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Cimitero Ebraico - Chiostro Evangelici - Cinerario

Di rilevanza storica

Schede

IL CIMITERO EBRAICO

Per l’ebraismo italiano non solo la sinagoga ma anche il cimitero rappresenta uno spazio identitario molto forte, e a partire dalla seconda metà del XIX secolo, con il raggiungimento dei diritti civili e religiosi, una nuova forma di “visibilità” in continuo dialogo tra questioni normativo-religiose, legate alla tradizione, e scelte stilistico-formali, che tendono a fare propri gli orientamenti architettonici e decorativi del momento. Per poter comprendere i cimiteri ebraici è necessario inoltre chiarire alcune regole della ritualità funebre e della modalità di sepoltura che, insieme al susseguirsi delle circostanze storiche e dal luogo in cui vennero osservate, hanno influito fortemente sull’immagine di questi luoghi. Il terreno è solitamente in un pendio volto verso Est, per permettere alle tombe di guardare verso Gerusalemme. Dove le leggi lo permettono, la salma viene calata nella fossa avvolta in un semplice lenzuolo per accelerare il ritorno alla terra e, per questa ragione, è rigorosamente proibita la cremazione ed anche la riesumazione. Fondamentalmente si incontrano due tipi di tombe: molto comune è la lastra tombale perpendicolare, parzialmente interrata, chiamata stele, tradizionalmente askenazita, oppure la tomba costituita da lastre di pietra orizzontali, usate abitualmente dalle famiglie di origine sefardita. Oltre ai simboli propri della cultura religiosa (il candelabro a sette bracci, la stella di Davide, il rotolo della Legge, ecc.), in alcune tombe si vede riprodotta l'immagine del defunto, secondo un uso adottato dopo l'emancipazione, ma non conforme alla tradizione ebraica.
Per ciò che riguarda la storia degli spazi di sepoltura ebraici a Bologna, nel corso dei secoli gli studiosi parlano di antichi cimiteri, il più importante dei quali sarebbe stato quello cinquecentesco dell'attuale via Orfeo presso un convento di monache. Da questo cimitero deriverebbero le quattro lapidi monumentali conservate presso il Museo Civico Medievale di Bologna. Le prime notizie sull'istituzione di un nuovo luogo di sepoltura presso la Certosa di Bologna per la ricostituita ottocentesca Comunità ebraica provengono direttamente dalle memorie di Marco Momigliano, Rabbino Maggiore della città felsinea dal 1866 al 1896: «Arrivai a Bologna il 30 luglio 1866. Mio primo pensiero fu di conoscere il numero esatto delle famiglie israelite qui dimoranti. Dopo accurata indagine mi venne fatto sapere che il numero degli Israeliti ascendeva a circa trecento. (…) Questa nuova comunione prese il nome di Associazione Israelitica (…) mancante di tutto il necessario e perfino del cimitero. Mio primo pensiero fu di ricorrere al Municipio perché ci fosse affidato un appezzamento di terreno nel quale seppellire i defunti nostri correligionarj. L’esiguo numero d’Israeliti qui dimoranti non permetteva di raccogliere la somma necessaria per l’acquisto del medesimo e per provvedere le camere necessarie alle cerimonie funebri, alla recita delle preghiere in suffragio delle anime dei trapassati. Il Municipio ci fu largo del suo appoggio, e di questo gli va tributata pubblica lode, poiché dietro mia richiesta fece eseguire a sue spese i muri di cinta, le due camere necessarie (…). Appena compiuti i lavori feci trasportare nel nostro cimitero le spoglie dei defunti che furono sepolti in quello dei protestanti. Nel 1869 la nostra associazione si trovò provveduta del necessario cimitero».

