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Chiesa di Santa Maria del Suffragio

Di rilevanza storica

Schede

Fino dai primi passi della costituita confraternita si poneva la necessità di un luogo proprio ed adeguato dove svolgere le pratiche di pietà comuni e dove tenere le riunioni ordinarie. Una compagnia “canonicamente eretta”, e in continua crescita, non poteva rimanere priva di un suo oratorio; la “Celletta dei Putti” era diventata ormai del tutto insufficiente alla consistenza dell’associazione e inadeguata a rappresentare esternamente il ruolo assunto. Dopo aver “offiziato nove mesi nella chiesolina” i confratelli individuarono un luogo in cui si poteva collocare la loro chiesa. Non si conoscono i motivi precisi della scelta della località: dentro le mura di Medicina gli spazi erano ormai saturi anche di chiese e oratori, mentre a metà del Seicento si andava sviluppando l’insediamento abitativo e artigianale all’esterno delle mura di ponente; espansione che prenderà successivamente la denominazione di “Borgo Maggiore”. È proprio nella zona centrale di questa espansione urbanistica, davanti alla porta che guarda verso Bologna, e perciò in piena e privilegiata visibilità per chi entra in Medicina, che i primi confratelli del Suffragio determinano di innalzare la loro chiesa. In quel punto restano ancora i ruderi dell’antica rocca di presidio (più volte edificata e più volte distrutta). Tra quelle mura si erano insediate alcune botteghe ed erano state ricavate abitazioni; rimaneva presso la via d’accesso una casermetta o “guardiola” per i militi, appunto, di guardia alla porta del Castello.

Individuato il sito si mettono in atto, con determinazione e rapidità, tutte le procedure necessarie per giungere all’obiettivo. Vengono nominati tre incaricati o “assunti” allo scopo “di negoziare con mastro Antonio Donati se volesse dare la sua bottega attaccata alla Rocca et similmente con i reverendi padri [carmelitani] se volessero dare la sua bottega attaccata alla Rocca. Di più si fecero tre assunti quali stessero assistenti al spianamento delle muraglie di detta Rocca”. Quando già i lavori procedono senza sosta il Comune delibera di concedere “il luogo della Guardiola e del Guasto attiguo, con i rispettivi annessi... col patto però che la Confraternita sia obbligata di pagare al console protempore quel tanto che di presente la Comunità ritrae di pigione e che viene stabilito in lire 24 bolognesi, da pagarsi il giorno di S. Lucia”. L’atto, lo strumento sottoscritto, non è dunque di compravendita, ma di enfiteusi perpetua; i luoghi della “Guardiola” o del “Guasto” restano giuridicamente di proprietà comunale, anche se di fatto - e a tutti gli effetti - diverranno “cosa” della compagnia e lo stesso canone enfiteutico in breve non verrà più versato. Dal giugno al novembre 1652, con grande speditezza, la chiesa del Suffragio diviene una realtà. Negli atti della Congregazione, al 24 novembre, si legge: “Si fece la traslazione della Beata Vergine levandola dalla Chiesolina e portandola processionalmente nella chiesa nuova con cantarvi una messa in musica quale celebrò il Rev. Sig. Francesco Toschi, moderno nostro Arciprete, quale similmente benedì la chiesa con grande concorso di popolo”. L’entusiasmo dei Confratelli è al massimo e lo scrivono sull’epigrafe interna dell’edificio anche se non ultimato.

