Antoine-Claude Pasquin Valery visita Bologna

Antoine-Claude Pasquin Valery visita Bologna

1826 | 1843

Scheda

Antonio Claudio Pasquin detto Valery ebbe un posto notevole fra i letterati ed i bibliografi della prima metà del secolo XIX in Francia. Nacque a Parigi nel 1789, l'anno della Rivoluzione: giovine ancora, sotto l'impero ebbe un impiego negli Uffici del Consiglio di Stato; dopo la caduta di Napoleone, del cui bagliore del resto egli pure fu accecato, divenne focoso realista e ottenne perciò sotto Carlo X, l'ambito posto di Conservatore delle Biblioteche della Corona. Ciò non gli impedì peraltro di accettare, cacciato Carlo X dopo la rivoluzione del luglio 1830, il posto di Bibliotecario del Re nei palazzi di Versailles e del Trianon, posto che tenne sino alla sua morte avvenuta nel 1847. Il Valery è una strana figura di bibliografo e di viaggiatore, con un temperamento d'artista. Egli pubblicò le opere del De Maistre e le lettere di Mabillon e Montfaucon, e soprattutto scrisse parecchie opere di viaggi, come il Viaggio in Corsica, all'Isola d'Elba e in Sardegna, in due volumi; ma quello a cui dedicò le maggiori cure fu il viaggio in Italia, detto anche Indicatore Italiano, pubblicato la prima volta in tre volumi nel 1833, poi in una seconda edizione in quattro volumi nel 1838, molto accresciuta e migliorata, e tradotto poi in molte lingue. Il Valery venne per la prima volta in Italia nel 1826, ma egli aveva per massima che chi non era andato almeno una seconda volta in Italia non era degno d'averla veduta; e per applicare da buon maestro la massima, egli percorse l'Italia ben quattro volte. E non solo fece tesoro di tutto ciò che vide e considerò, ma lesse tutte le opere d'arte o di storia o di statistica che all'Italia si riferivano, ed essendo legato di relazioni e di amicizia, in grazia della carica ch'egli ricopriva, con quasi tutti i bibliotecari e i dotti italiani, poté facilmente ottenere da questi tutte quelle indicazioni particolareggiate che per ogni luogo gli occorrevano. L'opera sua, più che impressione di viaggio, è una vera e compiuta descrizione dell'Italia e delle sue città; si avvicina per qualche lato alla guida, ma la narrazione è fatta con tanto garbo e con tanta copia di espressioni e impressioni personali, che si distacca dal nudo e crudo aspetto di una guida più o meno commerciale. Il Valery ha inoltre questa buona qualità, rara tra gli stranieri: che ama veramente l'Italia. Egli dice che in Italia lo studio è un piacere e il piacere uno studio, e invita i suoi compatrioti a conoscerla e soprattutto ad amarla "perché, (sono sue parole) bisogna amarla per ben conoscerla".

LA PRIMA IMPRESSIONE NON E' BUONA. Quando arrivai a Bologna la prima volta, era una sera d'agosto, il giorno della festa di S. Domenico, nel momento in cui si portava attraverso le vie di Bologna la testa del Santo entro una ricca teca d'argento, le finestre erano pavesate e tutta la popolazione sulla strada. Ma questa festa, nella quale dominava il sensualismo religioso d'Italia più che la vera pietà, non aveva ordine e non magnificenza. Io non posso dimenticare che in questa folla mi trovai gettato fra un monaco e un "r........"; e non m'aspettavo invero, viaggiatore poco esperimentato, d'incontrarmi in tale compagnia all'entrare che facevo negli Stati della Chiesa! L'accento del popolo, quantunque ne fossi stato prevenuto, mi parve rude e stridente; le case grandi, uniformi, e tutte imbiancate, non avevano alcun carattere; infine il chiasso industriale delle officine, delle filande e delle fabbriche non mi annunziavano affatto la dotta Bologna, "madre degli studi" com'era stata anticamente sovranomata, quella Bologna che Sadoleto mostrava a Beroaldo come "tutta involta nei travagli", la Bologna letteraria e intellettuale, come oggidì si direbbe.

RAVVEDIMENTO. LA CITTA' DOTTA. Mi son ravveduto da questa prima impressione cagionata dalla fisionomia generale della città. Bologna è ancora e giustamente, riguardata come una delle più illustri città d'Italia. Quantunque da lungo tempo abbia cessato di essere sede di un governo e non abbia mai avuto residenza d'una corte, essa è a un grado di civiltà da equiparare le prime capitali; la scienza costituisce la sua dignità e si sente ancora ne' suoi costumi nello spirito e nelle sue opinioni qualcosa del suo antico motto libertas che ha conservato. Dicono che Bologna era la città preferita da Byron, e senza voler decidere se tal gusto è in tutto ragionevole, affermo che lo si comprende facilmente.

L'UNIVERSITA'. L'università di Bologna, la più antica d'Italia, come è noto, che vide qualcuna delle più belle scoperte dell'ingegno umano, si fregiava ancora, prima dei moti del 1831, di celebri maestri, quali il Valeriani professore di economia pubblica e politica, il Tommasini di medicina teorico-pratica, il Mezzofanti di greco e lingue orientali, lo Schiassi d'archeologia. Bologna possedeva le cinque nuove facoltà con queste cattedre: per la facoltà di teologia, le cattedre di teologia sacra, teologia morale, di sacra scrittura, di storia ecclesiastica, di sacra eloquenza; per la facoltà di diritto le cattedre di istituzioni canoniche, di istituzioni romane o civili, di diritto naturale e delle genti, di istituzioni criminali, di diritto pubblico ecclesiastico, dei testi canonici, di diritto romano o civile; per la facoltà di medicina e chirurgia le cattedre di fisiologia, di patologia generale e semiotica, di medicina teorico-pratica, di medicina politica o legale, di chimica, di botanica, di farmacia, d'igiene terapeutica e di materia medica, d'anatomia umana, d'anatomia comparata e di medicina veterinaria, di chirurgia teorica, d'ostetricia, per la facoltà di scienze (o di filosofia) le cattedre di logica e metafisica, di morale, d'algebra e di geometria, d'introduzione al calcolo, di matematica trascendentale, di fisica, di meccanica e idraulica, d'ottica e astronomia; per la facoltà di lettere (o di filologia) le cattedre d'arte oratoria e di poetica, di storia, d'archeologia, di lingua greca, di ebraico, di siriaco, caldeo e arabo. Da questo quadro si vede l'estensione degli studi medici e la loro superiorità sopra gli altri rami dell'insegnamento. Il sistema delle gastriti è nato a Bologna e il Tommasini aveva preceduto il Broussais. E' ben vero che il sistema era molto più logico là che non in Francia, perché la postura di Bologna ai piedi dell'Appennino fa sì che le infiammazioni di petto e le malattie nervose e acute vi siano assai più frequenti.

I PROFESSORI E LE... PROFESSORESSE. I professori dell'Università di Bologna, che al tempo del Lalande tiravano cento scudi al mese, sono oggi retribuiti meno male poiché la città ancora accorda loro un supplemento di stipendio; senonché anche con questo la più parte di essi troverebbe all'estero una posizione più conveniente: ma essi preferiscono di non abbandonare la città natale, e nel loro insegnamento c'è qualcosa ancora di patriottismo. L'Università di Bologna, la cui facciata è del Pellegrini e il grande bel cortile di Bartolommeo Triachini, architetto bolognese della metà del secolo XVI, è decorata con un lusso d'arte che in Italia è assai comune, anche nelle scuole. Le pitture del gabinetto di fisica di Niccolò dell'Abate sono graziose e i begli affreschi del Pellegrini del loggiato meritarono di essere imitati dai Carracci. Così questa dotta Università non è rimasta estranea ai progressi della pittura. In mezzo al cortile l'Ercole in riposo è un lavoro singolare di Angelo Piò scultore del XVII secolo, i cui numerosi lavori hanno qualche reputazione in grazia del piccolo numero di produzioni migliori del tempo suo. Senza contestare il merito dei professori ai quali sono elevati delle statue in questo cortile e nelle scale, come Galvani, Gaetano Monti, Cavazzoni-Zanotti, e i talenti di Laura Bassi e di Clotilde Tambroni, la prima che ebbe la cattedra di filosofia, la seconda di lingua greca (tutti questi professori sono dell'ultimo secolo o contemporanei), Bologna avrebbe potuto ancora mettere in onore là alcuni dei suoi antichi maestri. Avrei desiderato di vedervi i tratti di quella Novella d'Andrea figlia di un celebre canonista del secolo XIV, così dotta che sostituiva il padre e così bella che, per non distrarre l'attenzione degli scolari, secondo che narra Cristina da Pisano, teneva una benda davanti, probabilmente di sopra ai santi canoni, quando insegnava dalla cattedra. La scienza nelle signore di Bologna è ancora notevole; l'Università ha due donne dottori, una in diritto e l'altra in chirurgia e si potrebbe a quest'ultima applicare l'elogio che il buon Duverney faceva della signorina Delaunay, quando diceva che tra le signorine francesi era quella che meglio conosceva il corpo umano... Ginguené trova che questo insegnamento fatto dalle donne è contro natura: "Ci par già molto, egli scrive, quando permettiamo alle donne un abito da Musa: come potremo noi soffrire sul loro capo il tocco da dottore?" Questa esagerazione francese ignora completamente i costumi antichi e le abitudini d'Italia: "C'è del male per sapere il greco?" fa rispondere Corinna ai suoi ingenui compatrioti: "C'è del male a guadagnar la vita col proprio lavorio? Perché ridete di una cosa così semplice?".