L'attuale campo ebraico copre una vasta area di circa 7.000 mq divisa in tre campi: la sezione più antica, di circa 1.000 mq con circa 384 tombe e la camera mortuaria, attualmente consistente in un solo vano molto semplice e senza caratteristiche architettoniche di pregio, ha assunto nel tempo un aspetto monumentale ed è quindi degna di considerazioni storico-artistiche rappresentando anche uno spaccato della storia della comunità dalla sua costituzione ai primi decenni del Novecento. Per ciò che riguarda il progetto dei sepolcri, l’eclettica commistione di stili, soprattutto legata alle iconografie orientaliste, che fra la seconda metà del XIX secolo e i primi due decenni del Novecento contraddistinguono l’architettura delle sinagoghe, prevedeva una non banale trasposizione nell’architettura funeraria individuale. Secondo l’architetto Marco Treves, figura centrale nella definizione architettonica della nuova immagine dell’ebraismo italiano postunitario, «uno stile veramente “Giudaico” che io mi sappia non esiste». Per questo motivo i progetti dei monumenti sepolcrali delle famigli ebraiche più facoltose tendono spesso a seguire una “declinazione israelitica” dell’eclettismo architettonico caratteristico del periodo. Ci si richiama spesso al Tempio di Salomone, adottando un carattere fra l’assiro-babilonese e l’egizio, oppure allo stile del secondo Tempio, che oltre ai due stili precedenti presentava anche caratteristiche dell’arte greca. Ben presto anche nel cimitero ebraico bolognese alle tradizionali semplici steli si affiancarono veri e propri “monumenti” che produssero, oltre che una trasformazione iconografica, una nuova concezione generale dello spazio. Vanno ricordate in proposito la tomba Liberty realizzata nel 1911 dallo scultore Silverio Montaguti per la famiglia Zamorani, le cappelle “orientali” delle famiglie famiglie Padovani (1872), Zabban (1924) e Del Vecchio (1929), il grande recinto con cappella realizzato negli anni Trenta per la famiglia dell’ingegnere Attilio Muggia e l’edicola Finzi, pregevole esempio di architettura modernista progettata nel 1938 dall’architetto Enrico De Angeli. Nel 2008 si conclusa una prima fase di riqualificazione del cimitero ebraico di Bologna attraverso il restauro di 89 tra le più interessanti pietre tombali dal punto di vista storico e artistico. Con questo intervento si è inteso avviare una strategia di valorizzazione del cimitero che possa, oltre che impedirne il progressivo deterioramento, promuovere la conoscenza di questo particolarissimo luogo, intreccio di architettura, scultura, natura, memorie individuali e comunitarie.

Andrea Morpurgo
Estratto da: R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Bologna, Tipografia Moderna, 2009.

IL 21 luglio 2011 è stato inaugurato il restauro del Tempietto per i riti funebri grazie ai finanziamenti assegnati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali alla Comunità Ebraica di Bologna. Nell'occasione sono state apposte diverse iscrizioni. La prima, all'esterno: מכלכל חיים בחסד מחיה מתים ברחמים רבים סומך נופלים ורופא חולים מתיר אסורים ומקים אמונתו לישני עפר מי כמוך בעל גבורות ומי דומה לך מלך ממית ומחיה ומצמיח לנו ישועה ונאמן אתה להחיות מתים
All'interno: בשעת פטירתו של אדם אין מלוין לו לאדם לא כםף ולא זהב ולא אבנים טובות ומרגליות אלא תורה ומעשים טובים
AL MOMENTO DELLA DIPARTITA DELL’UOMO NON LO ACCOMPAGNANO NE’ ARGENTO NE’ ORO NE’ PIETRE PREZIOSE MA SOLTANTO LA TORA’ E OPERE BUONE
ה׳ ממית ומחיה מוריד שאול ויעל
IL SIGNORE FA MORIRE E FA RIVIVERE FA SCENDERE NELLO SHEÒL E FA RISALIRE
על שלושה דברים העולם עומד על התורה ועל העבודה ועל גמילות חסדים
SU TRE COSE POGGIA IL MONDO SULLA TORA’ SUL CULTO E SULLE OPERE BUONE
Epigrafe banco tempietto: כי עפר אתה ואל עפר השוב
הצור תמים פעלו כי כל דרכיו משפט
אל אמונה ואין אבל
עדיק וישר הוא

