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Balli di ieri e di oggi

1549 | 1960

Schede

Confessiamo il nostro debole per i balli popolari: il constatare che nella provincia di Bologna, fino a pochi anni fa, resistevano ancora danze tradizionali, tramontate altrove, ci aiuta la digestione. Infatti, Giuseppe Ungarelli, nel suo volume Le vecchie danze italiane ancora in uso nella provincia bolognese – Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1894, ne enumera una cinquantina.

La pubblicazione è anziana di oltre mezzo secolo, e nel frattempo parecchie di queste danze villerecce si sono perse per la strada; ma molte hanno resistito all’attacco dei tanghi, degli shimmy, dei fox-trott e degli spirou. Bisogna portarsi molto indietro per trovare l’origine dei balli rusticali bolognesi, cioè ai secoli XVI e XVII, quando il Villan di Spagna, il Bergamasco, la Corrente, la Gagliarda, il Mattazzino erano ballati dal popolo bolognese e dai contadini al suono del liuto, della spinetta, del violino e della chitarriglia. La nobiltà invece, dato “ostracismo ai balli popolari, piroettava la Pavaniglia, la Pavana, lo Spagnoletto, nonché l’Ardente Sole, l’Occhio leggiadro, il Ballo del fazzoletto, il Ballo del Fiore, e il Ballo del Cappello. Quest’ultima danza venne definita da Simeone Zuccolo nella Pazzia del Ballo (Padova 1549) come il Ballo dell’Adulterio, e consisteva nella facoltà accordata alle donne di mettersi in capo il berretto dei ballerini per invitarli alle danze. Dice lo Zuccolo: “Quando l’uomo, con un dolce sorriso o un amoroso sguardo, è invitato da una donna a ballare, si leva la berretta e cortigianescamente baciandola glie la pone sulle bionde trecce. Fanno così insieme il ballo, terminato il quale la donna, medesimamente baciandola, ripone la berretta in capo al suo leggiadro cavaliere”. La definizione dello Zuccolo è certamente azzeccata; attraverso questi armeggi si moltiplicavano per le donne sensibili le probabilità di scivolatine peccaminose e di negligenze verso la virtù. Pare che la frenesia del ballo fosse assai accentuata in quei secoli, tanto che vi troviamo un bando nel 1590 del Vicelegato bolognese, il quale proibisce, sotto pena di cento scudi di multa e pene corporali, le danze in qualsiasi luogo del contado bolognese, per impedire risse, e riportare i parrocchiani ai divini uffizi, disertati per il Bergamasco e la Gagliarda. Ma non era solo presso il popolino ed i contadini che succedevano parapiglia causa le danze: nel Carnevale del 1623, durante un ballo, il marchese Camillo Pepoli, essendo stato urtato da un certo conte Teodosio di Castel Bolognese, corrispose l’urto con una pugnalata. Il ballo continuò malgrado questa piccola noia, mercè l’intervento del Vicelegato, e un cronista dell’epoca ci riferisce anzi questa felice conclusione: “Il ferito fu messo a letto, curato, e poscia spedito a morire al suo paese”. Sempre per mostrare i costumi dell’epoca, ne diamo un altro esempio. In casa del senatore Davia (1692), durante un ballo, la contessa Eleonora Zambeccari strappò dal volto la maschera a due gentiluomini per la sola curiosità di individuarli: costoro risposero con quelle squisitezze con cui noi, persone ordinarie, gratifichiamo i fati quando ci schiacciano un piede o cadiamo per le scale. Malgrado il turpiloquio dei gentiluomini (?) la donna, biasimata dai più, dovette scusarsi coi due, cioè con il conte Filippo Marsigli e con Girolamo De Buoi.

Abbiamo detto che le danze descritte dall’Ungarelli sono circa una cinquantina e ci piacerebbe di riportarne la descrizione; ma il limitato spazio ci consente soltanto di dare qualche titolo preso a spizzico qua e là: Bal d’l’ahi! Cuntradanza, Frulena, Galopa, Giga, Manfreina, Milorda, Quadregkia, Ruggir, Saltarel e la muntanera, Tarscan, Caper i radecc, Veneziena. Avevamo speranze di trovare nel volumetto dell’Ungarelli notizie sull’origine e sull’etimologia dei balli alla filuzzi, ma l’autore è muto in proposito; però è da ritenersi che solo la denominazione di queste danze sia abbastanza recente, poiché moltissime figure provengono dai balli popolari sopra accennati. Attualmente rifiorisce la voga dei balli alla filuzzi: ballerini di tutte le età frullano furiosamente sulle piste del Cral Bastia, del Piccadilly, del Florida Danze, della Pineta, della Fantasta Danze, del Bosco di Corticella, dei Polischi, del Giardino Azzurro, della Piccola Bologna e di infiniti altri locali. Accanto ai veterani di questi balli popolari, Orestino, Draghetti, Bortolotti, Bianchi, la Ginghina, la Berta, ecc., si allineano i campioni della nuova generazione: Morini, Fava, Zaniboni, Governatori, Lambertini, Ferri, Zanasi, Cecchini, Passerini, Aletti, i virtuosi di ballo a chinen, Rambelli e Marchesini, e le valentissime dame di cui daremo il semplice nome di battesimo, Maria, Diana, Laura, e Iolanda senza specificarne le generalità, desiderando esse, modestamente, di conservare l’anonimo. Se i migliori di questi ballerini e di queste ballerine sono popolari, non lo sono meno i concertisti: piroettano freneticamente i seguaci del filuzzi a suono dell’organino, di cui Leonildo Marcheselli è l’asso prestigioso ed originalissimo (è anche compositore di musiche di balli popolari) e al suono delle chitarre di Masi e di Anzola, nonché del Quartetto dell’Allegria (Biagi, Parisini, Masi G. e Toschi). Ultimamente Morini e la Ginghina hanno rievocato, applauditissimi dal pubblico del teatro Duse e del Carro di Tespi, le più brillanti figure dei balli alla filuzzi in un quadro della rivista “Ti di Giollia, te?”. Ci si dice che alcuni presenti allo spettacolo, si sono convertiti ai balli popolari, saturi dei boogie-woogie, degli spirou, delle rumbe e degli shimmy. Complimenti! Queste reclute entusiaste andranno ad ingrossare la legione dei sostenitori e dei tifosi delle danze alla filuzzi di cui Di Giuseppe, Otello, il notissimo sportman proprietario del bar omonimo, Cichini, Rossi, Ansaloni, ecc., della Società del Buon Umore, sono la magna pars.

(Alessandro Cervellati - Trascrizione a cura di Lorena Barchetti).