Caffè delle Scienze

Caffè delle Scienze

Scheda

Il Caffè delle Scienze, con annessa fiaschetteria, prometteva 'cucina pronta a tutte le ore. Colazione e pranzi a prezzi fissi e alla carta. Vini Toscani da pasto e di lusso. Caffè vero Moka. Liquori genuini, gelati, punch e vino brulè ... birra dei fratelli Reininghaus di Graz.' Offriva 'un servizio eccellente ed un gran numero di giornali' da leggere, oltre ad intrattenimenti musicali. Virgilio Brocchi lo descrive in 'Le beffe di Olindo' (Mondadori, 1942) come una 'bella sala adorna di lunghi divani di rosso velluto, e di snelle poltroncine ugualmente rosse raccolte intorno a tavolinetti di marmo dalla leggiadra sagoma barocchetta.'

Era il locale più raffinato ed elegante di Bologna, ritrovo abituale di una scelta clientela: artisti, scienziati, professionisti, gentiluomini appartenenti alle casate più illustri. "Raccoglieva insieme alla cosidetta jeunesse dorée il meglio dell'arte e della letteratura regionale". Era considerato "focolare, convegno della maggioranza, da cui partono i raggi della ciarla cittadina, era il primo elemento di quella bolla di sapone iridescenteche chiamano l'opinione pubblica". Alla sera, dopo il teatro, ci andavano volentieri anche le signore a prendere il gelato, "sfoggiando audaci cappelli". Secondo Alfredo Testoni, tutti i personaggi insigni che transitavano in città alla fine dell'Ottocento erano condotti qui: "passando sotto il portico di Palazzo Frati, attraverso le ampie vetrate, si vedevano, adunati in gruppi, gli uomini, i tipi più noti". Alle Scienze capitava spesso il prof. Emiliani, famoso violinista, che alla sera giocava a bigliardo con Gaetano Brizzi, un ometto tranquillo profetizzato dal maestro Donizetti come il suonatore della tromba del Giudizio Universale. Il prof. Antonio Muzzi dell'Accademia di Belle Arti raccontava le sue gesta rocambolesche: ricordava per esempio l'addobbo preparato assieme a Francesco Cocchi in San Petronio per la morte di Cavour, con la cassa sospesa per aria come quella di Maometto. Tra gli assidui compagni del prof. Cesare Albicini c'erano Giuseppe Ceneri e Pietro Loreta, il primo calmo e sarcastico, il secondo, ex capitano garibaldino, pieno di impeto e di fuoco. Noto medico, tutti ricordavano lo straordinario aiuto da lui dato agli ammalati di colera durante la tremenda epidemia del 1855.