Il nome con cui noi ebrei definiamo il cimitero è “Bet ha Chajjm” “casa della vita” o nel caso specifico di Bologna, come è stato posto proprio nel nuovo ingresso בית מועד לכל חי “Bet Mo'ed Lekhol Chai” “casa di incontro per i viventi”. Possiamo notare, ma di più ce lo fanno notare i Maestri della tradizione ebraica con i loro insegnamenti, che la parola MORTE viene molto spesso omessa, anche nell'indicare quella condizione. Per cui, sempre secondo la tradizione ebraica, anche la morte fa parte di un passaggio della vita ed il cimitero ne è la testimonianza assoluta. E' anche, come più volte è stato detto, la testimonianza massima della presenza di una Comunità che, per qualche motivo è scomparsa da quella città. Possiamo quindi, come Comunità essere soltanto soddisfatti che ancora un altro passo in avanti sia stato fatto per la sistemazione del cimitero ebraico locale, che al momento della rifondazione della Comunità ebraica bolognese, dopo l'apertura dei Ghetti e l'Emancipazione, fu fortemente voluto dal Rabbino Momigliano in primis e da tutta la Comunità, come punto fondamentale di riferimento, insieme alla Sinagoga e alla scuola. (Nota a cura di Rav Alberto Sermoneta, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Bologna).

LA GALLERIA DEL CINERARIO E L'ARA CREMATORIA

Il tema della cremazione dei cadaveri da alcuni anni scuoteva gli animi degli italiani e a renderlo particolarmente vivace e intrigante erano le controversie medico-legali e etico-religiose. Ci si trovava di fronte ad una vera e propria rivoluzione di costumi, di principi morali, di convincimenti consolidati. I medici-igienisti sostenevano con forza la scelta cremazionista reputandola indispensabile per evitare gli inquinamenti che la decomposizione dei corpi provocava in terreni ed acque delle aree cimiteriali situate troppo vicine ai centri abitati. Ed erano sempre loro a controbattere le opposizioni legali di quanti temevano che la cremazione sarebbe potuta divenire un mezzo per sottrarre alla giustizia penale la scoperta e l’accertamento di eventuali morti avvenute per omicidio, dimostrando come anche nelle ceneri fosse possibile rinvenire tracce di residui di piombo, rame, zinco, arsenico. Nel 1888, all’interno del corpus legislativo varato da Francesco Crispi grazie alle insistenti sollecitazioni di Agostino Bertani, medicoigienista e uomo della sinistra progressista, venne per la prima volta definita la possibilità di scelta del cittadino per la cremazione. In base alle disposizioni di legge l’autorizzazione alla cremazione doveva essere rilasciata dai medici provinciali, mentre ai Comuni era d’obbligo concedere aree per la costruzione di crematori e di colombari per le urne. Restavano da combattere le obiezioni etico-religiose. La Chiesa considerava il rogo dei cadaveri una tradizione barbarica, mentre il cristianesimo aveva insegnato agli uomini il culto dei cadaveri, culto che si rafforzava nell’inumazione, ritenuta più adeguata al concetto religioso della morte e del rispetto del corpo umano. Di fatto la cremazione era vista come pericolosa modernizzazione dei costumi e riforma di “una costumanza” abituale cristiana. La ritualità della sepoltura era un’altra questione oggetto di dibattito e ben ne erano consapevoli i cremazionisti che, oltre a studiare metodi “moderni” di cremazione rispettosi dei corpi dei defunti, si preoccuparono di accompagnare il deposito delle ceneri nei cimiteri senza spettacolarità, ma con rituali riverenti della memoria del defunto, nel rispetto del privato dolore.
Nell’ultimo decennio del XIX secolo la cremazione si diffuse e società di cremazione sorsero in diverse città italiane. Bologna fu tra queste. Le motivazioni che spinsero i promotori della campagna cremazionista in città non si distinsero da quelle dibattute a livello nazionale: la cremazione era presentata come elemento civilizzatore, muoveva da presupposti igienico-sanitari, ma anche da affermazioni di dichiarato laicismo. A sostenerla erano medici, scienziati, avvocati, politici di tendenza radicale e socialista, comuni cittadini raccolti dal 1884 nella Società per la cremazione, che avviò fin da subito le pratiche per l’autorizzazione all’edificazione del tempio crematorio e del cinerario all’interno della Certosa. Nel 1888 si stabilì che il Tempio doveva essere edificato fuori del muro di cinta del cimitero, a sud del campo d’inumazione israelitico e accanto al cimitero protestante. Il 5 luglio 1889 l’Ara crematoria bolognese veniva solennemente inaugurata. Tra il 1889 e il 1914 a Bologna le cremazioni furono 622. Più inadempiente si mostrò invece il Comune rispetto all’impegno di costruire il cinerario. Ancora nel 1894 le urne dei cremati venivano stipate all’interno della Sala della Pietà della Certosa, mentre si trascinavano i lavori di sistemazione del Tempio, scelta come sede ultima delle urne. Il cinerario venne inaugurato il 10 novembre 1895: fu una manifestazione solenne resa commovente dalla sfilata dei parenti che, in corteo, portarono le urne nella loro sede definitiva.

