Calori Carlo

Calori Carlo

1779 - 1844

Note sintetiche

Scheda

Carlo Calori è presente con buona continuità alle mostre accademiche a partire dal 1817 e fino al 1843. Dal ’36 risulta socio d’onore: che era, pur sempre, prova di buona riuscita per un ‘dilettante’, come egli stesso si qualificò, firmando nel 1818 il paesaggio delle Collezioni Comunali d’Arte: e a un pubblico ufficio accenna assai più tardi la Gazzetta (27 maggio 1835), ricordando che i lavori “ad olio, a tempera, e per sino a fresco, ne’ quali sempre si scorge la favilla dell’ingegno”, e per i quali si era fatto apprezzare, nascevano nelle more di tale impiego. Un caso dunque non dissimile da quello del Termanini, anch’egli dilettante di pittura, per il resto canonico e rettore di collegio: ma a differenza di lui, per due volte il Calori si guadagnò il premio per il paese storico, nel ’27 e nel ’30, con l’Apparizione del dio Tevere ad Enea e con un soggetto ariostesco, Rinaldo e Dalinda nella selva Calidonia.

Anche in altre occasioni figurò con paesi e vedute storiche, come nel ’30, quando presentò un Lodovico Bentivoglio che ritorna in Palazzo con lo stocco e lo stendardo donatigli da Nicolò V. Ma la sua dimensione più autentica pare doversi ritrovare nei paesini o vedute urbane, che esponeva anche in gran numero. Il paesaggio delle Collezioni Comunali d’Arte è una piccola ‘performance’ compiuta in un solo giorno, il 15 agosto 1818, secondo quel che vanta lo stesso autore: ed è un lavoro diligente, ancora in stretto rapporto coi grandi esempi di Vincenzo Martinelli, lontano dagli esiti assai più originali che si conoscono, già in questi anni, del Savini e dello stesso Termanini: con una copia da Martinelli proprio in quell’anno Calori si presentava in accademia. Due piccole vedute che del tutto attendibilmente gli si attribuiscono ‘ab antiquo’ nelle collezioni della Cassa di Risparmio mostrano un sostanziale mutamento di registro, con la preferenza ora per il pittoresco urbano, in luogo dei più scontati temi arcadici. La svolta pare assegnabile agli anni intorno al 1844, quando in Accademia il pittore si presentò con “quattro vedute rustiche, pittoresche della Città di Bologna”, insieme peraltro al “altri paesi diversi, fra quali una copia d’uno di Claudio Lorenese”. L’anno dopo il Caffè di Petronio (24 dicembre 1825), segnalando una ‘Osteria della Cesoja con parte della Città, e la Collina che le stà a ridosso’, vi ammirava “l’aria di mezzo giorno che vi brilla, la verità che nei fabbricati si scorge, e la frasca tutta magistralmente battuta” lodano ancora i “rapidissimi progressi” fatti nella pittura di paesaggio dall’autore.

Sono i modelli del Basoli a suggerire queste piccole esercitazioni, alla riscoperta di una città che pare improvvisamente rinchiudersi nell’orizzonte di brevi scorci, di umili caseggiati, di canali e di altane: di piccoli e piccolissimi traffici, di quelle minime circostanze del vivere, cui resterà affezionata ancora per un quarantennio la veduta bolognese.

Renzo Grandi

Testo tratto da "Dall'Accademia al vero - La pittura a Bologna prima e dopo l’Unità", Comune di Bologna - Galleria d’arte Moderna, 1983. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.

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