Seppure benedetta e aperta al culto la nuova chiesa non era ancora finita, ma appena coperta. Oltre alla cappella maggiore l’edificio sacro presenta una cappella per lato; ciascuna di queste è ancora al grezzo - come pure tutto il coperto - e viene assegnata in juspatronato a due famiglie che ne dovranno curare, a loro spese, tutto l’arredo: “ancona ed ornamento”. Passerà un intero anno prima di vedere completate le cappelle e realizzata la volta in muratura sotto le capriate del tetto. “Furono invitati li stretti della nostra Compagnia, cioè li Professi quali furono al numero di 25, in congregazione per trattare di fare le volte della cappella maggiore, del che ogni uno si tassò chi in gesso, chi in danari, chi in pietre... di più - prosegue il verbale del maggio 1653 - si accettarono duoi [sic] donne quali furono Diamante Giacomelli e Veronica Cavalieri”. Intorno alla nuova costruzione negli anni successivi le attenzioni e le opere realizzate furono continue di pari passo con lo sviluppo delle iniziative religiose interne e pubbliche. Nell’agosto 1654 viene acquistato un organo, indispensabile alla solennità delle funzioni, ma contemporaneamente si lavora per rendere “saliciata tutta la chiesa” e a fornire di “impannate i finestroni”; solo l’anno dopo viene “fatta l’imposta della porta maggiore”. In pratica si officiava in una chiesa che era ancora un cantiere aperto e ciò costituiva uno stimolo per i confratelli e per i devoti ad affrettare l’esecuzione dei lavori di completamento e a stimolare le offerte necessarie. Tutto ciò avvenne al disopra di ogni previsione; infatti “il concorso di popolo, e l’elemosina, sempre più di giorno in giorno cresceva - recita una nota - di modo che li confratelli furono necessitati aggrandire la loro chiesa”. Nell’ininterrotto cantiere si avvia una seconda importante stagione di opere finalizzate ad adeguare chiesa e pertinenze alla dimensione e al ruolo assunto dalla confraternita. Una attenta politica di acquisti permette l’espansione lungo l’attuale via Fornasini con la costruzione della sagrestia, dietro la chiesa, e dell’oratorio dei confratelli al piano superiore.

L’ampliamento, o meglio la ricostruzione, della chiesa in forme più ampie, necessita invece di ulteriore spazio antistante alla precedente facciata. Il rinvenimento, durante gli ultimi interventi di ristrutturazione della chiesa del Suffragio, di un brano di meridiana dipinta su una parete preesistente, rivolta verso est, lascia trasparire che la facciata della prima chiesa fosse notevolmente arretrata rispetto all’attuale. L’ampliamento della chiesa, che le cronache ma non i disegni, attestano essere di “due terzi” della “primitiva” comporta quindi l’abbattimento o l’inglobamento di edifici esistenti in loco come mostrano chiaramente i palinsesti murari messi in luce dal recente cantiere. Si comincia a trattare della ristrutturazione e dell’ampliamento della chiesa nel giugno del 1679; nel luglio dello stesso anno sono approvati i “disegni dati e fatti con l’intelligenza dell’Ill.mo conte Marco Antonio Hercolani... vice protettore”. Non c’è traccia nel libro delle Congregazioni del progettista del complesso intervento che peraltro non riguarda soltanto la chiesa; i cronisti contemporanei accennano genericamente a disegni “venuti da Roma”. Resta un disegno anonimo, datato 1684, in cui sono tratteggiati nitidamente a penna i particolari architettonico-decorativi delle cornici e dei capitelli “d’ordine corintio” così come verranno puntualmente eseguiti. L’elaborato fa parte integrante dell’accordo stipulato tra la “Venerabile Compagnia del Santissimo Suffragio” e il “Signor Antonio Pezardi [o Pozzardi] scultore” perché esegua in stucco la ricca trabeazione interna osservando fedelmente le precise indicazioni fornite dall’anonimo ma preparato architetto. 