Fiorenza Tarozzi

Bibliografia: M. Gavelli, F. Tarozzi, Anche sotto l’ombra dei cipressi: La Società di Cremazione a Bologna (1884-1914), in “Bollettino del Museo del Risorgimento”, a. 1987-1988; F. Conti, A.M. Isastia, F. Tarozzi, La morte laica, Torino, Scriptorium, 1988; F. Tarozzi, Una scelta forte: la cremazione, in All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne…, Bologna, Bononia University Press, 2007.

CHIOSTRO DEGLI EVANGELICI

Lungo il viale di accesso che porta all'ingresso della Certosa, si può notare, nel lato ad ovest, un cancello che dà l'accesso ad un piccolo recinto. Si tratta del Chiostro degli Evangelici o degli Acattolici, realizzato nel 1822, in età di restaurazione, dedicato alle persone di fede diversa da quella cattolica romana. Diversamente dal periodo giacobino, col ritorno del governo pontificio nel 1815 si decise di suddividere la Certosa con campi e chiostri che ospitassero diverse tipologie di persone, come ad esempio lo spazio riservato ai militari, ai dipendenti pubblici, o ai residente della Parrcchia di S. Paolo di Ravone. Su tre lati il recinto è chiuso da un semplice ed elgante portico in stile dorico, e sono presenti diverse sepolture dedicate nella maggior parte dei casi a persone straniere che o erano residenti a Bologna o che erano casualmente morti in città. Per questo secondo motivo si spiega la presenza dell'unico monumenti di rilievo qui presente, realizzato da Ercole Gasparini e Giovanni Putti per 'Strick Barone Cav.e Paolo Uberto Linschoten Keckendorp Ciambellano di Sua Maestà il Re di Prussia', ivi sepolto in data 1 agosto 1820. Tra le semplici iscrizioni spicca quella di Maria Birnou: lunga e particolarmente romantica, è dedicata alla fanciulla che 'pel mondo pellegrinò'e che termina con l'invocazione 'Oh passaggiero da qual si voglia terra venisti, dona un fiore un pensiero un sospiro alla buona Maria.

A nord del Chiostro si trova un piccolo recinto che ora non conserva alcuna sepoltura. In origine era il Campo "T". Già dall'istituzione della Certosa come cimitero comunalenel 1801, furono destinate aree riservate al seppellimento di carcerati, condannati e giustiziati. La prima area adibita a questo scopo fu identificata con la lettera "F", aprì il 16 agosto 1801 e l'ultimo seppellimento avvenne il 13 ottobre 1814. A seguito degli ampliamenti del cimitero venne individuato un altro campo identificato con la lettera "L"; la prima salma verrà inumata il 28 marzo 1816 e l'ultima il 22 novembre 1820. Nel 1822, istituito il campo degli acattolici fuori dal perimetro del cimitero in quanto "Campo Santo", fu destinata con lo stesso criterio una nuova area: il campo "T" detto dei "condannati". La prima sepoltura avverrà l'11 gennaio 1822 e l'ultima il 12 dicembre 1868. I campi che ospitarono queste speciali sepolture contraddistinti dalle lettere "F" e "L", erano chiusi alla vista dei cittadini con palizzate in legno; il recinto "T" era in muratura, aveva un solo ingresso con portone chiuso a cui si accedeva attraverso il campo degli acattolici. Le sepolture non erano in alcun modo contrassegnate. Altra particolarità è che in questi campi non ci furono mai sepolture divise tra uomini e donne. Trascorsi dieci anni, i resti venivano tumulati nell'ossario comune. Eccezione a questa regola furono le sepolture di Padre Ugo Bassi e Giovanni Livraghi, fucilati l'8 agosto 1849. Il Padre Ugo Bassi avrà come ultima sepoltura il Sacrario dei caduti della Prima Guerra Mondiale e Livraghi l'ossario comune.