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Basile Joseph Ducos visita Bologna

1819 | 1820

Schede

Monsieur B. Ducos, giovine ancora, ricco, intelligente, ammiratore di Napoleone, più tardi divenuto reggente della Banca di Francia, ebbe in animo di fare sul finire del 1819 e durante il 1820 il viaggio d'Italia. Egli pensava, come molti altri francesi, come molti inglesi, che la educazione estetica non potesse essere compiuta senza il viaggio d'Italia, senza vedere coi propri occhi e gustare colla propria mente, direttamente, il paese dalle infinite bellezze. Sentì anch'egli, come tanti altri, questa viva attrazione, e venne accompagnato da alcuni amici, e dimorò qui per parecchi mesi, tutto vedendo, tutto esaminando e osservando. E come molti altri avevan fatto e stavan facendo, prese delle note: a casa le ordinò, le fece vedere ai suoi compagni di viaggio, alcune le pubblicò in riviste, come saggi o spunti; non dispiacquero; e allora l'autore fu indotto a pubblicare la narrazione completa e definitiva. Il racconto del Ducos è lungo e minuzioso, e si estende per quattro grossi volumi, quantunque egli non abbia vista e quindi non descritta tutta l'Italia. Non è un artista nel vero senso della parola, non è uno scrittore di grande ala, ma il suo racconto non annoia, spesso interessa e attrae. Le sue osservazioni, non profonde, attirano per la realtà cui sono ispirate e per un grande senso di bonomia che spira da tutto il volume. Qua e là spunta un senso di ironia, che è contenuta e temperata da una grande fondamentale bontà. Il libro è nato dopo il ritorno; molte cose sono state perciò rifatte e compiute più tardi, cosicché non hanno tutta la freschezza delle cose di getto. Le reminiscenze storiche, che sono numerose e notevoli, sono evidentemente state attinte più tardi ai libri, non scritte il giorno della impressione.

Il viaggio fu iniziato in buona compagnia, ho detto, sulla fine del 1819. Partendo da Parigi il Ducos giunse a Sion, traversò le Alpi per il Sempione, arrivò a Milano, poi continuò per Bergamo, Verona, Vicenza, Venezia, ove si fermò non poco. Quindi riprese il cammino per Ferrara e Bologna, continuò per Rimini, Ancona, Foligno, Roma. Questa era la mèta più lontana del viaggio. Il ritorno fu fatto per Firenze, Bologna, Piacenza, Genova, Torino; le Alpi furono ripassate da Susa. Ho tradotto la parte che si riferisce a Bologna, che ha dei lati assai notevoli e originali, quantunque il gusto artistico lasci più di una volta a desiderare, dalla splendida edizione originale del viaggio fatta a Parigi nel 1829. Edizione rara perché fu tirata in soli 150 esemplari e non posta in commercio. Il finanziere e viaggiatore volle che solo gli amici, e primi quelli che erano con lui nel viaggio, partecipassero ai suoi sentimenti, alle sue impressioni, entusiastiche e sincere su quella che egli bonariamente e affettuosamente chiamava "la belle Italie"!

Il cardinale Spina e 'Riccardo cuor di leone' | Non vedevamo il momento di arrivare a Bologna, di salutare la città, nella quale il medesimo secolo vide nascere Annibale Caracci, il Domenichino, Guido Reni, l'Albani e il Guercino. La Provincia del Bolognese è governata dal cardinal Spina. Gli abitanti si lodano della sua mitezza e della sua equità: la facilità de' suoi modi gli ha conciliato i sentimenti dei laici e dei liberali senza alienargli quelli dei rigoristi e del clero. Passa la sera, per lo più, a teatro, nel palco del Governo; ma Sua Eminenza non assisteva oggi alla rappresentazione di Riccardo Cuor di Leone. La musica italiana di quest'opera è mediocre. Grétry ne ha reso la prova difficile. Pochi compositori potrebbero far dimenticare i motivi svariati ed eletti del musicista di Liegi, la leggerezza e la grazia degli accompagnamenti e specialmente la commovente romanza di Blondel. La sala è piccola e la decorazione screziata in modo ridicolo. Ciascuno tinge e adorna il palco a suo piacere: e ne risulta una confusione di addobbi e di colori che affatica la vista.