IL MUSEO DELLE ANTICHITA'. Il Museo delle antichità ha il celebre frammento dello specchio mistico detto la Patera Cospiana rappresentante la nascita di Minerva che esce armata dalla testa di Giove, mentre Venere la accarezza, vera tavola di incisore, argomento sfuggito alle investigazioni del Dutens e dell'appoggio del suo sistema sopra le scoperte attribuite ai moderni e conosciute o intraviste dagli antichi. Un secondo specchio diverso e in rilievo rappresentante Filottete guarito da Macaone porta anche il nome delle figure in caratteri etruschi: un piede di bronzo più grande del naturale e un vaso bacchino in marmo trovato a Capri sono notevoli, insieme ai frammenti di torsi in marmo di due Veneri e una tavola isiaca di basalto nero scoperta nel 1709 sul monte Aventino. Una serie di pesi romani in pietra nera è curiosa: qualche peso in metallo appartiene al Medio-Evo, uno del tempo di Carlo Magno porta l'iscrizione pondus Caroli. Una statua in rame di Bonifacio VIII innalzata dai bolognesi in onore di questo papa nel 1301, opera dello scultore o meglio cesellatore Manno loro compatriota, è una testimonianza dell'infanzia dell'arte: la figura è senza espressione, senza nobiltà e senza carattere, e risponde abbastanza bene all'idea che si ha del Pontefice. Il modello del Nettuno del Giambologna è inferiore al monumento: il contrario del modello della statua di Perseo di Benvenuto Cellini che vidi dopo nel gabinetto dei bronzi della Galleria di Firenze: la differenza si spiega per la incontentabilità del genio di quest'ultimo che ha nociuto alla sua opera durante il lavoro. Il medagliere, secondo che giudicano i competenti, è ricco specialmente in monete greche e di Sicilia e in monete romane.

LA BIBLIOTECA UNIVERSITARIA, L'ALDROVANDI E IL MEZZOFANTI. La Biblioteca dell'Università possiede 80.000 volumi e 4000 manoscritti. Il locale è dovuto a Benedetto XIV il quale non soltanto lasciò tutti i suoi libri a questa Biblioteca (una metà vivo ancora, l'altra dopo la sua morte), ma invitò inoltre il cardinale Filippo Monti, bolognese egli pure, a seguire il suo esempio: da parte di un altro Pontefice questa specie di consiglio avrebbe potuto sembrare un ordine; ma è probabile che il Monti cedesse piuttosto alla bonomia e al patriottismo di questo ottimo papa. E' un merito della più parte delle Biblioteche d'Italia quello d'avere qualche illustre donatore o benefattore: Lambertini aleggia nella Biblioteca di Bologna come Bessarione a S. Marco. Tali ricordi recano a questa Biblioteche una specie di caratteristica, di fisionomia, di interesse che non hanno affatto le numerose Biblioteche create o arricchite con le spogliazioni, con la conquista e anche con onesti acquisti e benevole sottoscrizioni o col deposito legale. Fra gli stampati son degni di nota: un Lattanzio di Subbiaco (1465), un esemplare della prima rara edizione del famoso libro d'Enrico VII contro Lutero dedicato a Leone X con la firma autografo Enricus Rex, opuscolo polemico-religioso ove si difende energicamente S. Tommaso, che fece concedere dal papa al reale teologo il titolo di difensore della fede, conservato gelosamente nel protocollo dei suoi eretici successori. Fra i manoscritti si hanno: il prezioso Lattanzio visto dal Montfaucon nel convento di S. Salvatore, che egli credeva del secolo VI o del VII e che sarebbe invece del V a giudizio d'un illustre erudito italiano, monsignor Gaetano Marini; i quattro Evangelisti, manoscritto armeno del secolo XII, di bella scrittura, con meravigliose miniature, piccolo volume in 12° trovato nel monastero di S. Efrem presso Edessa proveniente dalla Biblioteca di Benedetto XIV, al quale era stato donato da Abramo Neger cattolico armeno; un manoscritto delle Immagini di Filostrato che richiama pietose sventure: è di mano di Michele Apostolio, uno dei greci fuggito da Costantinopoli, e porta questa sottoscrizione ripetuta in altri libri trascritti da lui: "Il re dei poveri di questo mondo ha scritto questo libro per vivere". Sembra che Bessarione non potesse continuare al suo sventurato compatriota i soccorsi che dapprima gli aveva accordati. Questo cardinale era stato governatore di Bologna; nell'epoca della Rinascenza le prime cariche sono affidate ai dotti della Corte di Roma e, come in Cina, i letterati erano alla testa degli affari. I duecento volumi di manoscritti, di note e di materiali d'Aldrovandi sono stati resi alla Biblioteca dell'Università; era stata una cosa odiosa quella di spogliare una città come Bologna dei lavori di un uomo che l'onorava. Questa enorme collezione di manoscritti scientifici non ha splendore dei grandi manoscritti poetici della Biblioteca di Ferrara; la scienza ha questa inferiorità rispetto alle altre discipline, che gli ultimi venuti uccidono i loro predecessori e rendono quasi inutili le loro opere: Buffon senza lo stile non sarebbe un giorno meno dimenticato di Aldrovandi. Il Bibliotecario dell'Università di Bologna era l'Abate Mezzofanti, più tardi prefetto della Vaticana, celebre in tutta Europa per la vasta conoscenza delle lingue; egli ne sa, compresi i dialetti, ben 32, dieci più di quelle che parlava Mitridate, col quale questo ecclesiastico, pieno di dolcezza e di modestia, ha, pel resto, ben pochi rapporti. La sua erudizione è veramente prodigiosa: filologo, orientalista apprezzato, il Mezzofanti intende anche parecchi dialetti: è un apostolo così per il dono delle lingue come per la pietà.