Nel caffè si svolgevano discussioni letterarie seguite dalla migliore gioventù. La sala interna, frequentata dagli artisti e dai poeti, era chiamata "l'enfer", come la sezione dei libri proibiti della Bibliotheque Nationale di Parigi. Alle Scienze si riunivano "rumorosamente" i Celestini, "confraternita di capi scarichi senza statuti e senza pensieri" composta da studenti di legge, alcuni dei quali poi divenuti celebri, come il prof. Enrico Ferri e il ministro Rava. Di notte Luigi Illica, in compagnia di Luigi Lodi e Giuseppe Barbanti Brodano vi scriveva gli articoli del battagliero "Don Chisciotte" e Olindo Guerrini scarabocchiava sui tavolini di marmo sonetti licenziosi, che un vecchio cameriere pazientemente cancellava con un panno umido. Il poeta era spesso accompagnato da Giuseppe Bacchi della Lega, collega alla Biblioteca Universitaria, e dal Rettore Francesco Magni. A mezzanotte circa, quando ormai se ne avvertiva la mancanza, all'improvviso entrava Enrico Panzacchi. Tenendo la porta aperta per far passare qualcuno al suo fianco, si attirava salve di improperi dagli avventori freddolosi. Tra gli altri abituè vi furono anche il poeta Severino Ferrari, lo scultore Tullo Golfarelli ed il giornalista Giovanni Villani. Sulle pareti bianche arabescate d'oro del locale spiccava a volte la lunga barba bruna di Alfredo Oriani, che giungeva alle Scienze (o al San Pietro) dal suo ritiro di Casola Valsenio. Attorniato da giovani amici, che chiamava "gli scolari del caffè" - Goffredo Bellonci, Lorenzo Ruggi, Luigi Federzoni e altri - muoveva critiche spietate al mondo borghese, "con una conversazione eloquente, serrata". Una celebre caricatura di Augusto Majani Nasica, cronista visivo della Belle Epoque bolognese, raffigura l'interno del Caffè: tra gli avventori si riconoscono Testoni, Oriani, Corrado Ricci, Alfonso Rubbiani, Bacchi della Lega e Olindo Guerrini. La Gazzetta musicale di Milano del 6 novembre 1870 invita a frequentarlo così: 'se volete conoscere la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità, recatevi dopo la rappresentazione al Caffè delle scienze dove si radunano tulli i maeslri e i buongustai (è difficile che un bolognese non sia maestro o buongustaio), sedete in disparte, ascoltate i loro discorsi, le loro discussioni e se vi riesce d'intendere il dialetto bolognese (che non è il più bello d'Italia), non avrete perduto il tempo, il Tribunale è in teatro, ma la Corte di Cassazione è al Caffè delle scienze.' Il Caffè delle Scienze cessò la sua esistenza nel 1914. La chiusura venne annunciata sul "Resto del Carlino": Quest'anno l'8 maggio segna la fine di uno storico caffè: il Caffè delle Scienze. Sebbene il locale vivesse ormai di tradizione, di ricordi panzacchiani e rubbianeschi, di cose morte, e fosse frequentato da pochi amanti della solitudine, oltreché dai soci del Circolo Scacchistico, pure la notizia che quest'altro centro e vivaio d'intelligenza si chiude per riaprirsi sotto l'insegna di una modisteria, spiacerà ai veneratori delle vecchie cose petroniane.

"Troviamo, al tavolo di Olindo Guerrini, non solo i suoi cari amici Raffaele Belluzzi, Emilio Roncaglia e Giovanni Vigna dal Ferro, ma anche molti giovani di vivo ingegno di un’arte letteraria liberata dalle formule stanche dell’ultimo romanticismo, rinnovata nel pensiero e nella forma, e quindi più schietta e più vicina alla vita. Fra essi emergevano Abdon Altobelli, Edoardo Alvisi, Lodovico Mattioli, Ugo Brilli, Ugo Bassini, Federico Marzocchi, Roberto Della Cella, Pellegrino Matteucci, Luigi Lodi, Carlo Malagola, Giuseppe Barbanti i quali, in diversa misura, diedero poi nobilissime prove della loro attività intellettuale. Quei giovani avvertivano la mancanza di un periodico che continuasse, avvivandola, la buona tradizione letteraria di Bologna, e che rispondesse alla riconosciuta necessità di una critica virilmente pensata e fortemente sentita, e perciò, dopo lunga incubazione, affrontarono la non facile impresa e diedero in luce un piccolo opuscolo mensile intitolato Pagine sparse, proprio nei primi mesi di quell’avventurato 1877, che vide sbocciare all’ombra delle torri la meravigliosa fioritura delle prime Odi barbare del Carducci, dei Postuma del Guerrini e dei Lyrica del Panzacchi.