La Madonna di San Luca | Alla sommità della parte elevata che domina la città di Bologna è innalzata una chiesa ove gelosamente si conserva un ritratto della Vergine, famoso per i miracoli che gli si attribuiscono, e che vogliono dipinto da San Luca stesso, patrono di questa Basilica e dei pittori da strapazzo. Vi conduce un portico lungo mezza lega e composto da 650 arcate. I nobili, le diverse corporazioni di arti e mestieri e gli operai si sono quotati per farlo costruire: di guisa che la proprietà si trova divisa tra coloro che han fatto le prime spese e coloro che si sono incaricati delle riparazioni. Il nome di ogni proprietario, la data della sua partecipazione a questo pio atto, il numero degli archi che possiede, sono scritti in medaglioni sormontati da stemmi, da sentenze, da citazioni della Bibbia, da immagini di Santi e di Madonne e da emblemi diversi di superstizione e fede. Una moltitudine di mendicanti accovacciati o inginocchiati sul pavimento attendono i passanti, e li assediano con le loro richieste e colle recitazioni delle litanie e dei salmi. L'ora della funzione religiosa chiamava i fedeli. La Chiesa era già piena; nella moltitudine non v'era alcuno che non appartenesse alle ultime classi del popolo e che non venisse a cercare una consolazione alla disgraziata sua sorte. Ma la loro devozione non sarebbe del tutto soddisfatta se non potessero assistere molto da vicino alla celebrazione dei Sacri Misteri. Tutti s'aspettano d'esser testimoni di un miracolo, così sono frequenti in questo tempio, e nessuno vuol lasciarsi sfuggire l'occasione di vederlo. E così, che sforzi, che urti, che modi brutali anche, per avvicinarsi all'altare! La folla lo circonda, si assiepa davanti, di dietro, dai lati, di sopra; ho visto di questi curiosi diritti tra i ceri; appena, appena il prete ha modo di muoversi. Alla malora i deboli! Se non sono rovesciati, il calore li soffocherà!

La folla dei fedeli | L'immagine della Vergine ha un suo santuario a parte. Nella grandi solennità, solamente i robusti possono penetrarvi e una volta dentro al sacro recinto, niuno avrebbe potuto certo cacciarli. Là si prosternano a terra. Alla porta del tabernacolo pende uno stendardo la cui stoffa usata ha perduto il suo colore; essi se lo disputano, se lo strappano per tenerlo in mano, baciarlo, accostarlo alla fronte, porlo sulla testa. A questo possesso, sia pur d'un momento, è unita tanta felicità, che scoppia in accenti di gioia, d'affettuosità, di pianto. E' un concerto di slanci, di sospiri, di orazioni ed estasi che potrebbe esser preso come immagine della felicità celeste. In mezzo alla calca, circolano in gran numero i membri delle confraternite del luogo, devoti privilegiati, cui tutti gli altri guardano con una specie di venerazione, benché sotto la veste religiosa essi abbiano un'aria assai mondana. Famigliari alla chiesa, essi affettano nel camminare un'aria di padronanza e di libertà, che si impone ai più creduli e li fa passare presso di loro come anime la cui salvezza è assicurata; e quasi quasi sono invidiati. Sono vestiti d'una lunga tunica, il cui colletto ripiegato reca larghe conchiglie; sul loro petto riposa una reliquia: camminano appoggiati a un bordone, che termina in alto con un grosso pomo e dei nastri a più colori. Uno di essi è rimasto a lungo tempo inginocchiato in faccia al confessionale. Dopo aver dato udienza ad altri penitenti, il confessore è uscito, ha posato le due mani sulle spalle di questo pellegrino, l'ha inteso e gli ha dato l'assoluzione. E' parso che questa pubblica confessione de' suoi peccati abbia prodotta sugli altri una profonda impressione, ma nessuno ha imitato il suo esempio.