LA BASILICA DI SAN PETRONIO. S. Petronio ha in Bologna, come del resto è stato già notato, una considerazione superiore alla cattedrale. Costruita al tempo della libertà bolognese alla fine del secolo XIV a spese del Comune, questa chiesa è un monumento della magnificenza religiosa delle repubbliche del Medio-Evo e una prova della dignità, dell'importanza dei loro artisti: l'architetto Antonio Di Vincenzo era uno dei sedici riformatori e uno degli ambasciatori a Venezia. Le bellezze dell'arte sfoggiano in S. Petronio. Le Sibille delle porte scolpite del Tribolo, il timido compagno di viaggio di Benvenuto Cellini, hanno la purezza e l'eleganza delle Sibille di Raffaello: i suoi profeti, gli ornamenti delle porte minori, i bassorilievi di Adamo ed Eva, specie la figura di quest'ultima che fila, mentre i primi bimbi le abbracciano le ginocchia, e le altre figure di Jacopo della Quercia, sono opere eccellenti. La Risurrezione del Salvatore di Alfonso Lombardi, sulla porta di sinistra, è ammirevole per la naturalezza, la nobiltà e la semplicità. Nell'interno, alla cappella delle reliquie, il bassorilievo in marmo del Tribolo rappresentante l'Assunzione è agile, vaporoso. Il S. Girolamo, capolavoro di Lorenzo Costa, allievo del Francia, è stato guastato da un restauro. Michelangelo ha fornito i disegni delle cupe, magnifiche vetrate della cappella di S. Antonio; e quelle pitture fragili hanno tutte la loro forza e la loro espressione. I miracoli del Santo dipinti a chiaroscuro sulle pareti di questa cappella, son da annoverarsi fra le opere eccellenti e graziose di Girolamo da Treviso, pittore bolognese del secolo XVII; la grandiosa incoronazione della Madonna del Borgo e il superbo affresco in prospettiva che è di fronte, sono del Brizzio, grande artista che fu sino a vent'anni calzolaio e divenne poi uno dei primi allievi dei Carracci, e di Lodovico un abile collaboratore. Le due statue di S. Francesco e di S. Antonio nell'altar maggiore sono del Campagna e la piccola e graziosa statua di Davide posta sul leggìo è di Silvestro Giannotti. Santa Barbara decapitata da suo padre è il primo lavoro del Tiarini. Il S. Michele eccellente quadro del Fiammingo, uno dei maestri di Guido Reni, dà ragione dei capolavori del suo allievo, come accade di sovente per i quadri di simili maestri. Il S. Rocco, più grande del naturale, è uno de' migliori lavori del Parmigiano; i dodici Apostoli del Costa attestano la sua valentia nel rendere le fisonomie umane. Il Paradiso e l'Inferno, vecchie pitture della cappella di S. Petronio, sono di autori ignoti, nonostante erudite ricerche.

LA MERIDIANA. Su uno dei pilastri trovasi una statua di S. Petronio, ritenuta come la sua più antica immagine, ma è molto alterata da numerosi restauri che non permettono oggi di indovinare la vera fisionomia. La Meridiana di S. Petronio sostituita dal Cassini a quella del padre Ignazio Danti e resa ancora più precisa nel 1788 da Eustachio Zanotti, altro illustre bolognese, è un monumento di scienza che onora Bologna e contrasta con i ricordi e la magnificenza della sua vecchia basilica.

LE SVENTURE DI PROPERZIA DE' ROSSI E I PROGETTI PER LA FACCIATA DI SAN PETRONIO. Le sale dette della residenza della reverenda Fabbrica, meritano d'essere visitate. Sopra la porta interna è collocato il busto del Conte Guido Pepoli, una delle prime e buone sculture di Properzia de' Rossi. I lavori di questa donna sventurata destano anche maggiore interesse quando si ricordi la sua commovente istoria. Questa Saffo bolognese, pittrice, scultrice, musicista, incisore, morì d'amore nello stesso momento che il papa, dietro il clamore della sua gloria, la cercava e intendeva condurla a Roma, dopo la coronazione di Carlo V. Un bassorilievo intitolato La castità di Giuseppe, rappresenta il suo capolavoro. Si sente che qui l'artista ha voluto dipingere le proprie sventure. La moglie di Putifarre, triste e graziosa, ha qualcosa d'Arianna, e può dirsi piuttosto abbandonata che sfrontata e lasciva. Le sale offrono ancora sedici disegni originali di piani proposti dai primi architetti del mondo per il compimento della facciata della Chiesa, collezione preziosa che, per l'interesse dell'arte, dovrebbe essere pubblicata. Là trovansi quattro diversi disegni, che per la loro perfezione si possono attribuire al Palladio. Sotto uno di essi è scritto di sua mano: "Laudo il presente disegno", iscrizione che non permette veramente di credere che il disegno sia di lui, perché tutte le opere di questo grande artista attestano che non vi fu uomo più modesto di lui. Un disegno è del Vignola e meritò l'approvazione di Giulio Romano e di Cristoforo Lombardo; sotto ve n'è un altro di Jacopo Ranucci, suo rude antagonista in questi stessi lavori di S. Petronio, ma che dimostra la immensa superiorità del Vignola. Altri disegni sono di Domenico Tebaldi fratello del Pellegrini, di Baldassarre Peruzzi, di Giulio Romano, di Cristoforo Lombardo, di Gerolamo Rainaldi, del Varignana, d'Andrea da Formigine, d'Alberto Alberti da Borgo S. Sepolcro; e ve n'è uno ancora del buon architetto bolognese Francesco Terribilia che fu approvato dal Senato bolognese nel 1580 e fu poi pubblicato dal Cicognara. Il Cardinale Girolamo Gastaldi, legato di Bologna nel 1678, offerse di terminare a sue spese e secondo le sue vedute la facciata di S. Petronio, ma a condizione di porvi il suo stemma. La Fabbriceria credette di dover rifiutare con dignità tale proposta. Il Cardinale per soddisfare la sua smania di costruire fece innalzare in Roma presso la porta del Popolo le due chiese che vi si vedono ancora e che permettono di giudicare del gusto e delle conoscenze architettoniche di questo Mecenate ignorante e vanitoso.

UN'OPERA DI MICHELANGELO DISTRUTTA. La statua colossale di Giulio II di Michelangelo, pegno della riconciliazione fra l'artista e il Papa, che dopo il Mosè si era guastata, era davanti la porta maggiore di S. Petronio. Giulio aveva voluto essere rappresentato nell'atto di riprendere i Bolognesi colla destra, mentre teneva nella sinistra una spada. La statua minacciosa, uno dei capolavori la cui perdita è irremissibilmente a deplorarsi, fu atterrata e spezzata dal popolo bolognese all'arrivo dei Bentivoglio e dei Francesi, e sembra che, dato lo spirito bellicoso del Pontefice, sia stata fusa in un cannone per opera del duca di Ferrara e chiamato la Giuliana. Le opere di Michelangelo del resto subirono tutte il trambusto delle rivoluzioni e sembrano esserne autrici o piuttosto vittime: il suo Davide ebbe troncato il braccio sinistro nell'assalto del popolo fiorentino alla Signoria del 1527 e il suo mirabile cartone della guerra di Pisa, che fu per tanto tempo modello di disegno agli artisti, e che, per confessione dello stesso Benvenuto Cellini, non poté più mai sorpassare, perì in mezzo alle rivoluzioni della stessa repubblica.

LA CHIESA DI SAN PIETRO* L'antica cattedrale di Bologna è stata più volte rifatta e rammodernata, ma la sua ultima ricostruzione non ispira i soliti rimpianti. Vi si trovano le traccie del buon Lambertini, antico arcivescovo, papa straordinario, che sembra essere stato per il Sacerdozio, se così posso esprimermi, ciò che Enrico IV fu per la Monarchia. La facciata è sua: alcuni dei suoi doni sono d'una ricchezza rara. L'urna del martire S. Procolo è di bronzo dorato adorna di lapislazzuli; e le tappezzerie che si espongono il giorno di S. Pietro furono inviate da Roma ed eseguite sui disegni di Raffaele Mengs. S. Pietro che consacra vescovo S. Apollinare è una degna composizione di Ercole Graziani il Giovane, pittore bolognese del secolo XVII, che ha dipinto ancora S. Anna che mostra alla Vergine bambina il Padre Eterno in gloria e il Battesimo di Gesù Cristo: l'Apparizione di S. Pietro a papa Celestino per ordinargli di eleggere S. Petronio a Vescovo di Bologna è del Bigari, altro artista bolognese del secolo scorso, che s'era dato con tanto successo alla scultura e all'architettura e che per la sua fecondità e per i numerosi quadri che aveva sparsi per l'Europa e per l'Italia, ebbe il titolo di pittore universale. Nella cappella del Sacramento la Vergine nelle nubi col bambino, S. Ignazio e degli angeli, del Creti, è pregevole. La cattedrale di Bologna offre nuovi esempi di questa pittura, frutta della età più avanzata, che sembra come la vita degli artisti italiani e che non abbandonano se non con essa: l'affresco di S. Petronio e di S. Vincenzo fu eseguito dal Franceschini a 80 anni. Luigi Carracci era pure ottuagenario quando dipinse l'Annunciazione sulla volta della stessa cappella: un lavoro collocato così in alto prova, oltre che l'arte, una singolare agilità per un'età così avanzata. Del resto era comune allora di vedere i pittori più celebri esporsi alle fatiche e ai pericoli degli affreschi delle cupole. Il piede dell'angelo che s'inchina davanti alla Vergine era posto di traverso: l'ardente e coscienzioso vecchio voleva ritoccarlo e ristabilire a sue spese l'impalcato; gli fu posto un rifiuto e ciò fu cagione della sua morte: in tal guisa questi uomini congiungevano alla sensibilità e all'amor proprio così irritabili nell'artista, qualcosa dei costumi e delle abitudini dell'operaio. Nella sagristia, un bel quadro dello stesso Carracci rappresenta S. Pietro che piange colla Vergine la morte di Cristo, ma il tempo ha annerito il colore. La Chiesta sotterranea, detta il confessio, ha un pianto delle Marie sul Cristo morto di Alfonso Lombardi. *Si omettono le aride descrizioni delle altre chiese di Bologna (salvo San Domenico) perché non contengono, può dirsi che elenchi di quadri, redatti sulla guida del Bianconi.

