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Arriva la modernità | Il treno nell’800 bolognese tra arte e letteratura

1860 | 1900

Schede

Il treno, simbolo della modernità e del progresso, negli ultimi decenni dell’Ottocento diviene protagonista nell’ambiente bolognese di numerose opere, pittoriche e letterarie.

Una delle opere più suggestive è Il vaporino di Luigi Bertelli, realizzato intorno al 1895 e conservato in collezione privata. L’opera rappresenta il treno che partiva da Piazza Malpighi, in pieno centro a Bologna, per poi procedere attraverso la campagna bolognese fino a raggiungere prima Casalecchio di Reno e poi la cittadina modenese di Vignola. Questa tratta ferroviaria fu inaugurata nel 1885. Con quest’opera, dove il treno irrompe in un tranquillo paesaggio agreste, l’artista sembra rivolgere l’attenzione non più al solo paesaggio ma anche ai segni del progresso. Luigi Bertelli nel 1867 era stato a Parigi, dove presso l’Esposizione Universale, aveva scoperto la pittura dei maestri di Barbizon, di Corot, Millet e Courbet, assimilando la lezione realista. L’inquadratura, che taglia la locomotiva in primo piano e il fienile in lontananza, trasmette una sensazione di mobilità e disarmonia. Forse in tale scelta espressiva si può leggere una spia del disagio per le innovazioni della tecnica, che stravolgevano le consuetudini di una società ancora prevalentemente agricola. Il tema figurativo del treno che attraversa la campagna viene affrontato negli stessi anni da numerosi artisti. In Francia si può citare il precedente di Claude Monet, con Train dans la campagne, dipinto intorno al 1870 e conservato preso il Musèe d’Orsay, dove la locomotiva rimane nascosta dentro un fitto manto di alberi. In Italia riprendono il tema Tammar Luxoro, con La via ferrata (1870), oggi presso la Galleria d’Arte Moderna di Genova, e Adolfo Tommasi, con Il fischio del vapore (1884), conservato presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma. Quest’ultima tela rappresenta una contadina circondata da tacchini, con un bambino che si aggrappa alla sua gonna, spaventato dall’improvviso sopraggiungere del treno. Pur nella costruzione prospettica attentamente studiata, l’opera lascia trapelare l’insofferenza del pittore verso la società contemporanea. L’artista con questa immagine evidenzia lo stridore tra la vita moderna, scandita dal progresso, e le abitudini del mondo rurale, segnate dai ritmi della natura.

Il treno ispira non solo la fantasia degli pittori ma anche quella dei poeti. Giovanni Pascoli nel 1886 scrive La via ferrata, pubblicata poi nella raccolta Mirycae. Il componimento si colloca nel solco del socialismo agrario elaborato dal poeta, secondo una visione che vede la campagna opporsi al progresso della città: Tra gli argini su cui mucche tranquilla- / mente pascolano, bruna si difila / la via ferrata che lontano brilla; / / e nel cielo di perla, dritti, uguali, / con loro trama delle aeree fila / digradano in fuggente ordine i pali. / / Qual di gemiti e d’ululi rombando, / cresce e dilegua femminil lamento? / I fili di metallo a quando a quando / squillano, immensa arpa sonora al vento.

Nella poesia di Pascoli, come nella tela di Tommasi, compaiono i fili del telegrafo, che si stagliano nel cielo grigio e digradano man mano che si allontanano dalla vista. I versi possono dunque costituire un equivalente del dipinto per lo scenario agreste che viene improvvisamente turbato da un elemento estraneo, meccanico e minaccioso.

Anche lo scrittore bolognese Enrico Panzacchi affronta il motivo del treno in un componimento intitolato Meriggio, incluso nella raccolta Lyrica, edita nel 1877: Dal fresco rezzo della stanza mia / veggo laggiù brillar nitidamente / l'asciutta rena e i sassi del torrente / che un limpido fil d'acqua al fiume invia. / / Rompe il verde del pian la bianca via / che s'allontana tortuosamente; / presso la siepe, al sol, dorme un pezzente / del suo magro cagnuolo in compagnia. / / Più in là, da un campo biondeggiante, uguale / suona il rispetto d'una curva schiera / di mietitrici. Stridon le cicale. / E per l'aria tranquilla, in tra la nera / canapa, d'improvviso ondeggia e sale / il fumo e il fischio della vaporiera.

Nella lirica di Panzacchi il sopraggiungere del treno turba la quiete di uno scenario bucolico, ma la locomotiva fa la sua comparsa soltanto nell’ultimo verso del componimento. L’effetto di sorpresa, così ottenuto dal poeta, è simile a quello creato da Bertelli mediante il taglio del l’inquadratura nel dipinto Il vaporino.