In questa calda atmosfera di arte animatrice, l’opuscolo, che pubblicò, fra l’altro, quattro sonetti (forse i primi) di Giovanni Pascoli, ebbe amica la fortuna, e potè quindi, dopo sei mesi, ingrandire il formato, e diventare quindicennale. Ma in conseguenza della clamorosa polemica scatenatasi a proposito delle Odi barbare e dei Postuma, parve buon consiglio che il periodico, abbandonando il suo carattere eclettico, assumesse, nella battaglia, una decisa posizione. Così Pagine sparse si trasformarono in Preludio che, dal luglio 1878 al dicembre 1879 sotto la direzione di Luigi Lodi, combattè tenacemente a favore del verismo nell’arte e nella letteratura ed ebbe, a suo massimo onore, la frequente collaborazione di Giosuè Carducci. Nel frattempo, mentre infuriava la battaglia pro e contro i Postuma, Olindo Guerrini, pur conservando una calma imperturbabile, lanciava in pasto ai contendenti la Nova polemica, accrescendo così il loro clamore e la loro confusione, e continuava a frequentare assiduamente il prediletto caffè, in compagnia di buoni amici. Ma poiché col volgere degli anni alcuni di essi scomparvero o si allontanarono da Bologna, ma poiché molte cose cambiavano, e il suo naturale istinto di uomo casalingo e tranquillo prendeva sempre più su di lui il sopravvento, le sue soste serali cominciarono a rarefarsi e poi finirono per cessare. Qualche anno prima dell’abbandono del Guerrini, il nostro Caffè aveva sofferto anche l’abbandono, ben più grave, di gran parte del pubblico, gli umori del quale furono sempre strani e spesso inspiegabili. Ma il proprietario reagì prontamente dando al suo locale un più gradevole e distinto aspetto, ed istituendo il concerto serale, che allora costituiva una gradita novità. Così dal maggio 1881 il Caffè tornò ad essere affollatissimo, e il Don Chisciotte, giornale quotidiano nato da pochi giorni, per iniziativa dell’avvocato Giuseppe Barbanti, di Luigi Lodi e di Luigi Illica, che ne era il direttore, descriveva così quella numerosissima clientela: “C’è la gente che fa il chilo parlando di arte e di politica, c’è lo studente da trecento lire al mese e l’impiegato da cento, c’è l’artista, il professore, l’elegantone posatore e il borghesuccio impomatato e contento. Raramente c’è l’artista squattrinato e disordinato. Mai la vera aristocrazia. C’è la sposa, la signorina, la vedova, mai la sartina e la donnetta allegra. C’è la bellezza affascinante e profumata e quella sciupata, avvizzita che muore. C’è il luogo elegante e quello barocco, la conversazione vera e quella sciocca”. Fra gli ospiti di eccezione poi, che s’erano in progresso di tempo, accompagnati ai precedenti o che li avevano sostituiti, va ricordato Alfredo Oriani, il quale preferiva la vita del Caffè a quella dei salotti mondani. Tuttavia egli capitava, ogni tanto, al Caffè delle scienze, al Caffè dei cacciatori o nella sala rossa del Caffè del Corso che, più tardi predilesse. Ma come nei salotti avvivava, con tratti gustosi e originali, le ombre e le luci della schermaglia galante, così al Caffè discuteva di politica e d’arte con quella fioritura d’immagini e di paradossi che erano il contrassegno della sua mentalità. Memorabile rimase allora una sua carica a fondo contro il divorzio e contro Alessandro Dumas figlio che se n’era fatto difensore, e coloro che lo ascoltarono, al tavolo del nostro Caffè, rimasero conquistati dalla sua stringente dialettica e dalla forza persuasiva del suo impeto polemico. Ma si racconta che poche sere dopo, essendo ricaduto il discorso su quell’argomento, ne prese, così per giuoco, le difese abbattendo pezzo per pezzo l’edificio che in precedenza aveva costruito, con tale calore di convinzione da lasciare i presenti ammirati e stupefatti.