LA CARATTERISTICA PIAZZA DI SAN DOMENICO. La piazza della Chiesa di S. Domenico offre dei singolari monumenti: la statua del santo è di rame dorato; il bel monumento regolare dedicato al dotto giureconsulto Rolandino Passeggeri, cospicuo personaggio della repubblica bolognese del secolo XIII; e la tomba dell'antica famiglia, ora estinta, de' Foscherari, alzato nel 1229 da Egidio Foscherari e adorna di grossolani bassorilievi.

LA TOMBA DEL SANTO E IL TRIONFO DI NICOLA PISANO. La Chiesa è un tempio splendido per le meraviglie dell'arte e per le celebri tombe che contiene. Nella tomba di S. Domenico, dovuta a Nicola Pisano, un angelo in ginocchio, pieno di grazia, è della giovinezza di Michelangelo, e molto differisce dalle vigorose e tenibili produzioni della matura sua età: per questa figura ricevette 12 ducati. La statuetta di S. Petronio, alla sommità del monumento, della stessa età e dello stesso carattere, gli era stata pagata 18 ducati; e l'eccellente scultura parve allora a buon mercato. Gli enormi profitti degli artisti sono spessissimo una prova della decadenza dell'arte, perché il denaro paga allora i lavori dei quali la gloria deve essere la prima ricompensa. I bassorilievi di Nicola Pisano che rappresentavano i diversi miracoli del Santo, son da considerare tra i capolavori primitivi, pieni di sentimento, di naturalezza e di verità; tale è in ispecie la storia del cavaliere caduto, circondato dalla sua famiglia che lo piange e resuscitato da S. Domenico. Un altro bassorilievo di carattere del tutto opposto è notevole per la nobiltà della figura e la purezza dei particolari: è S. Pietro e S. Paolo che ricevono una deputazione di Domenicani e consegnano al fondatore il libro delle costituzioni e il bastone del comando. Nicola Pisano, il grande signore delle arti del suo secolo, fu uno di quei genii straordinari, unici, che dominano tutta un'epoca; egli deve infine essere riguardato, per le sue opere più che per la sua scuola, come il primo precursore del Rinascimento. Sotto questa scultura del 1200 trovansi gli eleganti bassorilievi di Alfonso Lombardi, posteriori di tre secoli, composti nell'epoca del buon gusto, ma che non cancellano i loro antichi predecessori. Questa splendida cappella di S. Domenico è dell'architettura del Terribilia; le pitture sono bellissime: il fanciullo risuscitato, capolavoro del Tiarini, ottenne al suo autore i rallegramenti di Lodovico Carracci. L'affresco di Guido Reni, rappresentante Cristo e la Vergine che ricevono l'anima del Santo in mezzo alle melodie del cielo, è ammirevole di grazia e di poesia. La tempesta, il cavaliere caduto, graziose figure rappresentanti le virtù del Santo, sono del Mastelletta. San Domenico che brucia i libri ereticali è un bel quadro di Leonello Spada e il migliore che abbia fatto nella sua patria.

NELLE CAPPELLE E NELLA SACRISTIA. Nelle diverse cappelle son degni di nota una madonna detta del Velluto di Lippo Dalmasio, l'Apparizione della Vergine e del Salvatore a S. Antonino, lavoro elegante e bizzarro a un tempo del Faccini, allievo ed emulo di Annibale Carracci, che per dare vivacità al suo nudo dicevano avesse mescolata della carne umana nei suoi colori; il Martirio di S. Andrea che contribuì al buon nome d'Antonio Rossi, pittore bolognese del secolo XVII, S. Tomaso d'Aquino che scrive sull'Eucaristia del Guercino, S. Raimondo che attraversa il mare sul suo mantello, capolavoro originale di Luigi Carracci, e nell'altar maggiore l'Adorazione dei Magi, splendida, di Bartolomeo Cesi. Nella sacristia trovansi due statue grossolane della Vergine e del Santo, più grandi del naturale, scolpite, secondo due versi latini mediocri che vi si leggono sotto, con il legno di un cipresso che aveva piantato S. Domenico. Quell'albero triste e funebre doveva essere piantato dal fondatore dell'Inquisizione e meritava perciò che se ne facesse una statua in suo onore.

LE TOMBE DI TADDEO PEPOLI E DI RE ENZO. La bella tomba di Taddeo Pepoli del veneziano Giacomo Lanfrani, della metà del XIV secolo, sulla quale una scultura ingenua ha rappresentato questo sovrano popolare che rende giustizia ai suoi concittadini da lui governati per dieci anni, questa tomba repubblicana è addossata a quella di Re Enzo figlio naturale dell'imperatore Federico II, morto a Bologna nel 1272, dopo 22 anni di prigionia. Non c'è che l'Italia che possa offrire dei contrasti simili così ravvicinati. L'arma dei Pepoli che si vede sulla tomba è uno scacchiere, emblema assai adatto alle abili e prudenti combinazioni necessarie agli uomini politici degli stati liberi! L'inscrizione della tomba di Enzo è singolare e dipinge assai bene l'orgoglio municipale e la selvaggia fierezza della repubblica del Medio-Evo: "Felsina Sardiniae regem sibi vincla minantem, / Vietrix captivum consule ovante trahit; / Nec patris imperio cedit, nec capitur auro; / Sic cane non magno saepe tenetur aper."

LA CAPPELLA DEL ROSARIO ED ELISABETTA SIRANI. La sontuosa Cappella del Rosario riunisce due tombe la cui impressione è ben diversa da quella che producono le spoglie dei Taddeo Pepoli e di re Enzo; esse rinchiudono le ceneri di Guido Reni e della sua amata alunna Elisabetta Sirani, grande pittrice, donna irreprensibile, morta a 26 anni di veleno, e degna del suo maestro per la grazie e per la forza del suo ingegno. Questa cappella splende di ammirevoli pitture che rappresentano i quindici misteri del Rosario: la Presentazione al Tempio del Flammingo, la Discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli del Cesi, la Visita di Maria a S. Elisabetta, la Flagellazione del Salvatore di Lodovico Carracci e l'assunzione di Guido. La volta di Michele Colonna e di Agostino Mitelli è una delle migliori opere di codesti valorosi artisti, uniti per più di vent'anni da una cara amicizia. Accanto alla cappella è collocato il mausoleo del celebre giureconsulto e professore Alessandro Tartagni, lavoro eccellente dello scultore fiorentino Francesco di Simone.

IL MONUMENTO A MARSIGLI. Nella chiesa di S. Domenico è stato consacrato un monumento, dall'Accademia clementina d'architettura, al generale Marsigli, fondatore dell'Istituto di Bologna, uomo celebre per scienza, per patriottismo e per le traversie della sua vita di guerra, di viaggi, di prigionia, che ha più del romanzesco che non del reale. Nonostante le ricche collezioni fatte venire dall'estero con grandi spese e che egli donò alla sua patria, il Marsigli non volle mai, dice il suo accurato panegirista, che il suo nome comparisse in qualche monumento pubblico. Non poté evitare tuttavia il discorso pronunciato nell'occasione dell'inaugurazione dell'Istituto nel 1714 dal padre Ercole Corazzi, monaco olivetano matematico della nuova Accademia: "le lodi rifiutate, nota Fontanelle, sanno ritornare, e con più forza, ed è forse altrettanto modesto di lasciar il loro corso naturale e di prenderle per quel che valgono". Il monumento di S. Domenico è esso pure uno di quegli omaggi di cui ha parlato Fontanelle e ai quali la memoria del Conte Marsigli ha dovuto rassegnarsi, quantunque egli avesse desiderato di esser sepolto senza pompa di sorta alla Chiesa de' Cappuccini. L'iscrizione e il busto già consacrati a Lodovico Carracci nella cappella di S. Domenico non vi si trovano più: sono all'Accademia della Belle Arti, ove deve erigersi un degno monumento alla memoria di quel grande artista.

