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Briganti a Medicina

1850 | 1851

Schede

”Al principiar dell'anno 1850 formavasi una conventicola di malviventi nei circondari dei Governatorati di Medicina, di Budrio e d'Imola, la quale non curando la potenza della Legge Marziale, colla maggiore audacia pel lasso di più mesi apportò terrore e spavento ai tranquilli abitanti di quelle e delle limitrofe campagne commettendo invasioni e rapine con crudeli sevizie....”

Comincia in questo modo la Notificazione XL (n. 40) relativa alla sentenza 'dell'Imperial Regio Governo Civile e Militare' a firma del conte Nobili, ufficiale comandante dell'ottavo Corpo d'Armata, emessa a Bologna il 20 dicembre 1851. Nella sentenza vengono descritti una lunga serie di gravissimi reati commessi da una 'conventicola' cioè un'odierna organizzazione criminale (o associazione a delinquere), composta da ben 37 banditi, in maggior parte medicinesi. Il fatto potrebbe meravigliare chi pensa al nostro paese, in quella metà dell'ottocento, come ad un tranquillo borgo di campagna dove gli abitanti convivevano in religiosa e laboriosa pace. In realtà, leggendo le cronache giudiziarie dell'epoca non era proprio così, e la delinquenza dilagava allora forse ancor più di ora. Basti pensare che nell'anno 1860, all'alba dell'unità d'Italia, nella sola città di Bologna furono contate ben 483 aggressioni a mano armata. E non andiamo a scomodare la banda del Passatore, la quale in materia criminale forniva risultati da record. Questo nonostante pene severissime, pena di morte in primis, lavori forzati da scontare solitamente nelle darsene dei porti dello Stato Pontificio o alla bonifica delle paludi maremmane o ferraresi e anni e anni di galera. Colpa forse della povertà, dell'ignoranza e del clima politico in quegli anni del Risorgimento. Tornando al nostro racconto, cercherò ora di riassumere la sequela di delitti commessi, come detto, da personaggi in maggior parte originari o residenti nel nostro comune.

L'intenzione non è quella di rilegare la narrazione a fredda cronaca giudiziaria, come in realtà potrebbe apparire, né tantomeno quella di giudicare i protagonisti; ma piuttosto di stimolare e soddisfare curiosità, di dare alla narrazione un interesse storico per fatti che hanno interessato Medicina. Non me ne vogliano pertanto quei compaesani che riconosceranno (o crederanno di riconoscere) nei nomi dei protagonisti i loro avi, cosa peraltro abbastanza improbabile visto il lasso di tempo ormai trascorso. Ma procediamo con ordine.

Dall'estratto della sentenza: “Nella notte dal 3 al 4 gennaio 1850, sette malandrini, armati rispettivamente di schioppo e mannaie”, si recarono presso la casa colonica di Pietro Belletti a Vedrana di Budrio e, a colpi di scure, si apprestarono a sfondare la porta d'ingresso. Nel frattempo la moglie del Belletti, uditi i rumori ed affacciatasi alla finestra, urlando cominciò a chiamare aiuto. I banditi gli scaricarono contro alcuni colpi di fucile, fortunatamente senza colpirla. Una volta entrati, i briganti spararono due colpi di fucile anche all'indirizzo del Belletti poiché tentava di barricare la porta che dalla cucina dava alle stanze di casa. Fortunatamente incolume, il contadino, sotto la minaccia delle armi, fu costretto a consegnare effetti a denaro per un valore complessivo di scudi 144,68. Circa all'una di notte del 24 gennaio 1850, 'più armati' si recarono in 'località detta il Piano nei pressi di Medicina' e raggiunta l'abitazione dell'agricoltore Vincenzo Lazzaretti, cominciarono a demolire la porta a colpi di scure. Il Lazzaretti e sua moglie, svegliati dai rumori, si affacciarono alla finestra gridando aiuto, ma due colpi di fucile sparati dal cortile uccisero all'istante la donna. Una volta sfondata la porta i banditi si impossessarono di effetti e denaro per un valore complessivo di scudi 23,58. (nel documento non viene menzionato il nome della vittima) Nella notte del 29 gennaio nove banditi armati, dopo essersi incontrati nei pressi di Sesto Imolese, si recarono a S. Martino in Argine dove mediante effrazione di una finestra si introdussero nell'abitazione di Angelo Cavazza, contadino della zona, e lo rapinarono della somma di scudi 95,02. La notte del successivo 8 febbraio, cinque banditi armati si recarono presso la casa colonica di Giuseppe Palmieri, sita nei pressi di Budrio, ed una volta sfondata la porta d'ingresso sequestrarono sua moglie minacciando di ucciderla, facendosi così consegnare preziosi e denaro per un valore di scudi 17,19. Nella notte tra il 14 e il 15 di febbraio, tredici malviventi armati, dopo essersi incontrati nei pressi di Fiorentina, si recarono alla Selva di Budrio (oggi Selva Malvezzi) e spacciandosi per la banda del Passatore, invasero ben tre abitazioni. La prima quella di tale Carlo Ferri, dove mediante una corda stretta al collo del figlio e relative minacce di morte, si fecero consegnare preziosi e denaro per un valore complessivo di scudi 179,85. Seconda fu quella dell'oste Alessandro Altobelli, che venne obbligato ad aprire l'osteria ed a servire loro del vino. Poi proseguirono sino all'abitazione di Gaetano Pasquali, agente della tenuta Malvezzi e sempre fingendosi la banda del Passatore, con minacce obbligarono il Pasquali ed il suo garzone ad aprire la porta e a consegnare loro denaro e preziosi per un valore complessivo di scudi 156,98. (evidentemente la banda del passatore era ben conosciuta e temuta già allora).