Anche Alfonso Rubbiani era un fedele delle aristocratiche conversazioni, ma non rinunziava al piacere di fermarsi ogni tanto al Caffè delle scienze ove s’intratteneva coi letterati e con gli artisti. La sua parola ardente d’amore e di fede per l’arte e per la bellezza, la sua cultura varia e vivificatrice, la sua adorazione filiale per Bologna, la genialità delle sue idee, l’onestà dei suoi propositi, lo rendevano, fin da allora, stimato e gradito da tutti, e perfino gli avversari politici, come i tre compilatori del democratico Don Chisciotte, scrivevano che il Rubbiani era un “nemico da amare”. Tre giovani poi, che avevano saputo meritare ben presto stima e simpatia, erano Enrico Ferri, docente nell’Ateneo bolognese, Corrado Ricci, che faceva le sue prime prove di giornalista e di critico sulle colonne del Capitan Fracassa di Roma, e Alfredo Testoni, che dirigeva l’umoristico Ehi! Ch’al scusa… e s’avviava. Con la sua abituale serenità per la spinosa via del teatro che doveva condurlo, dopo lunghi anni di tenace lavoro, ad una ben meritata fortuna. Inoltre era apparsa la Compagnia dei Celestini, un’allegra congrega di dieci studenti di legge, della quale facevano parte Luigi Rava e Salvatore Barzilai che furono poi deputati, senatori e ministri. Sempre presente, per fedele attaccamento al luogo, si dimostrava il gruppo dei professori universitari che nel 1884 annoverava fra i suoi componenti anche il Mantovani-Orsetti e il Ducati, e altrettanto affezionato era il chiassoso e più numeroso gruppo degli artisti che, come già vedemmo, formatosi agli inizi della nuova vita del Caffè, ne aveva seguite le varie vicende, pur non tralasciando di fare settimanali sedute al Caffè dei cacciatori. Quella valida schiera di pittori, scultori ed architetti si riuniva, verso le ore venti. V’erano fra essi i maggiori esponenti dell’arte bolognese, come Luigi Serra e Luigi Busi, poi Gaetano Palazzi, Raffaele Faccioli, Alfonso Savini, Emanuele Brugnoli e, fra i più giovani: Augusto Sezanne, Alfredo Tartarini, Giacomo Lolli, Luciano Castaldini, Carlo Parmeggiani, Diego Sarti, Achille Casanova ecc. E quasi tutti questi artisti erano già noti, non solo in Italia, ma anche all’estero per le vittorie ottenute ad importanti esposizioni. Oltre a ciò, avevano contribuito alla fondazione di quel “Circolo Artistico” che fu una delle più belle e decorose istituzioni della Bologna scomparsa, e ancora allestivano con entusiasmo le fantasiose manifestazioni sociali, alcune delle quali lasciarono nei contemporanei incancellabili ricordi. Ma la continuità del gruppo artistico al Caffè delle scienze, trasse la sua ragione d’essere anche dalla costituzione, nel 1886, del Comitato per i restauri della Chiesa di San Francesco, promossa da Alfonso Rubbiani e dal conte Francesco Cavazza. Ora, per l’esecuzione dei lavori da compiersi in detta Chiesa, di formò attorno al Rubbiani quella gilda, appunto detta di San Francesco che, sotto la sua illuminata guida, fece ben presto parlare favorevolmente di sé. Gli artisti che la componevano si affermarono tutti di particolare valore nel campo della pittura e della scultura decorativa. Fra gli altri, il prof. Achille Casanova, ancora oggi vegeto e sano, e ancora intento a ultimare i grandiosi affreschi nella Chiesa del Santo a Padova, in esecuzione di quel progetto Rubbiani-Casanova-Collamarini che fu vincitore dell’importante Concorso, e per il quale il nome di questo nostro illustre artista è ben conosciuto e ben considerato in Italia e all’estero. Con il Casanova v’erano il già ricordato Alfredo Tartarini, l’architetto Edoado Collamarini, e via via gli scultori Giuseppe Romagnoli e Gaetano Samoggia, i pittori e disegnatori Luigi Bonfiglioli, Cleto Capri, Alfredo Baruffi, Alberto Pascquinelli, Alfredo Savini, Giulio Casanova, Edoardo Breviglieri, Giuseppe De Col, e l’ing. Guido Zucchini che doveva assumere, dopo la morte del Rubbiani, l’alto ed arduo compiti di continuare l’opera del Maestro, per la quale era stato istituito il Comitato per Bologna storico-artistica, e che, come si sa, è anche oggi intesa a restituire alla nostra città la sua fisionomia medioevale, restaurandone i monumenti e ridonando alle case di rosso mattone il loro volto caratteristico, spesso deturpato, o nascosto sotto ignobili tinteggiature. Tutti questi artisti furono per molti anni assidui frequentatori del Caffè delle scienze, ove il Rubbiani sedeva fra loro come un nume tutelare. E il cenacolo così composto aveva forza di attrazione, godeva delle saltuarie visite di Enrico Panzacchi e di Alfredo Oriani e, verso la fine dell’ottocento, ospitava ai suoi tavoli, ove si discuteva e si giocava a domino, giovani scrittori e poeti come Giulio De Frenzi (al secolo Luigi Federzoni), Giuseppe Lipparini, Carlo Zangarini, Francesco Rocchi, giornalisti come Carlo Sarti e Patrizio Patrizi, tipi curiosi e strani come Alberto Caburazzi, e, a volte, personalità di passaggio, italiane e straniere.