Contemporaneamente al lento cantiere incentrato nell’aula della chiesa si inizia anche la costruzione del campanile (1685), pagata dai confratelli direttamente attraverso un’autotassazione, e da lì a poco vengono avviati anche i lavori per l’oratorio superiore; ma non mancano incidenti di percorso: si rende improvvisamente necessario il rifacimento del coperto in corrispondenza della cappella maggiore (1689). Qualche difficoltà operativa si era presentata anche in occasione della morte del capomastro Giacomo Beltramelli, nel luglio del 1687, al quale era subentrato il figlio Sebastiano dopo un’accurata stima dei lavori svolti dal padre, compiuta dall’architetto “Giuliano” (di cui si individua poi anche il cognome: Cassani). Nulla si conosce su questo architetto e non c’è traccia che lasci intendere suoi diretti interventi nel progetto o nel cantiere del Suffragio. Nel luglio 1690 si danno per conclusi i lavori della chiesa alla quale si deve soltanto “dare l’ultima mano...”. In questa data sono sicuramente terminate le opere murarie generali: inizia invece da questo momento la serie di rifiniture d’arredo e ornamentali nelle cappelle laterali, private e nella stessa cappella maggiore. Continuano interventi significativi nell’oratorio superiore dove Antonio Fontana “muratore e stuccatore”, prima, e successivamente Francesco Torreggiani - padre del più celebre Alfonso - terminano le rifiniture architettoniche in stucco. Ancora molto più tardi, nel 1739, interverrà lo scultore Antonio Callegari (attivo contemporaneamente in altre chiese di Medicina) a restaurare stucchi precedenti e a realizzare nuove ancone negli altari laterali. Nel tempo opere di scultura e decorazioni renderanno sempre più completo e unitario l’interno della chiesa, che rimarrà il primo importante esempio di arte barocca in questo territorio.

Non è sicuramente una forzatura quanto scrivono i cronisti medicinesi del tempo circa il valore artistico del Suffragio; forse Don Evangelista Gasperini può essere un poco parziale - essendo uno dei più attivi confratelli - quando scrive: “La presente bellissima chiesa... è una delle più belle che siano officiate da spirituale confraternita”, e in un altro scritto afferma che l’edificio è “di molto elegante architettura”. Ma non è neppure molto oggettivo, e coerente, Giuseppe Simoni nel descrivere l’insieme architettonico. Dopo aver detto “Non contenta la confraternita di possedere la chiesa più bella di quell’epoca a Medicina, volle aggiungere un ampio oratorio...” definisce la cappelle minori laterali “basse, goffe” e riguardo le quattro statue sovrastanti asserisce categorico che “come lavoro d’arte non hanno pregio”. Dalle poche fotografie che mostrano la struttura architettonica interna e in particolare dalle belle immagini degli anni ‘20 del Novecento, si può verificare che il Suffragio, fino alla costruzione del Carmine (inaugurato nel 1724) fu senza dubbio la più pregevole opera d’arte sacra di età barocca presente a Medicina. Alla semplicità delle forme esterne, essenziali e prive di ornati, dona eleganza e leggerezza il sottile slancio del campanile che - fino al compimento di quello dell’Assunta e poi di quello della Parrocchiale nella seconda metà del Settecento - fu per oltre mezzo secolo il più elevato di Medicina. Suggeriva un certo contrasto visivo, la compattezza volumetrica degli esterni e la ricchezza espressiva dell’interno, sempre oggetto di attenzione e di nuovi apporti da parte della Confraternita e dei titolari delle cappelle laterali.

Lo schema della chiesa seguiva la classica cadenza seicentesca: il corpo della navata aperto ai lati da tre archi per parte, uno a tutta altezza fino al cornicione affiancato da due minori sopra i quali si collocavano ampie ed ornate nicchie contenenti statue allegoriche. Al corpo della chiesa seguiva il presbiterio, a pianta rettangolare, distinto dalla navata mediante un pronunciato arco d’ingresso, coperto da una volta a calotta ellittica (unico elemento conservatosi) e affiancato da due archi contenenti le cantorie. Sul fondo della parete del presbiterio - privo di coro - si innalzava la grande ancona architettonica contenente la pala del Suffragio e la piccola, antica immagine della Natività di Maria. Due porte, laterali all’altar maggiore, immettevano nella retrostante Sagrestia (accessibile anche dall’esterno) alla quale corrispondeva (al piano superiore con accesso indipendente) l’oratorio privato dei confratelli, con altare, e alle pareti laterali, i seggi e gli “arcibanchi” riservati ai professi e alle dignità della compagnia. Oltre all’ingresso principale sulla facciata, esistevano due porte minori laterali in corrispondenza dei primi due archi minori: una rimarrà sempre attiva sull’attuale via Fornasini, l’altra verrà chiusa quando tutto l’edificio sul lato ovest della chiesa verrà ristrutturato; l’arco non più di passaggio verrà utilizzato come cappella. Oltre alla cappella principale erano quindi allestiti – fino alla chiusura al culto dell’edificio sacro – tre altari sul lato sinistro e due sul destro. Esaminando le immagini fotografiche pervenuteci si ha la sensazione di una chiesa concepita in maniera unitaria ed armonica in ogni sua parte, nella quale si individuano distintamente gli elementi architettonici originari, ancora seicenteschi di sapore classico, come la sottile tessitura di lesene su alti plinti e la canonica linearità della trabeazione. Tra queste membrature si innestano brani di un barocco più dinamico e corposo, visibile soprattutto nei cartigli sugli archi e nelle cornici delle quattro nicchie, e rispettive statue, collocate sugli archi minori. Sono riconoscibili inoltre gli interventi settecenteschi nelle ancone d’altare (delle quali resta appena un brano di cimasa), le cui linee, il modellato e la fluidità di una più lieve eleganza, lasciano vedere una cultura figurativa appartenente al periodo dell’architetto Alfonso Torreggiani e degli scultori Antonio Callegari e Angelo Piò.