IL CHIOSTRO E IL CONVENTO DI S. DOMENICO. Il Chiostro di S. Domenico contiene numerose e antiche tombe. Due sono notevoli: la tomba di Giovanni Andrea Calderini del Lanfrani, l'abile scultore del monumento di Taddeo Pepoli, e quella di Bartolomeo da Saliceto fatta nel 1412 da Andrea da Fiesole. Alcuni resti curiosi di pittura mostrano Maddalena ai piedi di Cristo, primo lavoro, secondo il Malvasia, di Lippo Dalmasio, il graziato pittore di madonne di cui si è già parlato. Il convento di S. Domenico, occupato dai Domenicani, è la sede dell'Inquisizione, ma questo temibile tribunale è oggi a Bologna molto benigno e quasi insensibile. L'Inquisitore, il padre Medici, morto nel 1833, era un domenicano sapiente e degno di gran rispetto: lui stesso aveva intorno a quel tempo fatte al papa osservazioni sopra l'inutilità di ristabilire l'Inquisizione.

L'ANTICA BIBLIOTECA COMUNALE. La Biblioteca Magnani, divenuta Biblioteca Comunale, occupa una parte del convento di S. Domenico. Essa fu lasciata per legato dall'ecclesiastico di cui porta il nome, uomo di lettere, eccellente petroniano, il quale volle che la sua Biblioteca servisse ai giovani suoi compatrioti e soprattutto fosse accessibile nei giorni nei quali le altre Biblioteche erano chiuse. Tale destinazione è infinitamente utile e opportuna, date le eterne vacanze e gli innumerevoli giorni di chiusura della più parte delle Biblioteche d'Italia; specialmente nello stato Romano. La Biblioteca del Vaticano non resta aperta cento giorni in tutto l'anno. Mi ricordo, con rimpianto, che in uno dei miei passaggi per Firenze, mi fu impossibile di arrivare alla Laurenziana perché era, come le altre Biblioteche, chiusa sotto il pretesto della festa di S. Caterina. Il locale della Biblioteca Magnani, composta di tre vaste sale e d'altre non grandi, è superbo; quantunque di recente formazione, la Biblioteca conta già 83.000 volumi. La Città destina l'annua somma di mille scudi per nuovi acquisti; e perché il lusso della pittura splende per ogni parte in Bologna, questa Biblioteca offre una Deposizione dalla Croce del Barrocci, incompiuta, ma d'un effetto prodigioso. Il recente legato dell'illustre professore bolognese Valeriani, accrescerà l'importanza e l'utilità di questa Biblioteca che verrà trasferita alle Scuole pie. La restante fortuna del dotto economista, lasciata intiera al Comune, sarà consacrata al compimento delle arcate, che congiungono il portico di S. Luca colla Certosa. Uscendo dal Convento, a sinistra, sotto un portico, havvi una Vergine col Bambino Gesù e S. Giovanni del Bagnacavallo, pittura curiosa, apprezzata da Guido Reni ed esposta su d'una via.

L'ANTICHISSIMO PALAZZO DEL COMUNE. Qualche tratto di muro accanto a S. Petronio è la sola reliquia dell'antica Casa del Comune di Bologna, sede d'uno stato libero che fino dal secolo XII, secondo il Sismondi, aveva saputo stabilire la divisione dei poteri, e che fu potente, ricco, agitato, glorioso, resistette agli imperatori, prese parte alle crociate, sottomise Modena, Ravenna e le altre città della Romagna e non cadde se non per la prescrizione dei suoi concittadini e per la chiamata dello straniero.

IL PALAZZO DEL PODESTA' E LA SALA DI ENZO RE. Il palazzo del Podestà fu un tempo la prigione dei Re Enzo: bello, giovane, valoroso, poeta, amato, tra le catene, da una tenera bolognese, la quale sotto diversi travestimenti andava a visitarlo, Enzo altro principe sfortunato al pari di Corradino, dell'eroica e romanzesca Casa di Svevia, è ancora popolare a Bologna. La grande sala è chiamata la Sala d'Enzo, ma la sua destinazione è stranamente cambiata; nel 1410 vi si tenne il Conclave per l'elezione di Giovanni XXII, divenne sala da spettacoli nell'ultimo secolo, nel 1826 era il Giuoco del Pallone, e quando io la visitai, nel 1828, serviva da studio per i pittori che decoravano il teatro. La torre detta torrazzo dell'arrengo, costruita collo scopo di sorvegliare Enzo, è, come il resto del palazzo, una costruzione assai ardita, giacché posa sopra delle arcate. Accanto alla Sala d'Enzo trovasi l'archivio civico, notevole per i suoi rari e numerosi monumenti storici, il più importante dei quali è la bolla detta dello Spirito Santo data da Eugenio IV a Firenze il 6 luglio del 1439, che si riferisce all'unione, tentata inutilmente, della Chiesa Greca colla Latina.

"IL GIGANTE". La fontana detta del Gigante, ha il Nettuno, le Sirene e le altre figure in bronzo, opere celebri del Giambologna, ordinate da S. Carlo Borromeo, allorché fu Legato in questa città. Quando si consideri la robusta nudità del Nettuno e la grazia voluttuosa delle Sirene, sembra strano il sapere che un tal monumento fu dovuto a un Santo così austero e che fu inalzato al mezzo di una pubblica piazza, negli stati della Chiesa! La fontana ha poca acqua; bisognerebbe, come un tempo, ne sprizzasse anche dalle poppe delle Sirene.

IL PALAZZO PUBBLICO E IL TRAVESTIMENTO DI UN PAPA. Il Palazzo del Pubblico è della fine del secolo XIII. Di sopra la porta avvi la statua di Gregorio XIII, altro grande papa bolognese, dovuta ad Alessandro Menganti, artista argutamente chiamato da Agostino Carracci un Michelangelo sconosciuto: forse potrebbero in tal guisa scoprirsi, nelle lettere, qualche Bossuet e qualche Corneille ignorati. Al tempo della rivoluzione del 1796 questo papa di bronzo fu cambiato in San Petronio; gli si mise il pastorale in mano, la tiara fu cambiata in una mitra, e al di sopra della statua così camuffata vi si scrissero le parole: divus Petronius protector et pater: e così S. Petronio divenne democratico a Bologna come S. Gennaro a Napoli. Lo scalone a cordoni del Palazzo del Pubblico è opera grandiosa del Bramante. Nella grande sala detta d'Ercole trovasi la statua colossale del dio, di Alfonso Lombardi, una delle migliori statue di questo genere del secolo XVI. Il bel soffitto della Sala Farnese dipinto dal Cignani, dallo Scaramuccia, dal Pasinelli e dal vecchio Bibiena, ha sofferto disgraziatamente più delle ingiurie atmosferiche che di quelle del tempo. In fondo ad uno dei cortili ammirasi la bella cisterna del Terribilia. Il Palazzo del Pubblico è la residenza del Cardinal Legato, del Senatore e della Magistratura. Nel mio primo viaggio del 1826 fui vivamente colpito dell'aria marziale dei soldati di guardia, molto diversa dall'aspetto tedesco delle altre guarnigioni d'Italia: erano dei veri soldati francesi, soldati della grande armata, la cui fisionomia militare e i grandi baffi, contrastavano stranamente con la tiara, la parola pax e le chiavi pontificie che adornavano i loro kepì. Il Papa ora non ha sotto le armi meno di 18.000 uomini, compresivi due reggimenti svizzeri di 4400 soldati, forze superiori a quelle di tutti i suoi predecessori, che gli costano circa due milioni di scudi all'anno, il quarto delle rendite del suo stato. Di fronte al palazzo del Pubblico è il portico de' banchi grande, abile architettura del Vignola, che dovette superare le difficoltà e le irregolarità degli edifizi che prima vi esistevano.