Verso la fine di febbraio, undici banditi si riunirono in località Pioppa Storta (Buda) con l'intenzione di recarsi a S. Martino in Argine per colpire più obbiettivi già prefissati in quella zona. Vennero però preventivamente informati dal loro basista che un buon numero di gendarmi stava pattugliando il paese, pertanto dovettero desistere rimandando il colpo ad altra data, infatti, la notte del 5 marzo successivo i malfattori, aumentati a tredici, si riunirono in località Botte Nuova nei pressi di Sant'Antonio e da lì si diressero a S. Martino in Argine dove invasero tre abitazioni. Prima fu quella di tale Carlo Presti dove mediante 'crudeli sevizie' allo stesso, si fecero consegnare denaro e oggetti per un valore di scudi 48,23. Poi si recarono presso l'abitazione di Isaia Orsoni e una volta sfondata la porta, minacciando di bruciare vivo l'Orsoni stesso ed il giovane garzone che viveva con lui, si fecero consegnare effetti e denaro per un valore di scudi 67,84. La terza rapina venne commessa ai danni del contadino Giuseppe Martelli che, minacciato di morte, fu costretto a consegnare la somma di scudi 81,53. La notte del 16 marzo, in località Passo Pecore nei pressi di Fossatone, nove banditi armati si riunirono per recarsi alla Gaiana di Castel S. Pietro. In quel luogo invasero l'abitazione del contadino Antonio Baldazzi dove, con la minaccia di bruciare la casa, si fecero consegnare la somma complessiva di scudi 90. Poi si recarono presso la canonica della chiesa dove però il parroco, Don Antonio Cazzani, si avvide del loro arrivo e cominciò a suonare le campane in segno di allarme. Purtroppo nessuno corse in suo aiuto e nel frattempo i banditi riuscirono ad aprire la porta. Catturato il prete lo percossero e lo minacciarono di morte riuscendo a farsi consegnare tutto il denaro che aveva. Non contenti si recarono in chiesa dove asportarono la cassetta delle offerte. Il colpo fruttò un totale di scudi 18. I briganti proseguirono fino alla casa di Domenico Sgarzi e minacciando di incendiare la casa lo costrinsero ad aprire la porta per poi rapinarlo di scudi 69. Obbligarono poi lo stesso a condurli sino all'abitazione di Giuseppe Zerbini il quale, udita la voce del conoscente che lo chiamava, aprì la porta. Riuscito lo stratagemma, i banditi rapinarono allo Zerbini 13 scudi per poi tornare all'abitazione di Sgarzi ove si intrattennero per dividere il bottino.