Ultimo intervento di qualità, visibile nelle foto, è costituito dalla struttura architettonico-plastica realizzata per racchiudere solennemente il piccolo ovale della Natività di Maria, sovrapposta, come una “macchina” espositiva mobile, all’ancona principale. Questo elegante “ornamento”, progettato da Angelo Venturoli sul finire del Settecento, si inserisce autorevolmente alla base della grande ancona annunciando però il nuovo linguaggio classico che avanza. L’attività architettonica della Confraternita non si esaurisce in esclusiva sulla chiesa e sull’oratorio. Sempre legati al luogo d’origine i confratelli, dopo avere demolito la vecchia “Celletta dei Putti”, nel 1727, in quel preciso luogo addossata alle mura, innalzano una grande edicola architettonica: una “prospettiva” in onore “della Beata Vergine detta della Colonna che era sopra le mura”. La scenografica struttura, a fondale di Via Cavallotti, rimarrà fino agli anni ‘60 del Novecento quando dovrà essere demolita perché eccessivamente inclinata e, nonostante i robusti contrafforti aggiunti davanti, in serio pericolo di crollo.

Impegno architettonico assai più importante sarà avviato dalla Confraternita, con la partecipazione della Comunità e di benefattori, a partire dal 1783, per dare una più ampia e più moderna sede all’Ospedale degli Infermi, in sostituzione della piccola vecchia struttura costruita in adiacenza alla sagrestia e all’oratorio del Suffragio. Anche questo ambizioso progetto, redatto dal giovane architetto medicinese Francesco Saverio Fabri, si doveva porre come un’opera indispensabile alle necessità della comunità di Medicina, ma allo stesso tempo come struttura di rilevante valore urbanistico ed architettonico, inserita nel piano di ampliamento e sviluppo dei nuovi quartieri di Medicina voluti e favoriti dalla Comunità. Le vicende storiche di fine Settecento non ne hanno permesso la realizzazione prevista e avviata, che si interruppe appena la Confraternita del Suffragio - come tutte le altre, insieme con gli ordini religiosi - fu soppressa. Il frutto di centocinquant’anni di motivato impegno espresso da un’associazione di laici medicinesi per crescere singolarmente e comunitariamente al proprio interno e per promuovere una vita cristiana attiva e attenta alle aspirazioni del proprio tempo, non è scomparso completamente con un atto legislativo di scioglimento. Le sostanze e i capitali maturati hanno contribuito a sostenere i malati e i bisognosi; i locali adiacenti alla chiesa, costruiti con tanta partecipazione per la vita interna al sodalizio, sono divenuti successivamente sede di attività sociali e culturali. Ed anche lo stesso spazio della chiesa del Suffragio, pur con interventi pesanti già dal momento della chiusura al culto e con la successiva, totale cancellazione di ogni carattere interno (nei primissimi anni ‘60 del Novecento), ha potuto compiere (e lo compirà con maggiore prestigio tra poco) un servizio non trascurabile di vitalità nella zona più centrale di Medicina.