IL PALAZZO FAVA. Le volte del palazzo Fava riprendono della gloria fraterna dei Carracci. Agostino e Annibale, che al ritorno da Parma e da Venezia non erano ancora divenuti avversari, hanno dipinto per la prima volta a fresco, sotto la direzione e il concorso del loro cugino Lodovico, la spedizione di Giasone, in 18 quadri, lavori che eccitarono le esclamazioni degli antichi maestri di questa epoca di decadenza, degli artisti titolati e in credito presso il pubblico riguardati allora come gli arbitri del gusto. Lodovico Carracci ha rappresentato in 12 quadri il Viaggio d'Enea; ne fece colorire due da Annibale, cioè il Polifemo che persegue la flotta troiana e le Arpie. Un altro soffitto dipinto dall'Albani, ancora coi consigli generosi e infaticati di Lodovico Carracci, rappresenta sedici tratti della vita d'Enea; altre pitture eseguite sopra i suoi disegni, dai suoi allievi, l'ultima del Cesi, portano soggetti simili e continuano questa specie di Eneide. Gli arabeschi di un gabinetto, quattro paesaggi e Il Ratto di Europa, sono di Annibale Carracci nello stile del Tiziano.

IL PALAZZO ALDROVANDI. Il vasto palazzo Aldrovandi, costruito nel 1748 dal cardinale Aldrovandi, era ancora occupato nel 1826 da due fratelli della famiglia di quell'illustre, morti poco tempo dopo. La ricca galleria, la numerosa biblioteca, formate da questi uomini egregi, sono oggi quasi del tutto disperse. In fondo al palazzo eravi un'importante fabbrica di maioliche inglesi fondata dal conte Ulisse Aldrovandi, trasferita già altrove, ma che a quel che sembra non ebbe prospera fortuna.

I PALAZZI FIBBIA E TANARI. Il palazzo Fibbia, ora Pallavicini, ha una bella sala dipinta egregiamente da Santi e Canuti artisti bolognesi. Dodici busti di donne famose bolognesi devonsi la più parte dell'Algardi; il Colonna ha dipinta la cappella e il suo vestibolo. Nel palazzo Tanari, il Bacio di Giuda di Lodovico Carracci è d'un espressione infernale. Il Bagno di Diana di Agostino è grazioso, voluttuoso, aereo. Una Vergine che allatta il Bambino è un mirabile capolavoro di Guido. Nonostante la sua tradizionale grazia, Carlo Dolci ha saputo esprimere nel suo bel ritratto di S. Carlo Borromeo, la dura fisionomia del Santo.

I PALAZZI GUIDOTTI E LEONI. Il palazzo Magnani, oggi Guidotti, è della dignitosa architettura del Tibaldi. Gli affreschi dei Carracci che rappresentano la storia di Romolo e Remo son degni di essere paragonati per il colore e l'eleganza agli altri celebri affreschi del palazzo Farnese e sono ben conservati al pari di quelli. L'apparizione di questa meravigliosa pittura decise il trionfo della riforma eclettica dei Carracci. Questi abili maestri presero dalle altre scuole, fusero con una mirabile unità le diverse maniere e ricondussero all'arte forte e vera. Sotto il portico del palazzo Leoni, oggi Sedazzi, vedesi una bella Natività opera di Niccolò dell'Abate, e nel soffitto della grande sala la Storia di Enea dello stesso grazioso ed elegante pittore.

IL MODERNO PALAZZO BENTIVOGLIO...E IL VANDALISMO POPOLARE. Il palazzo Bentivoglio è grande e moderno; non resta alcuna traccia dell'antico, monumento di bellissima architettura, che Giulio II fece distruggere dal popolo, per vendicarsi di Annibale Bentivoglio e dei Francesi, distrusse in seguito la statua di Giulio, capolavoro di Michelangelo. Tale vandalica incongruenza del popolo di Bologna, mi ricordò, per ciò che si riferisce alle meraviglie dell'arte, un motto di un popolano di Parigi, motto che dipinge in ogni tempo la natura delle opinioni popolari. Quando la nuova statua di Enrico IV, quasi sepolta nei Campi Elisi, fu tratta fuori dal popolo, un signore entusiasta felicitandosi con uno di quei buoni lavoratori che si asciugava la fronte: "non val la pena, rispose freddamente costui; era ben tutt'altra cosa quando fu necessario abbattere la statua di Luigi XV!".

IL PALAZZO GRASSI. Nel palazzo Grassi, un superbo affresco di Lodovico Carracci rappresenta Ercole che abbatte l'Idra, armato di una fiaccola in luogo della clava, felice emblema per esprimere l'unione, che è così rara, della forza e della luce. Lo stesso palazzo possiede un caratteristico capolavoro di Properzia de' Rossi, illustre donna bolognese, di cui si è già parlato; sono dei graziosi cammei incisi su dei noccioli di pesche che rappresentano la Passione di Gesù Cristo, la Vergine, i Santi, gli Apostoli. La folla di queste piccole figure è viva, elegante, leggera; l'opera sembra un grazioso capriccio dell'arte: solo una donna ha potuto eseguirla.

IL PALAZZO PIELLA. L'antico palazzo Bocchi, oggi Piella, fu ordinato al Vignola dal nobile ed erudito bolognese Achille Bocchi, che ebbe il torto di imporre le sue idee al grande architetto. Bocchi riunì in questo palazzo l'utile accademia che portava il suo nome; vi impiantò una stamperia, da cui uscirono buone edizioni; il testo era stato riveduto dagli accademici; si cita il curioso Libro dei Simboli del Bocchi, nella seconda edizione dei quali Agostino Carracci ritoccò le incisioni. Il Bocchi, legato all'illustre Alberto Pio signore di Carpi, oratore imperiale alla Corte Romana, ottenne il titolo di Cavaliere e di Conte Palatino, col diritto di crear cavalieri, di conferir lauree e la singolare prerogativa di legittimare bastardi. Nonostante i suoi onori, sembra che egli sentisse l'amicizia, se lo si giudica dall'affettuoso soprannome che egli si diede di Fileros (amico amante) messo in testa a molte delle sue produzioni. Il palazzo Bocchi reca delle sagge iscrizioni, tra le quali il versetto in ebraico del salmo 120: Iehova difendi l'anima mia dalla lebbra e dalla menzogna e dalla parola dell'inganno, voto senza dubbio sfuggito al Bocchi in mezzo alle pratiche della sua vita di corte, d'affari e della letteratura. La volta della sala del trapiano è decorata di buoni affreschi a compartimenti e di arabeschi di Prospero Fontana, scolaro di Innocenzo da Imola e maestro di Lodovico e di tutti i Carracci. Poco lungi da questo palazzo <>, sulla piazza che è dietro alla chiesa di S. Nicolò degli Albari, mostrasi ancora la casa che abitava il Guercino, che però non ha punto l'interesse di quella di Cento.

IL PALAZZO MARESCALCHI. Il palazzo Marescalchi, la cui galleria è stata privata dei suoi principali capolavori, non offre più oggi se non la facciata del gusto del Tibaldi, il vestibolo del Brizio, i suoi camini dipinti dai Carracci e da Guido: il più notevole è quello di quest'ultimo artista. Così la galleria come la biblioteca erano state raccolte dal conte Ferdinando, già ministro degli Esteri nel Regno d'Italia sotto Napoleone, uomo eccellente, ingenuo, faceto, che restò interamente italiano in mezzo a questa corte europea.

CASE E PITTURE. Nella casa Mattioli, oggi Bonini, esistono diverse divinità in più quadri, bella opera del Colonna. Il palazzo Albergati Capacelli dell'illustre architetto Baldassarre Peruzzi, ha dei fregi dei Carracci e i soffitti delle sale del trapiano del Gessi. La collina che è in faccia presenta un colpo d'occhio piacevole e singolare. La vasta galleria del palazzo Zambeccari di S. Paolo è ricca di quadri dei Carracci: Abramo a tavola con gli angeli, La Scala di Giacobbe, Nostra Signora degli Angeli. Un Carlo V del Tiziano è meravigliosamente vero. Sei maitresses di Carlo II del Lelli sono graziose: sembra un lavoro di Hamilton.

