia di liquoristi provenienti dalla Charente, regione francese celebre per il cognac, aveva ottenuto in Francia un notevole successo, tanto da divenire fornitore della corte imperiale di Napoleone. Dopo la caduta di Bonaparte, Bouton cercò fuori dalla Francia un ambiente con caratteristiche favorevoli al proseguimento della sua attività. Trovò in Romagna un clima, un terreno e un vitigno (il trebbiano) adatti alla produzione di vini e distillati: si trasferì così a Bologna dove riprese la propria attività di liquorista avviando la ditta che trae il proprio nome da una italianizzazione del nome e cognome del fondatore. I prodotti Buton più apprezzati erano l’Amaro Felsina, l’Elixir Coca Buliviana (Coca Buton), liquore verde ottenuto da infuso di erbe e da distillato di foglie di coca, ancora in vendita oggi anche se poco diffuso, e il Cognac, distillato del trebbiano. La proprietà della ditta è poi passata alla famiglia Rovinazzi e più tardi ai Sassoli de’ Bianchi. I prodotti della ditta Buton ricevettero molte medaglie e riconoscimenti, culminati nella medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, ed ebbero enorme diffusione. Il distillato del trebbiano, rilanciato nel 1939 con il nome Vecchia Romagna nella caratteristica bottiglia triangolare, ancora oggi è molto apprezzato. Rilevanti erano anche altri prodotti come l’Amaro Montenegro, creato nel 1885 dalla ditta Cobianchi, che ancora oggi ha numerosi estimatori. Liquori di punta della Premiata Distilleria Fabbri, avviata da Gennaro Fabbri e dalla moglie Rachele nel 1905, furono i liquori Virov, a base di uovo e marsala, il Primo Maggio, con l’etichetta nella quale due lavoratori si stringono la mano e compaiono anche falce e martello, e l’Amaro Carducci, in onore del poeta premiato col Nobel nel 1906. Dalla iniziale sede di Portomaggiore presso Ferrara, la Fabbri fu trasferita qualche anno dopo a Borgo Panigale. Le ciliegie sotto spirito e le celebri amarene sciroppate, racchiuse negli inconfondibili vasi decorati in bianco e blu divenuti simbolo della ditta, sono ancora oggi prodotti molto apprezzati e diffusi.

Consumo di vino e alcolici: materia controversa

Tra gli anni ’80 dell’Ottocento e il 1910 il prezzo medio del vino prodotto in Italia diminuì drasticamente, mentre il consumo pro capite passò da una media nazionale annua di 68,4 litri (1884) ai 91 litri registrati nell’ultimo decennio del secolo. Secondo gli indici medi, tra il 1898 e il 1902 l’Italia era al primo posto fra i Paesi europei nei consumi di vino, ma all’ultimo nei consumi di birra e super-alcolici. Si ebbero pronunciamenti contrastanti di esperti con competenze in aree diverse, finalizzati a orientare le scelte degli italiani in ordine agli alcolici. Incentivi a bere più vino per sostenere l’industria vinicola contro la crisi venivano dagli economisti; fra i medici si affermava che all’origine dell’alcolismo vi fossero le bevande ad alto tasso alcolico come scrisse il dottor Lucio Gabelli nel 1912 in una relazione presentata alla Società Agraria della Provincia di Bologna: “Le statistiche (…) mostrano con evidenza proprio questo fatto che il vino non può se non indirettamente essere incolpato dell’allargarsi di questa piaga e che l’alcolismo è presso di noi causato quasi esclusivamente dall’alcol sotto forma di grappa, rhum, mistrà ecc.” Fra Ottocento e Novecento il consumo di vino e di altre bevande alcoliche era materia controversa: sia a livello nazionale che internazionale divennero più evidenti soprattutto le conseguenze negative del consumo di alcol rispetto a quelle positive. Da una parte se ne esaltavano i pregi salutari e la proprietà di aumentare la capacità lavorativa e la produttività, per questo a volte una parte del salario veniva corrisposta in vino. Per il presunto potere degli alcolici di infondere coraggio “borracce di cognac” ad esempio venivano fornite ai soldati della Prima Guerra Mondiale prima degli assalti alla baionetta, come ricorda Emilio Lussu in Un anno sull’altipiano. Dall’altra parte considerazioni mediche evidenziavano i danni alla salute per l’abuso di alcol, cresceva l’insofferenza verso l’ubriachezza e l’aumento di criminalità e povertà venivano messi in relazione col consumo d’alcol: atteggiamenti negativi verso il consumo di alcol che spinsero a provvedimenti per limitarne l’abuso. Inoltre non si può non evidenziare il ruolo di socializzazione ed anche di organizzazione politica svolto da osterie, birrerie, etc. Ad esempio, a Bologna, il Circolo Pisacane si insediò nell’osteria “ed Cipuloni” e alla fine del 1871 il Fascio operaio si costituì alle ‘Tre Zucchette’. Quindi alle preoccupazioni mediche si aggiunsero anche considerazioni politiche e sociali.