La notte del 24 marzo, quattro banditi armati si recarono presso la casa colonica di Paolo Dardani a Ganzanigo e annunciandosi per appartenenti alla Forza Pubblica si fecero aprire la porta. Una volta all'interno, uno dei briganti condusse il garzone nella stalla e lì lo rinchiuse dopo averlo legato. Il Dardani fu invece fatto inginocchiare, coperto con un lenzuolo e stretto nel collo con un cappio per costringerlo a rivelare il nascondiglio dei soldi, cosa che ovviamente il povero disgraziato fu costretto a fare. Questa rapina fruttò ai quattro briganti scudi 12,45. La notte successiva, 25 marzo, otto banditi invasero l'abitazione del contadino Domenico Roda di Villa Fontana. Anche in questo caso si qualificarono per la banda del Passatore minacciando di bruciare la casa qualora non fosse loro aperta la porta. Una volta all'interno malmenarono sia il Roda che suo figlio e rapinarono la somma di scudi 168,50. Nella notte del 18 aprile, dieci banditi armati si recarono presso l'abitazione di Giacomo Zerbini a San Martino In Argine e con minaccia di incendiare la casa si fecero aprire la porta rapinando la famiglia di effetti e denaro per una valore di scudi 47,25. Verso la mezzanotte del 24 aprile, dieci briganti si recarono presso l'abitazione dei cugini Fiorini a Bagnarola di Budrio dove cominciarono ad abbattere la porta a colpi di scure. Visto che rimaneva ben poco da fare, Sante Fiorini aprì spontaneamente. Una volta all'interno i banditi riunirono le famiglie di Sante, Giovanni e Stefano Fiorini e minacciando tutti di morte, si fecero consegnare denaro ed effetti per l'ammontare di 234,70 scudi. Nella notte del 21 maggio, nove banditi si riunirono in località Botte Nuova (Sant'Antonio) per recarsi alla Riccardina di Budrio, dove si apprestarono a sfondare la porta della villa di Gaetano Accorsi. L'Accorsi allora cominciò a suonare la campanella che si trovava sopra il tetto della casa ma nessuno dei suoi vicini corse in suo aiuto. In considerazione di quanto stava accadendo, Accorsi gettò ai briganti un sacchetto contenente diverse monete d'argento sperando di soddisfare i banditi i quali, nel frattempo erano però riusciti ad abbattere la porta d'ingresso e una volta in casa malmenarono l'Accorsi e lo rapinarono di denaro e altri valori per un totale di 241 scudi.

Questo il crudo riassunto dei crimini elencati in sentenza e contestati alla banda. Non stupisca la distanza tra alcuni luoghi di ritrovo ed il luogo dove il delitto veniva consumato. Nelle campagne, contrariamente a quanto siamo portati a credere, si viaggiava prevalentemente a mezzo di carretti o calessi trainati da buoni cavalli e solo di rado a piedi, se non per percorrere distanze brevi. Pertanto è logico ritenere che anche i banditi usassero quei mezzi per i loro spostamenti; solo i gendarmi ahimè si muovevano a piedi. Per fare poi una stima comprensibile oggi delle somme rapinate e dare una valutazione chiara ai 'famigerati' scudi romani, moneta corrente all'epoca, vorrei usare un metro di paragone trovato in internet che a mio parere rende comprensibilissimo l'ingente valore del bottino via via accumulato nei vari colpi. “Nel 1830, in Romagna, per la somma di 500 scudi venne compravenduto un piccolo, anche se molto fertile, podere”. Vero che nostra storia è ambientata vent'anni dopo, 1850, ma ritengo comunque il confronto assolutamente appropriato.