IL PALAZZO BEVILACQUA E IL CONCILIO DI TRENTO. Nel notevole e superbo palazzo Bevilacqua havvi ancora la sala, come attesta un'iscrizione, nella quale si radunò il Concilio di Trento, trasferito là nel 1547 dietro un'ordinanza del grande medico Fracastoro. La sala non è così grande come lascerebbe supporre la riunione di una tale assemblea. La porta sulla strada per la quale entravano e uscivano i padri è chiusa da una sbarra di ferro. Il timore del contagio, di cui parlano tutti gli storici, non era, a quel che sembra, se non un pretesto: Paolo III cominciava a non intendersi troppo bene con Carlo V e dovette cercare di trasportare il Concilio in una città d'Italia soggetta alla Santa Sede. La scienza di Fracastoro sarebbe così discesa a servizio della politica pontificia, debolezza che può trovare una scusa nel suo odio contro gli stranieri e nel suo patriottismo. L'Osservatorio inalzato dal generale Marsili nel palazzo che porta il suo nome, esiste ancora. Ed è prova dei gusti, della passione e delle abitudini scientifiche di quell'uomo illustre e modesto. Uno dei più splendidi palazzi di Bologna è quello Ranuzzi ora Baciocchi, la cui facciata principale è del Palladio.

ALTRI PALAZZI BOLOGNESI. Il palazzo Lambertini, ora Ranuzzi, è notevole per le opere di pittori bolognesi anteriori ai Carracci, i quali pur superandole, hanno saputo apprezzarle: tali sono il caratteristico soffitto della sala superiore del Laureti: le Virtù del Sabbatini; la Caduta d'Icaro del Samacchini la Morte d'Ercole del Pellegrini e altre pitture che raggiungono un bell'effetto e che onorano la scuola bolognese. I palazzi Biagi hanno un soffitto di Guido Reni e della sua scuola. Un altro dello stesso maestro, le Arpie che insozzano la tavola di Enea, è nel palazzo Bianchi. La porta di bronzo è di un elegante disegno. Il nome di quest'ultimo palazzo ci ricorda Betisia Gozzadini, donna celebre nella storia leggendaria, se così si può dire, dell'Università di Bologna. Ho cercato invano sotto i portici il pulpito o piccola tribuna indicato dal Ginguené, dal quale questa dottoressa in diritto avrebbe professato davanti a 10.000 scolari. Quantunque la stenografia abbia ai nostri dì dato un maggior numero di discepoli a qualcuno dei nostri più celebri professori, credo che sarà opportuno, intorno alla Gozzadini, tenersi all'opinione prudente del Tiraboschi, il quale asserisce che l'Università di Bologna è troppo ricca di fatti gloriosi e sicuri, perché sia necessario di attribuirgliene del falsi o degli incerti. Il secondo cortile del palazzo Malvezzi-Bonfioli, offre diversi soggetti della Gerusalemme Liberata, dipinti a fresco da Lionello Spada, Lucio Massari, il Brizio e altri abili artisti. La Galleria è ricca di quadri della scuola bolognese. Il ritratto del prelato Agucchi del Domenichino, una Sibilla di Guido giovane, sono dei meravigliosi capolavori, quantunque l'ultima sembri un po' troppo carica d'ombre. Una Decollazione di S. Giovanni Battista, soggetto preferito da Lionello Spada, è forse la migliore di tutte quelle che egli ha dipinte. Il cupo palazzo Sampieri, la cui galleria è stata venduta, conserva ancora i suoi bei soffitti e i suoi camini dipinti opere dei Carracci e del Guercino.

LA CASA DEGLI STRACCIAROLI PENSIONE SVIZZERA! L'antico e imponente palazzo della compagnia degli Stracciaioli (Mercanti di panni) della fine del secolo XV, è oggi uno dei numerosi e buoni alberghi d'Italia detti pensioni svizzere; è dalla tradizione attribuito all'illustre Francia, ben noto come pittore, orefice e incisore, e che sarebbe stato anche architetto.

LA CASA ROSSINI. Bologna al pari di Venezia ha delle case non meno illustri dei suoi palazzi: tali sono la casa Rossini e la casa Martinetti. La casa Rossini è al suo posto in Bologna, città amica delle arti e la più musicale d’Italia. Questa casa, costrutta nel 1825, era coperta all’esterno da iscrizioni latine in grandi lettere dorate tolte dagli scrittori classici. Questa di Cicerone non pareva invero troppo modesta: non domo dominus, sed domino domus; la più parte alludevano alla gloria musicale del proprietario; mi ricordo i versi del VI libro dell’Eneide su Orfeo: Obloquitur numeris septem discrimina vocum, etc. E sui cori dei musici dei Campi Elisi: …Laetumque choro Poeana canentes, Inter odoratum lauri nemus…. Nell’interno, un grasso Apollo in piedi indica la figura del Rossini al quale tutta questa decorazione, eseguita a sua insaputa e nella sua assenza dall’architetto, era molto spiaciuta, e pensava di farla scomparire. Tali espressioni elogiastiche erano infatti fuori luogo da lui, e non so se si doveva piuttosto preferire a tante citazioni l’iscrizione fastosa, ma precisa, che il musicista Caffarelli collocò a Napoli sul suo palazzo: Amphion Thebas, ego domum.

LA CASA MARTINETTI. La casa Marinetti riunisce il lusso delle arti dell’Italia, il confortable inglese e l’eleganza francese. E la dimora una donna veramente superiore; celebre nell’alta società europea che ha visitato l’Italia, per la sua bellezza, il suo spirito e le sue rare cognizioni. M’è sembrato che Cornelia abbia qualche rassomiglianza di esistenza, di destino e di perfezione con una francese della quale già ricordammo la grazia e il generoso carattere. Amate tutte e due da figli di re, due grandi artisti di Francia e d’Italia le hanno scelte come tipi dei loro primi capolavori. La figura della signora R…ha rivelato a Canova i tratti inspirati della Beatrice di Dante; la signora M… sotto il pennello del Gérard, fu la modella della Corinna di Madame de Stael. Nonostante tanto splendore di successi e di omaggi, nonostante questa specie di grazia data dalla moda e dalla natura, queste donne hanno vissuto per alcuni degni amici, per le arti e per lo studio. I rovesci, presso alcune anime hanno più aggiunto che tolto all’attrazione che esse esercitarono: liberate da una corte vana e importuna, il loro asilo, che prima non era se non un palazzo, è divenuto il tempio del gusto, del sapere e del genio.

IL TEATRO COMUNALE. L’Opera di Bologna è costruito sopra le rovine di quel palazzo Bentivoglio che la vendetta di Giulio II fece distruggere in una sommossa popolare: ricordo dei furori pontifici che stranamente contrasta con la destinazione del nuovo edificio. Questo teatro, costruito dentro e fuori in pietra, è celebre opera di Antonio Bibbiena, architetto che nell’ultimo secolo ebbe il monopolio delle costruzioni di sale destinate a spettacoli. La sala di Bologna è sorda e di cattivo gusto ed è stata spesso ed anche recentemente restaurata. Il sipario che rappresenta le nozze d’Alessandro e di Rosanna, è il più celebre lavoro del miglior pittore che ora abbia Bologna, Pietro Fancelli, figlio lui stesso d’uno stimato pittore, che imitò a un tempo i classici e la scuola veneziana. Assistetti alle rappresentazioni dell’ottobre nel 1828. Se non senza sorpresa aveva visti i balli di Agamennone e di Zaira alla Scala, trovai allora anche più strano la Gabrielle de Vergj del Gioia. Era uno spettacolo orribile e bizzarro a un tempo per le disperazioni e i furori cadenzati di Gabriella e di Fayel, perché il ballo non era se non la commedia francese con dei particolari e dei cattivi versi di meno. L’opera era L’assedio di Corinto del Rossini, che doveva essere seguita dalla Zelmira; Cosselli, buon attore ed eccellente basso, rappresentava Maometto, le donne erano mediocrissime. In quell’anno il teatro di Bologna si era arricchito di una magnificenza di decorazioni e di costumi che lo rendevano degno di stare alla pari con la Scala; il Ferri e i decoratori bolognesi, i cui talenti si sono dimostrati più tardi sulla nostra scena italiana, han preso qualche cosa di mezzo tra l’effetto del Sanquirico e la pittura del Circeri: la tenda di Maometto e la camera di Gabriella erano dei veramente belli e piacevoli quadri. Intervenivano come alla nostra opera dei cavalli, anche in maggior numero che da noi; le loro evoluzioni troppo ripetute, succedevansi, destando quasi il riso, alle danze dei cavalieri e delle dame di Gabriella, e questa mescolanza di ballo e di maneggio urtava un po'. Quanto al lusso dei vasi da fiori, dei mazzi e delle ghirlande di rose, se non vi fosse stata la freschezza delle decorazioni, si sarebbe potuto credere d’assistere a un’opera francese d’altri tempi; mi limitai a notare che in questo stato conservatore gli antichi costumi dell’opera non si erano punto cambiati. Le quinte erano accessibili e sembravano assai gioconde; le gonne e i corsetti non avevano subite modificazioni, solo le maglie erano bianche in luogo d’esser di color carne. Il teatro di Bologna attirava molta gente, era in quest’anno il meglio allestito di tutta Italia; in mezzo a tutta questa sontuosità tuttavia non c’era che un cantore, Cosselli, e la signora Adelaide Mersy, deliziosa danzatrice. 