Già alla fine dell’Ottocento, o meglio alla fine del governo pontificio, la Parrocchia di Medicina iniziò a concedere ufficialmente l’uso dell’Oratorio superiore ad associazioni che ne chiedevano la disponibilità. Dal 1871 al 1897 i locali dell’Oratorio furono concessi alla Società Operaia di Mutuo Soccorso di Medicina. Nel ‘97 l’arciprete don Luigi Franchini chiede alla Società Operaia di “cedere all’amichevole i locali in quanto alla parrocchia per fini religiosi ed insieme di pratica utilità sarebbe necessario avere libero il locale annesso all’oratorio del Suffragio”. L’obiettivo era di concederne l’uso a Don Luigi Cappellari, sacerdote medicinese, educatore ed animatore di ragazzi e giovani, per farne un luogo di studio e ricreazione, come infatti avvenne. Il vano dell’oratorio, già sede della Società di Mutuo Soccorso, diventò una sala-teatro, intitolata a Vittorio Alfieri, ove tenevano intrattenimenti e recite i ragazzi della “scuola” di Don Luigi. Nel frattempo a Medicina si venivano a creare rapporti sempre più problematici e tesi tra Comune e Parrocchia a motivo di un altro storico e monumentale edificio sacro particolarmente caro ai Medicinesi: la chiesa dell’Assunta, conosciuta come Santuario del Crocifisso, anch’essa eretta da una prestigiosa confraternita.

Come altre chiese di ordini religiosi e di confraternite, con le leggi napoleoniche questo edificio venne indemaniato nello Stato, ma affidato alla Parrocchia perché ne provvedesse a mantenere il culto. A seguito della restaurazione del Governo Pontificio, nel 1815, le chiese aperte al culto furono accatastate all’Amministrazione Parrocchiale. Alla chiesa dell’Assunta toccò però un percorso più complesso. Nel 1842, in esecuzione di un lascito testamentario, venne costruito un nuovo convento dei Frati Minori “Osservanti” - che avevano lasciato Medicina nel 1808 e il cui precedente cenobio era stato ceduto all’Ospedale degli Infermi - affiancato alla storica chiesa dell’Assunta - o del Crocifisso - affidata, non ceduta in proprietà, ai Frati Minori. Lo Stato unitario nel 1866, con legge eversiva incamera i beni immobili dei religiosi e, a Medicina, il non ancora ultimato convento è ceduto dal demanio al Comune che lo adibisce a Scuola Elementare e Asilo; la chiesa è però mantenuta aperta al culto con un sacerdote nominato dall’ordinario diocesano. Sorgono presto tensioni tra Comune e Parrocchia: l’Amministrazione Comunale non intende mantenere un edificio ad uso religioso e a più riprese dichiara che intende “venderlo” o adibirlo ad altre funzioni; la Parrocchia afferma, a questo punto, non solo il diritto a mantenere officiato il santuario, ma rivendica la stessa proprietà dell’edificio sacro in quanto scorporato, a suo avviso, dal convento nell’applicazione della legge del 1866 perché non di proprietà dei frati, ma concesso loro in uso. Dall’acceso dibattito si passa ai fatti: il Comune intima al parroco la consegna delle chiavi della chiesa; l’arciprete e l’arcivescovo protestano e mantengono fermo il diniego. Il Sindaco nel 1908 cita in tribunale le due autorità ecclesiastiche; in prima istanza la sentenza è favorevole alla parrocchia, ma in appello il giudizio è ribaltato in favore del Comune ed immediatamente la chiesa dell’Assunta viene chiusa “con sommo dolore dei fedeli” come recita una memoria redatta da Mons. Vancini in epoca più recente.

