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Autoritratto - Bazzi Mario

1913

Schede

Questo autoritratto fu inviato da Mario Bazzi al Collegio Artistico Venturoli nel mese di dicembre del 1913, come saggio di studio di fine anno del Pensionato Angiolini vinto dall’artista nel novembre del 1911 (7a edizione del premio riservato agli allievi dell’alunnato 1903-1911 e valido per il quadriennio 1912-15). Da una lettera autografa dello stesso Bazzi si apprende che originariamente era sua intenzione mandare alla commissione giudicatrice un ritratto dell’ex Presidente del Collegio, il Cavaliere Alfonso Rubbiani, come omaggio al “padre e maestro” scomparso da poco più di due mesi. Di tale ritratto non si ha traccia, così come non è chiaro il motivo che spinse l’artista a spedire al suo posto il presente quadro. In ogni caso, sempre dai documenti conservati presso il Collegio Venturoli, sappiamo che l’opera fu eseguita a Bologna nel corso del 1913, molto probabilmente fra i mesi di marzo e aprile o, al più tardi, in quello di ottobre e che Bazzi la portò successivamente con sè a Colico, piccolo comune in provincia di Lecco affacciato sul lago di Como, luogo in cui l’artista si era momentaneamente trasferito per ottemperare al regolamento del Pensionato che imponeva agli artisti titolari della borsa di soggiornare fuori dal comune di Bologna non meno di due mesi per ogni anno di pensionamento.

Questo lavoro, dunque, si colloca cronologicamente fra lo studio Mia sorella Maria (senza data, ma riferibile agli ultimi anni dell’alunnato e comunque entro i primi mesi del 1912) e l’altro Autoritratto avente il medesimo titolo (precedentemente datato 1911, ma in realtà eseguito dall’artista nel corso del 1915, quando egli risedeva a Milano, e anch’esso inviato al Collegio a titolo di saggio del quarto quadriennio). Il giudizio espresso dalla Commissione su questo primo autoritratto fu totalmente negativo: “sebbene il saggio presentato debba intendersi come espressione di ricerca di mezzi nuovi, di tecnica, il risultato non sia tale da consentire di ritenerlo sufficiente al giudizio richiesto”. Seppure avversa, questa stessa valutazione risulta in ogni modo importante in quanto rileva alcuni aspetti utili per potere inquadrare il dipinto all’interno di un contesto artistico ben preciso; proprio quella “ricerca di mezzi nuovi, di tecnica”, infatti, così malcelatamente deprecata dalla Commissione, indica un riuscito tentativo da parte di Bazzi di emanciparsi da uno stanco e oramai trito formalismo tardo ottocentesco e suggerisce, contemporaneamente, la sua volontà di indirizzarsi verso linguaggi artistici nuovi, legati all’avanguardia di stampo secessionista/espressionista. Benchè catalogato negli anni Trenta come Autoritratto futurista, difatti, quest’opera non appartiene alla corrente marinettiana ma, più convenientemente, si colloca all’interno di quel filone pittorico che, percorrendo la via della riduzione, della deformazione e dell’uso di colori forti e aggressivi s’impose a partire dai primi anni del Novecento in tutta Europa e, ovviamente, anche a Bologna quantunque con soluzioni proprie (basti qui ricordare l’episodio della famosa mostra futurista dei giovani pittori secessionisti Morandi, Bacchelli, Vespignani, Pozzati e Licini tenutasi nei sotterranei dell’Hotel Baglioni il 21-22 marzo del 1914 dove le opere esposte non erano affatto di matrice futurista ma, appunto, espressionista).

Tali elementi di novità si possono cogliere nel modo in cui l’artista, allora appena ventiduenne, concepisce l’intera composizione. La figura in primo piano appoggiata alla balaustra del balcone dell’Arena del Sole, lo sfondo inquadrante lo slargo di Piazza Garibaldi con l’omonimo monumento equestre, i vicini portici del palazzo di fronte e le due vie che abbracciano l’edificio dell’attuale Hotel Tre Vecchi sono potentemente scorciate, in modo tale da schiacciare l’intera rappresentazione sulla superficie del quadro, distorcendo così la prospettiva oltre i canoni della pura verosimiglianza. Al punto di vista così forzato, si unisce l’uso di una pennellata forte e decisa che serra tutti gli elementi facendoli agitare dall’interno. Infine, l’adozione di una tavolozza caratterizzata da una scelta cromatica basata su colori accesi i quali stridono fortemente fra di loro e creano un effetto quasi caricaturale. Proprio il linguaggio della caricatura del resto, tipico dell’Espressionismo, caratterizza l’intera opera di Bazzi lungo tutta la sua carriera, come dimostrano sia il secondo autoritratto sopra citato, sia i disegni da lui realizzati per alcune affiches pubblicitarie e quelli creati per le maggiori riviste satiriche dell’epoca (Pulcinella, Marionette, Guerrin Meschino, Ecco, Settebello ecc.) o, ancora, le tragiche e fiere vignette pubblicate sui giornali di guerra (Alla baionetta! e La Trincea) che conservano, forse meglio di ogni altro suo lavoro, quel segno duro e sprezzante proprio dell’artista bolognese.

Giuseppe Virelli

Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni", Medicina 19 aprile - 14 giugno 2015.