Il Cimitero della Certosa | Prima dell'occupazione francese in Italia, i morti erano sepolti nelle chiese. Un'antica certosa posta a due miglia da Bologna è stata convertita in cimitero. Tutta la superficie è divisa in più chiostri. L'amministrazione vende, a perpetuità o tempo determinato, le tombe aperte lungo i muri. Mausolei, bassorilievi, pitture allegoriche, o semplici pietre sepolcrali distinguono queste ultime dimore. A vedere, leggendo le iscrizioni, tante creature virtuose, amate, rimpiante, si sarebbe tentato di credere che la migliore metà dell'uman genere sia salita al cielo e non abbia lasciato sulla terra se non il rifiuto. Fortunatamente non è così e anche fra i morti, come fra i vivi, c'è la tendenza a nascondere i propri difetti. Queste gallerie meritano di essere percorse. VI si legge di dolori di vedovanze che han lasciato il posto a nuove gioie, di rimpianti che non costano più lagrime, e forse ancora, e sarebbe penoso dubitarne, l'espressione di affetti e di amicizie costanti che non saranno giammai traditi. Gli artisti vi hanno esaurite le pose della disperazione. Eccone uno che si è contentato di collocare alla porta della tomba una bella figura della speranza, assisa, il cui aspetto contenuto e lo sguardo vago aprono l'anima alla consolazione. Qui regna l'eguaglianza come l'ha fatta la natura, che non ammette alcuna eccezione. I ranghi sono confusi insieme. Il ricco dorme a fianco del povero, il debole del potente. Il sepolcro della Banti, celebre cantatrice, è proprio accanto a quello dei Marescalchi, ove riposa colui che sotto il regno di Napoleone fu ministro degli affari esteri d'Italia e che è ancora ricordato a Parigi per la sua squisita finezza e per la lealtà. Tuttavia non sono insieme mescolati le età e i sessi: gli uomini, le donne, le ragazze, i giovinetti, occupano dei chiostri separati. Poi viene quello dei preti. Per una strana bizzarria le cappuccine ne hanno uno apposta per loro e un ossario è stato riservato pei crani dei cappuccini, che sono collocati in file, come i libri d'una biblioteca. Una listerella di carta incollata sull'osso frontale di ciascuno indica il nome e l'età del frate cui apparteneva. I protestanti e gli ebrei hanno essi pure dei recinti particolari. Tutte le religioni e tutte le sette sono riunite in questo che è destino comune per tutti. I posti sono stati distribuiti, ma nessuna intolleranza ha proclamato l'esclusione. Niuno s'è eretto giudice tra la divinità e gli uomini, la vita e la morte, il reale e i misteri dell'eternità.

La festa dei morti | Le diverse gallerie comunicano fra di loro attraverso porte che restano sempre aperte: si cammina su grandi strisce di pietra bianca seminate di sabbia fine. I guardiani vi traccian sopra, il mattino, dei disegni che rifanno, via via che scompaiono: degli zoccoli di forma diversa, dei tronchi di colonna portano vasi di fiori: e di fiori sono guerniti i muri e crocicchi. Non si incontrano in questi recinti, né cipressi né alberi cimiteriali. I crisantemi, i gerani odoranti, i roseti, i gelsomini, gli aranceti vi prodigano i loro profumi. Una certa eleganza, una dignità portata sino alla ricerca, allontanano le tristi idee di una separazione eterna. Si piange a meditare sulle cure amorose di questo culto malinconico e tenero. Tutti gli anni, il giorno dei morti, ciascun cittadino accende i ceri davanti alla tomba della sua famiglia, e viene ad offrire mazzi di fiori a coloro che son già discesi nella tomba. L'illuminazione è generale, il concorso è immenso. Qualcuno reca senza dubbio il tributo nel suo rimpianto e delle sue lagrime; ma per la più parte la giornata rappresenta sventuratamente come uno spettacolo, ove si mettono in evidenza il lusso e la vanità. Nello stesso tempo pubbliche preghiere si fanno in un oratorio costruito in faccia alla porta d'ingresso: vi si arriva per due vie: suo unico ornamento è una gran croce di legno piantata sull'altare che sembra destinato a proteggere indistintamente tutte le ombre erranti di quel campo di riposo. Il trasporto dei morti a questa antica certosa, non si limita a quelli dei tempi moderni, ma si trasporta ancora tutto ciò che si trova nelle antiche sepolture sparse nelle chiese. Tali resti riempiono una vasta sala che è molto frequentata dagli antiquari e dagli amici delle arti.

Il Nettuno non piace! | L'astronomo Cassini ha disegnato una meridiana nella cattedrale di Bologna. Una fontana in bronzo opera del Giambologna, adorna una delle piazze pubbliche: esse si compone d'un Nettuno accompagnato da quattro Naiadi che sprizzano l'acqua dalle mammelle. Il Dio del mare ha un'aria fanfarona e le sue ninfe mi son parse spregevoli. Quest'opera pecca soprattutto per la mancanza di proporzione: non vi si riconosce il celebre autore del Mercurio che s'invola al soffio d'un figlio di Borea. Per finire, in mezzo ad un incrocio di strade sono state costruite due torri: l'una è detta degli Asinelli, troppo alta per la sua base, comincia già ad allontanarsi dalla linea perpendicolare; l'altra, che è detta la Garisenda, ossia torre mozza, alta centoquaranta piedi, reca fin dalla sua origine uno strapiombo di otto piedi. Somiglia al famoso campanile di Pisa, non per l'eleganza della sua forma e de' suoi ornamenti, ma per la sua inclinazione veramente straordinaria.

Testo tratto da 'Bologna negli scrittori stranieri: B. Ducos' nella rivista 'Il Comune di Bologna', giugno 1917. Trascrizione a cura di Alberto Attorri. Bibliografia: Basile Joseph Ducos, Itinéraire et souvenirs d’un voyage en Italie en 1819 et 1820, Paris, Imprimerie de Dondey-Dupré, 1829.