Per gli sviluppi successivi, che riguardano direttamente anche la chiesa del Suffragio riporto parte del testo di Mons. Francesco Vancini, arciprete di Medicina dal 1921 al 1968. Dopo aver esposto in sintesi la storia del Santuario del Crocifisso egli scrive: “In seguito a laboriose trattative fra l’arciprete di Medicina Don Montanari, autorizzato dal superiore ecclesiastico, e il sindaco di Medicina perché fosse riaperta al culto la chiesa dell’Assunta, si venne alla permuta di edifici sacri fra il Comune e la Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di Medicina. Il Comune cede in proprietà alla Fabbriceria della Parrocchia di Medicina la chiesa dell’Assunta a titolo di permuta di fronte alla cessione in proprietà al Comune della chiesa detta del Pio Suffragio in Medicina, di ragione della Fabbriceria, e del piccolo oratorio detto dell’Aiuto in Medicina; questi per essere demolito, e la chiesa del Pio Suffragio per essere trasformata poi in Mercato Pubblico”. Il rogito di permuta del notaio Umberto Rimini di Bologna reca la data 30 dicembre 1915. In relazione alla permuta si esprime pure il parere da parte della Soprintendenza ai Monumenti: il soprintendente, Luigi Corsini, in data 18 dicembre 1914 dà risposta alla richiesta avanzata dall’arciprete don Umberto Montanari: “Mi pregio partecipare alla S.V.M.R. in risposta alla nota sopraricordata, che il Ministero della Pubblica Istruzione, in seguito a proposta favorevole di questa Soprintendenza... acconsente alla permuta della chiesa del Suffragio e dell’Assunta di codesto capoluogo tra la S.V.M.R. e il Comune purché nella trasformazione della chiesa del Suffragio a mercato coperto delle erbe siano seguite tutte le norme che questa Soprintendenza crederà prescrivere atte alla conservazione delle parti artistiche della chiesa stessa...”. Il carattere dell’edificio è ribadito dall’Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti dell’Emilia in Bologna in lettera del 2 dicembre 1918. “Il direttore dell’ufficio... per semplice avvertimento dichiara... che la chiesa del Suffragio e campanile in Via Vittorio Emanuele, angolo con Via Fornasini a Medicina, prov. di Bologna ha interesse storicoartistico e quindi è sottoposto alle disposizioni degli articoli 1, 2, 4, 5, 12, 14, 29 e 34 della legge 20 giugno 1909 n. 364”.

La trasformazione in “mercato coperto delle erbe” avviene intorno a quegli anni (1916-17) dopo avere effettuato una serie di lavori mirati che non intaccano pesantemente la struttura architettonica interna. In corrispondenza alle arcate dell’interno, mantenendo il profilo e la dimensione delle minori, verranno aperti tre archi per l’accesso laterale in Via Fornasini. Nell’interno la costruzione di box in muratura addossati alle cappelle, pur invadendo spazi a ridosso delle pilastrate lascia intatta e visibile tutta la parte elevata della navata centrale, compresa l’ancona centrale. La documentazione fotografica coeva è un documento chiaro dell’uso commerciale del pregevole vano ormai svuotato di ogni arredo pittorico, ma perfettamente leggibile nelle linee e nelle forme essenziali originali. Inizia così, nel secondo decennio del Novecento, il nuovo corso pubblico e laico del Suffragio nel punto più centrale del paese; la semplice slanciata architettura esterna continua così a qualificare il lato settentrionale della piazza principale pur conservando il suo nuovo ruolo di centro di commercio. Nel 1943 da “mercato coperto delle erbe” si convertì in spaccio della prima cooperativa di consumo “Il rinnovamento” senza che la zona inferiore interna mutasse radicalmente rispetto alla situazione precedente; anche con le modifiche statutarie del 1945, quando muterà la denominazione in cooperativa di consumo “La Popolare” il luogo, per diversi anni, mantenne quel suo carattere di affascinante ambiguità in cui convivevano la vivace atmosfera di movimento, odori e colori di grande bottega e la ricca, elegante dimensione architettonica di altre elevate suggestioni. Ciò che è avvenuto in seguito ha cancellato definitivamente tracce che ora sarebbero oggetto di entusiastica valorizzazione da parte di ogni titolare di qualsiasi attività: nella storia i percorsi culturali hanno sempre avuto i loro alti e bassi; dopo la precipitosa discesa ora è iniziata con convinzione la salita. 

Luigi Samoggia

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 1, ottobre 2003.