A volte il motivo figurativo del treno viene declinato in chiave intimistica e borghese. È il caso del dipinto di Raffaele Faccioli, Viaggio triste. L’opera, presentata all’Esposizione di Roma nel 1883, rappresenta il viaggio in treno di una vedova, accompagnata da una bambina (o bambino). L’interno della carrozza appare elegante e tappezzato come un salotto borghese. Il dipinto si può mettere in parallelo con una poesia di Giosue Carducci, Alla stazione (in una mattina d’autunno), pubblicata in Odi barbare nel 1877. Nel componimento carducciano emerge il disagio scatenato da un progresso che apporta cambiamenti radicali. L’unico modo per sfuggire alle minacce del presente è il rifugiarsi negli affetti domestici: nel dipinto di Faccioli la vicinanza tra madre e figlia (o figlio) aiuta a superare il dolore della perdita, nei versi di Carducci il poeta si consola pensando ai giorni felici trascorsi in compagnia della donna amata. Il treno in Carducci assume valenze inquietanti e negative. In una lettera a Lidia, che costituisce una parafrasi della lirica, il poeta scrive: “Ripenso alla triste mattina del 23 ottobre 1873, quando ti accompagnai alla stazione, e tu t’involavi in un’orribile carrozza di 2 classe, e il faccin mi sorrise l’ultima volta, incorniciato in una infame abominevole finestrella quadrata, e poi il mostro che si chiama barbaramente treno, ansò, ruggi, stridé, si mosse come un ippopotamo che corra tra le canne, e poi fuggì come una tigre”.

Il motivo del treno può essere sfruttato con finalità di denuncia sociale. Il prototipo di questo genere di rappresentazione è Il vagone di terza classe (1862-64) di Honorè Daumier. Nell’opera del pittore francese, che aderisce alla corrente del realismo, le figure sono ritratte in un vagone ferroviario di terza classe, ammassate sulle dure panche di legno. Le tonalità sono scure e l’ambiente buio, con i finestrini che lasciano appena intravedere una striscia di paesaggio. In ambiente bolognese questa rappresentazione in chiave impegnata non riscuote particolare successo. Un' eccezione è rappresentata da un’opera del crotonese Gaele Covelli, Idillio fugace (1899-1900), oggi al Mambo, Museo di Arte Moderna di Bologna. Il dipinto pone l’accento sulle tristi condizioni economico-sociali delle popolazioni meridionali costrette ad emigrare. Nel dipinto, dove due giovani approfittano del sonno dei compagni di viaggio per abbracciarsi, emerge un chiaro intento di denuncia sociale, molto distante dall’intimismo borghese del Viaggio triste di Faccioli.

Saranno le nuove generazioni, negli ultimi decenni dell’Ottocento, a coltivare un rapporto più disteso verso le novità introdotte dalla tecnica. Un esempio sono le opere degli allievi del Collegio Venturoli di Bologna. Fondato in seguito al generoso lascito dell’architetto Angelo Venturoli, il collegio ospitava giovani dotati di talento ma poveri di mezzi, che nell’età compresa tra i 12 e i 20 anni, ricevevano un’accurata formazione artistica, insieme a vitto e alloggio gratuiti. Odoardo Breveglieri dipinge una Veduta del Ponte della Libertà di Venezia, oggi in collezione privata, dove si scorge un treno in lontananza che corre su un ponte. L’artista studia al Venturoli tra il 1876 e il 1884 e l’opera è realizzata molto probabilmente nella prima metà degli anni Ottanta. Il fascino che il treno esercitava sulla fantasia dei giovani emerge chiaramente nei Diari, tenuti mensilmente dagli studenti. Questi spesso utilizzavano il mezzo per compiere gite di carattere istruttivo. Giovanni Masotti ad esempio descrive in termini entusiastici il viaggio da Bologna a Ravenna, compiuto il 13 marzo 1892: “Montammo in treno alle 6 precise. Partenza per Ravenna, per le Romagne. Gli sportelli sono sbattuti violentemente, le campane rintoccano, i campanelli elettrici trillano, la locomotiva fischia, sbuffa, siamo in viaggio”.

Il pittore Giovanni Masotti (1873-1915), fin dagli anni della formazione trascorsi in collegio, si mostra fortemente attratto dai segni della modernità. Il lido di Casalecchio presso la birreria Ronzani, ora in collezione privata, è significativo dell’interesse per la nuova realtà industriale. In una quieta scena di paesaggio si scorgono in lontananza gli stabilimenti Ronzani, che furono delocalizzati da Bologna al lido di Casalecchio di Reno nel 1887. L’opera viene realizzata verosimilmente tra il 1889-1890. Nei Diari infatti gli allievi del Venturoli scrivono di essere passati per Casalecchio almeno tre volte tra il 1889 e il 1890.

Ilaria Chia

Riferimenti bibliografici: Ottocento italiano. La collezione Marri di Palazzo Foresti, Treviso, 2015; Francesco Leone, Fernando Mazzocca (a cura di), Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini, catalogo della mostra (Forlì, Musei di San Domenico, 9 febbraio - 16 giugno 2019), Milano, 2019; Ilaria Chia, Atmosfere letterarie nella pittura bolognese del secondo Ottocento, in Da Bertelli a Guidi. Vent’anni di mostre dell’Associazione Bologna per le Arti, catalogo della mostra (Bologna, Palazzo d’Accursio, 8 dicembre 2019 - 16 febbraio 2020); Marco Antonio Bazzocchi, Simonetta Santucci (a cura di), Carducci e i miti della bellezza, catalogo della mostra (Bologna, 2007-2008), Bologna, 2007; Uliana Zanetti, Barbara Secci (a cura di), Villa delle Rose 1916 - 1936. Dalla donazione Armandi Avogli alla prima Galleria d’Arte Moderna di Bologna, catalogo della mostra (Bologna, Villa delle Rose, 24 settembre - 31 ottobre 2016); Ilaria Chia, Giovanni Masotti (1873-1915): un artista tra impegno sociale e Liberty, in «Strenna Storica Bolognese» VXVIII (2018).