Ed ora veniamo all'identità di questi violenti e brutali banditi che come recita testualmente la sentenza:“siccome prevenuti di questi criminosi fatti furono arrestati”: 1) RODA Giovanni, detto Rodino (Rudèn), di anni 26, nato e domiciliato a Medicina, celibe, pescatore, pregiudicato; 2) SASDELLI Francesco, detto Bravetto (Bravàt) di anni 26, nato e domiciliato a Medicina sposato con prole, pescatore; 3) RODA Giuseppe, detto Pariani (Parièn) di anni 26, nato a Villa Fontana e domiciliato a Medicina, celibe, bracciante; 4) EVANGELISTI Luigi, detto Dragone, di anni 27, nato e domiciliato a Medicina, celibe, bracciante, pregiudicato; 5) GOLINELLI Michele, detto Manzelli, di anni 30, nato a Montericcio di Imola e domiciliato a Medicina, sposato con prole, bracciante, pregiudicato; 6) ZUCCHINI Pietro, di anni 22, nato a Fiorentina di Medicina e domiciliato alla Selva di Budrio, celibe, bracciante; 7) GRALDI Sante, di anni 30, nato a Crocetta e domiciliato a Ganzanigo, celibe, birocciaio, pregiudicato; 8) SASDELLI Sante, detto Cervino, di anni 36, nato e domiciliato a Medicina, celibe, bracciante; 9) RIMONDINI Domenico, di anni 30 nato e domiciliato a Fiorentina, sposato con prole, contadino; 10) CONTOLI Luigi, detto Ragnetti (Ragnàtt), di anni 23, nato e domiciliato a Sesto Imolese, celibe, bracciante, pregiudicato; 11) STIGNANI Antonio, detto Magnanetto (Magnanàt) di anni 23, nato e domiciliato a Ganzanigo, celibe, bracciante, pregiudicato; 12) GARDA Giuseppe, di anni 30, nato a S. Martino in Medesano e domiciliato a Medicina, sposato con prole, birocciaio, pregiudicato; 13) MONTERUMISI Serafino, di anni 60, nato a Calderara e domiciliato a Villa Fontana, sposato, bracciante; 14) LORENZINI Gaetano, detto Moretto, di anni 22, nato a Vedrana e domiciliato a Fiorentina, celibe, bracciante; 15) BRINI Giuseppe, detto Sborgnino (Sburgnèn) di anni 26, nato e domiciliato a Buda, celibe, risaiolo, pregiudicato; 16) BIANCHI Antonio, detto Scarpolino (Scarpulèn o Scarplèn) di anni 37, nato a Budrio e domiciliato a Medicina, sposato con figli, bracciante, pregiudicato; 17) RUBBI Pietro, di anni 20, nato e domiciliato a Buda, celibe, bracciante; 18) DALL'OLIO Mamante, di anni 25, nato e domiciliato a Medicina, celibe, bracciante, pregiudicato; 19) BRINI Luigi, detto Gallarino (Galarén), di anni 20, nato e domiciliato a Sesto Imolese, celibe, bracciante, pregiudicato; 20) CHIERICI Battista, detto l'Ortolano, di anni 33, nato a Castel Guelfo e domiciliato a Ganzanigo, sposato con prole, bracciante, pregiudicato; 21) SELLERI Ezechiele, di anni 27, nato e domiciliato a Ganzanigo, sposato con prole, bracciante, pregiudicato; 22) GAMBERINI Filippo, di anni 25, nato a Mezzolara e domiciliato a Budrio, celibe, bracciante, pregiudicato; 23) LELLI Domenico, di anni 60, nato e domiciliato a Villa Fontana, sposato con prole, bracciante, pregiudicato; 24) PATERNI Sante, di anni 57, nato e domiciliato a Budrio, vedovo con prole, contadino; 25) OLIVIERI Francesco, detto Dorlino (Durlèn) di anni 21, nato e domiciliato a Ganzanigo, celibe, bracciante; 26) GAGLIANI Fortunato, detto Marozzi (Maròz) di anni 30, nato a Dugliolo e domiciliato a Budrio, sposato, bracciante; 27) SASDELLI Angelo detto Cervino (Zarvèn), di anni 27, nato e domiciliato a Medicina, celibe, bracciante e birocciaio, pluripregiudicato; 28) TESTONI Luigi, detto Bisolla (Bisòlla) di anni 40, nato e domiciliato a Budrio, sposato con prole, macellaio; 29) CINELLI Luigi, di anni 30, nato a Villa Fontana e domiciliato a Budrio, celibe, bracciante, pregiudicato; 30) ROSSI Giuseppe di anni 34, nato a Vedrana e domiciliato a Budrio, sposato con prole, bracciante; 31) CAVRINI Luigi, di anni 32, nato e domiciliato a Budrio, sposato con prole, bracciante pregiudicato; 32) CERIOLI Angelo detto il Generale, di anni 36, nato Vedrana e domiciliato a Budrio, sposato con prole, pregiudicato; 33) DAL FIUME Natale, di anni 25, nato e domiciliato a Villa Fontana, celibe, bracciante; 34) EVANGELISTI Luigi detto Pecorina, di anni 30, nato a Sant'Antonio e domiciliato a Medicina, sposato con prole, bracciante, pregiudicato; 35) RAMBALDI Francesco, di anni 47, nato e domiciliato a Medicina, sposato con prole, bracciante, pregiudicato; 36) SELLERI Francesco, di anni 34, nato e domiciliato a Fiorentina, sposato con prole, contadino, pregiudivato; 37) MAGNANI Marco, di anni 29, nato a Portonovo e domiciliato a Buda, sposato con prole, bracciante.