Stefano Lollini

Bibliografia: L. Marieni, Acque minerali. Notizie (…), Milano, Vallardi, 1880; L. Gabelli, Alcuni cenni sull’alcoolismo e sul disegno di legge Luzzatti, Bologna, Tipografia Cuppini, 1912; O. Cenacchi, Vecchia Bologna: echi e memorie. Con prefazione di G. De Frenzi, Bologna, Zanichelli, 1926; L. Stecchetti, Nova polemica, Bologna, Zanichelli, 1958; 150 anni di successi. Buton 1820-1970, Cremona, Nuova Mercurio Ed., 1970; F. Cristofori, Bologna: immagini e vita tra Ottocento e Novecento, Bologna, Edizioni ALFA, 1978; M. Degl’Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano, 1892-1914, Napoli, Guida Ed.,1983; A. Molinari Pradelli, L’Emilia Romagna com’era. Alberghi, caffè, locande, osterie, ristoranti, trattorie, Roma, Newton Compton Ed., 1987; R. Scannavini, Bologna: il sistema urbano dei mercati cittadini dal X al XX secolo, in Piazze e mercati nel centro antico di Bologna. Storia e urbanistica dall’età romana al medioevo, dal rinascimento ai giorni nostri, a cura di R. Scannavini, Bologna, Grafis Ed., 1993; E. Lussu, Un anno sull’Altipiano, Torino, Einaudi, 1998; F. Tarozzi, (scheda) in Un giorno nella storia di Bologna, l’8 agosto 1848: mito e rappresentazione di un evento inaspettato, a cura di M. Gavelli - O. Sangiorgi - F. Tarozzi, Firenze, Vallecchi Ed., 1998; G. Bertagnoni, (schede) in Cent’anni fa Bologna. Angoli e ricordi della città nella raccolta fotografica Belluzzi, a cura di O. Sangiorgi – F. Tarozzi, Bologna, Costa Ed., 2000, p.111 e p. 159; A. Molinari Pradelli, Bologna tra storia e osterie. Viaggio nelle tradizioni enogastronomiche petroniane, Bologna, Pendragon, 2001; G. Roversi, Produzione alimentare e consumi a Bologna, in Storia di Bologna. 4.I: Bologna in età contemporanea (1796 -1914), a cura di A. Berselli - A. Varni, Bologna, Bononia University Press, 2010; P. Stara, Vino, salute, pazzia, ubriachezza, società, economia e classe operaia tra otto e novecento, 2012; Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Z. Zanardi, s.l., Edizioni Artestampa, 2015; S. Lollini, Viaggio (andata e ritorno) nell’alimentazione a Bologna nell’Ottocento, in “Jourdeló. Rivista storico – culturale di 8cento”, a. 13, n. 27 (2017).

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Documenti
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Triplo brodo Garisenda - un amico nella cucina! Libretto pubblicitario con ricette. Bologna, Tipografia Grafica Emiliana, 1955. Collezione privata © Museo Risorgimento Bologna.

Consigli di economia domestica
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Consigli di economia domestica, Comitato bolognese di azione civile durante la guerra - Sezione femminile. Bologna, Tipografia Garagnani, 1915.

Giornale del Segretario
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Giornale del Segretario - Memorie dell'Alunnato. Periodo 1895 - 1897. Manoscritto conservato nel Collegio Artistico Venturoli di Bologna.

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Articoli sul tema dell'alimentazione. Estratti dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1905/1906.

Nuovo Casadoro (Il)
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Il nuovo Casadoro. Piccolo consigliere della signora moderna. Omaggio della Compagnia Italiana Liebig. Milano, Ricordi, 1938. Collezione privata. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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Pasticcerie Zanarini, Bologna, Tipografia Comi, 1930. Con testi di Carlo Zangarini. Collezione privata

Amico del Popolo (L')
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All'insegna delle sesanta locande, Fiera di Bologna al Littoriale, 19 - 27 maggio 1935 - XIII. Tipografia Roncagli Bologna. Illustrazioni di Roberto Franzoni. Collezione privata. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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L'Ehi! ch'al scusa all'Esposizione - N. 10, Bologna 7 luglio 1888, Litografia Sauer e Barigazzi, Società Tipografica Azzoguidi.

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Italia Ride, settimanale umoristico artistico, Stabilimento Zamorani e Albertazzi, Bologna. N. 25, 23 giugno 1900. Collezione privata.

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