E qui, poiché lo spazio non ci permette di dilungarci quanto sarebbe necessario, diremo, in breve, che nel dicembre 1898 il nostro Caffè diventò luogo di raduno settimanale della redazione del Bologna che dorme, dato in luce appunto in quei giorni da Carlo Sarti e dal pittore Augusto Majani. Ogni lunedì il Sarti e i redattori Baruffi, Cisterni, De Frenzi, Lipparini, Marcovigi, Trebbi e Zangarini si riunivano in una delle piccole sale appartate, e la preparazione del numero da pubblicare pochi giorni dopo costituiva per gli intervenuti, come già si è detto altrove un impagabile divertimento. A quell’epoca però il Caffè delle scienze era già in declino, e grave danno gli era derivato dall’abbandono da parte dei bolognesi, del Portico del Pavaglione e della via Farini come luoghi tradizionali del pubblico passeggio. La via Indipendenza aveva spodestato il vecchio portico e la vecchia strada, la quale, nei rispetti del commercio che già vi prosperava, era ridotta d’importanza e di valore. La clientela fissa dei cenacoli e dei gruppi si manteneva nel Caffè abbastanza viva, giacchè con gli artisti, anche gli universitari, allora rappresentati dai professori Emerj, Perozzi, Majocchi, Valenti, ecc., davano ulteriore prova della loro fedeltà, ed erano ancora compatti il gruppetto degli ufficiali di cavalleria e l’altro di appartenenti al partito moderato di Bologna. Inoltre l’11 marzo 1901 e il 22 gennaio 1904, quella originale e spassosa istituzione che era l’Accademia de la Lira, vi aveva tenuto, nella seconda sala grande, due delle sue esilaranti riunioni. Ma tutto ciò non poteva avere alcuna influenza sullo stato delle cose perché la clientela di scarsa importanza intellettuale, ma di maggiore rendimento, s’assottigliava con progressione allarmante, e il Caffè, come la via Farini, era in molte ore del giorno quasi deserto; senza contare che i ripetuti sforzi del proprietario per infondergli nuovo potere d’attrazione, non riuscivano a produrre alcun pratico effetto. Pareva che il suo destino fosse ormai segnato e infatti, poiché nulla v’è di eterno a questo mondo, anche l’illustre Caffè delle scienze caduto in povertà, dovette subire la sorte comune, e nel 1913 non era più che un ricordo". (Oreste Trebbi, trascrizione a cura di Lorena Barchetti).

In collaborazione con Biblioteca Sala Borsa di Bologna.

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www.vedio.bo.it#sthash.V0NR1vdM.dpuf
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Bologna alla vigilia dell'unità italiana - 1849 | 1859. Intervista a Fiorenza Tarozzi. A cura del Comitato di Bologna dell'istituto per la storia del Risorgimento italiano. Con il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. www.vedio.bo.it

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Documenti
Guida artistica commerciale industriale
Tipo: PDF Dimensione: 3.03 Mb

Guida artistica, commerciale ed industriale per l'interno della città di Bologna; anno settimo, Bologna, Società Tipografica dei Compositori, 1872. Collezione privata.

Ehi! ch'al scusa.. 1882 n. 5
Tipo: PDF Dimensione: 2.14 Mb

Ehi! ch'al scusa.., anno 3, n. 5, 4 febbraio 1882, Bologna, Società Tipografica Azzoguidi

Bononia Ridet n. 63 | 1889
Tipo: PDF Dimensione: 1.59 Mb

Bononia Ridet - rivista artistica letteraria universitaria settimanale. N. 63, 8 giugno 1889, Litografia Casanova, Bologna. Collezione privata.

Bononia Ridet n. 64 | 1889
Tipo: PDF Dimensione: 1.49 Mb

Bononia Ridet - rivista artistica letteraria universitaria settimanale. N. 64, 15 giugno 1889, Litografia Casanova, Bologna. Collezione privata.

Bononia Ridet n. 60 | 1889
Tipo: PDF Dimensione: 1.56 Mb

Bononia Ridet - rivista artistica letteraria universitaria settimanale. N. 6, 18 maggio 1889, Litografia Casanova, Bologna. Collezione privata.

Bolognese è gaio ognor (Il)
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Alfredo Testoni (testo), Augusto Majani (illustrazioni), Il bolognese è gaio ognor. Estratto dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1907.

Quando non si giocava a carte
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Erberto Fiorilli, Quando non si giocava a carte. Estratto dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1924.

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