Ora è il caso di fare alcune precisazioni. Nello Stato Pontificio, del quale il nostro territorio faceva parte, stato civile e anagrafe erano tenuti dai parroci delle parrocchie e non dagli uffici comunali, come avverrà solo in seguito all'unità d'Italia. Ecco spiegato il perchè alcuni dei nostri protagonisti risultano documentalmente nati e domiciliati nelle frazioni. Circa i soprannomi citati, va precisato che venivano tradotti direttamente dal dialetto e spesso da funzionari o scrivani non di origine bolognese che non ne percepivano il significato, finendo così snaturati, mutati o corretti. Mi è capitato, in altre letture, di trovare più soprannomi similari attribuiti alla stessa persona, segno evidente che nelle varie trascrizioni degli atti, il soprannome veniva di volta in volta reinterpretato. Purtroppo non ho trovato atti giudiziari, rapporti o verbali di polizia che documentino le indagini svolte e su come si sia potuto arrivare all'identificazione ed all'arresto dei colpevoli. Sarebbe stato molto interessante seguire i gendarmi pontifici nel corso delle loro attività, svolte verosimilmente tra ricettatori, spie e delinquenti di ogni genere esplorando, attraverso quei documenti, l'ambiente malavitoso esistente allora nel nostro territorio. E' logico ritenere, e permettetemi un 'senza ombra di dubbio', che i banditi si muovessero a colpo sicuro affidandosi a basisti ed informatori che conoscevano le vittime e soprattutto conoscevano bene il momento giusto per intervenire; cosa facilmente desumibile dal fatto che nei luoghi in cui avvenivano le rapine, ritroviamo sempre il domicilio di qualcuno tra i malfattori. La sentenza ovviamente non ci racconta tutto questo, però testualmente precisa che: “assuntasi a loro carico la relativa inquisitoria e chiamati a discolpa davanti al Consiglio di Guerra, emersero convinti colpevoli per le proprie confessioni state verificate in atti”. L'atto di sentenza riporta ovviamente le varie pene inflitte agli imputati e da queste pene ci si renderà conto di quanto allora fosse dura la legge nel confronti dei condannati; del resto "dura lex sed lex". Tali pene, per la loro severità, sono assolutamente impensabili nell'odierno criterio giuridico e, con gioco di parole, lascio a voi considerare se fosse più giusta la giustizia di allora o quella di oggi. Per questioni di spazio e per non rendere il racconto lungo e brodoso, sono costretto a tralasciare alcune pagine del documento nelle quali vengono attribuiti, ad ogni imputato, gli specifici reati commessi.

Ed ora, se è vero che come si dice "il crimine non paga", vediamo le condanne: RODA Giovanni, SASDELLI Francesco, RODA Giuseppe, EVANGELISTI Giovanni e GOLINELLI Michele: pena di morte mediante fucilazione, peraltro immediatamente eseguite. SASDELLI Sante, GRALDI Sante, GARDA Giuseppe, GAMBERINI Filippo, SELLERI Francesco: 20 anni di galera. RIMONDINI Domenico,STIGNANI Antonio, MONTERUMISI Serafino, LORENZINI Gaetano, OLIVIERI Francesco, SASDELLI Angelo, GAGLIANI Fortunato: 18 anni di galera. ZUCCHINI Pietro, RUBBI Pietro, DALL'OLIO Mamante, CHIERICI Mattista, SELLERI Ezechiele, CINELLI Luigi, CAVRINI Luigi, CERIOLI Angelo, 15 anni di galera. BRINI Giuseppe, MAGNANI Marco: 10 anni di galera. CONTOLI Luigi, BIANCHI Antonio, BRINI Luigi, LELLI Domenico, PATERNI Sante, TESTONI Luigi, ROSSI Giuseppe, DAL FIUME Natale, EVANGELISTI Luigi, RAMBALDI Francesco: assolti per mancanza di prove.

Per quanto riguarda le numerose assoluzioni, posso assicurare che i tribunali pontifici funzionavano pressapoco come quelli di oggi -asprezza delle pene a parte ovviamente- e le condanne venivano inflitte davanti a prove evidenti o alla piena confessione del colpevole. E qui termina una storia di oltre 160 anni fa; storia di rapine e violenze che purtroppo riviamo ancora oggi tutti i giorni, aprendo la pagina di un qualsiasi quotidiano o ascoltando le notizie dei vari telegiornali.

Paolo Landi

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 16, dicembre 2018.