DAL TEATRO CONTAVALLI AL TABARIN. Il teatro Contavalli è stato costruito nel 1814, in una parte dell’antico convento dei padri carmelitani di S. Martino maggiore; le stesse scale del convento conducono ancora alla platea del teatro. Si rappresentava nel 1827, al teatro del Corso, una commedia molto gaia imitata da Moratin, la Donna di falsa apparenza, specie di Tartufo femmina, la cui rappresentazione doveva sembrare un po' strana nello Stato del Papa e provava che in Bologna vi era una certa libertà, diremo così, drammatica. Ho assistito a qualche rappresentazione del Tabarin (dottore). Il dottore è la maschera popolare di Bologna come Girolamo di Milano; si vede dal suo titolo antichissimo che ha dovuto nascere in una città sede d’Università, Tabarin è un campagnuolo dalla bella parlantina, che non può peraltro esprimersi in buon italiano; si è sempre distinto per la libertà del suo parlare intorno alle cose del tempo e più d’una volta sotto il dominio francese fu interdetto; così ad esempio, alludendo alle enormi imposte che pagava l’Italia, chiamata dal Moniteur la !figlia della Francia”, egli aveva osservato che generalmente era la madre che dava alla figlia e non la figlia alla madre. La sala del Tabarin è graziosa, vi sono dei palchi; si comincia a otto ore come nei grandi spettacoli e sul sipario è scritta la sentenza, orgogliosa e modesta a un tempo, facile il criticar, difficil l’arte, traduzione di un noto verso che spesso è stato attribuito a Boileau, ma non è di lui. Il meccanismo delle marionette del teatro Tabarin è inferiore ai Fantoccini di Milano, quantunque le figure siano di assai maggiori proporzioni. In una delle commedie che io vidi rappresentare, Tabarin era stato nominato ministro segretario di stato di un re d’Egitto, ma nonostante la pomposità del suo titolo, tutta la corte si rideva di lui. Il dialetto bolognese rende i suoi scherzi quasi inintelligibili per uno straniero; mi è parso tuttavia che Tabarin non abbia affatto perduto la sua antica abitudine di opposizione. Un monumento sepolcrale, su disegno di Giulio Romano (quello del dott. Boccaferri), trovasi alla Dogana, antica e superba chiesa del Convento dei Padri minori di S. Francesco. Non c’è che l’Italia veramente, ove possa trovarsi l’opera di un grande maestro, in luoghi, che in altre nazioni parrebbero…..poco adatti.

IL COLLEGIO DI SPAGNA. Il Collegio di Spagna merita d’essere visitato, quantunque gli affreschi, lavoro giovanile di Annibale Carracci, e quelli del Bagnacavallo sieno quasi del tutto scomparsi. Un grande affresco di quest’ultimo ha dei resti pieni di verità ed espressione: rappresenta l’incoronazione di Carlo V a Bologna fatta da Clemente VII, che potè allora contemplare ai suoi piedi l’imperatore di cui era stato prigioniero. La figura di Carlo V , quasi intatta, è screziata in modo singolare; la testa del poeta Trissino, inviato dai più illustri principi, che ebbe l’onore di portare la coda del Papa, è una di quelle che ha sofferto meno; è in abito di cavaliere, e non già di prelato o arcivescovo come potrebbe credessi leggendo Voltaire. La pittura del Bagnacavallo bolognese è contemporanea all’avvenimento che raffigura ed ha perciò un grande interesse nel rapporto storico. Fu tanta, narra il Varchi, la folla dei principi e dei prelati recatisi allora a Bologna, che si venderono carissimi i viveri che prima davansi a buon mercato e quasi buttavansi, e la città, d’un tratto, divenne colma di danaro: una taglia che mise il Papa alla sua partenza precipitosa, dovuta alla mancanza di danaro e di credito, diminuì molto la soddisfazione dei cittadini. Nel Collegio della Illustrissima nazione spagnuola, non vi erano allora che quattro scolari.

I FIAMMINGHI E I BASTARDINI. Il Collegio Fiammingo, singolare istituzione, nel quale sono ancora mantenuti quattro giovani di Bruxelles, scelti dalla Compagnia degli Orefici della Parrocchia di S.t Marie de la Chapelle di quella città, offre un bellissimo ritratto del fondatore Giovanni Jacobs orefice fiammingo, fatto da Guido amico suo. La Casa dei Bastardini, antico convento dei Benedettini, ove trovasi un superbo S. Benedetto mezza figura del Cesi, è stata ingrandita; nuovo e triste argomento dell’impotenza morale del dominio ecclesiastico. Il numero dei figli naturali è in Bologna, secondo le statistiche degli atti di nascita, circa un settimo dei nati. 

L'ARCHIGINNASIO. Il palazzo delle scuole del Terribilia, antica sede dell’Università, è uno dei più belli di Bologna. L’insegnamento gratuito dato ai giovani poveri della città sembra assai elevato, poiché ne fanno parte l’aritmetica, il latino, il canto e il disegno; i maestri sono ecclesiastici e laici. Una cattedra di chimica e di fisica applicata alle arti deve essere istituita alle scuole in sèguito al legato di un generoso bolognese, il prof. Giovanni Aldini, dotto fisico e Consigliere di Stato sotto il Regno d’Italia. Gli affreschi del Cesi nella cappella di S. Maria dei Bulgari, rappresentanti la vita della Vergine, le Sibille, i Profeti ecc… sono pieni di gusto e benissimo conservati; L’Annunziata è del Fiammingo. Le parti laterali hanno bellissime pitture dei Sabbatini e dei loro allievi. Così il lusso delle arti splende perfino fra le scuole gratuite.

Il Collegio Venturoli, eretto nel 1825, è destinato allo studio dell’architettura; benefica fondazione dell’architetto di cui porta il nome, questo collegio mantiene, fino a venti anni circa, otto allievi; ma il numero doveva essere aumentato. Scorgesi da tutto questo che Bologna non ha punto dimenticato la gloria delle sue antiche scuole, così nelle scienze come nelle lettere e nelle arti e che essa lavora ancora a produrre dei maestri non meno illustri.

LA TORRE ASINELLI. Di tutte le salite di torri, cupole, campanili e fari che un viaggiatore il quale abbia gambe e coscienza deve compiere, una delle più aspre è senza dubbio quella della torre degli Asinelli, tanto è poco praticabile la lunga scala a lumaca. Questa torre, la più elevata d’Italia, e più alta di qualche piede della Cupola degli Invalidi, serve talvolta a osservazioni astronomiche; non sarei dunque gran che sorpreso se uno dei dotti che salgono fin lassù, non provasse un giorno, con mio gran rammarico, l’accidente che toccò all’astrologo di La Fontaine. La vista è piacevole; non è l’immensità della vista del duomo di Milano, né l’orizzonte del campanile di S. Marco, ma la pianura è ridente e l’Appennino dall’altro lato invece di punte brulle, offre un seguito di graziose colline boscose e coperte de belle case di campagna. La torre degli Asinelli è proprio nel mezzo di Bologna, come Bologna è la più grande città del centro d’Italia. Stando nel cuore di questo paese non mi potevo liberare dai presentimenti, sopra i destini che l’attendono, perché la mia ragione non poteva credere alla durata del falso ordine che vi regna. Io gettai un triste sguardo sopra questa terra che amavo e che piangevo; quale sarà, io mi domandava, fra breve tempo, il suo dominio? Io compiangeva la sorte inflitta ad un paese così bello e ad alcune anime si nobili. Io piangevo su quella gloria passata e su quelle luci nuove che rendevano più triste il rigore della loro condizione.

LA GARISENDA. La torre pendente, vicina a quella degli Asinelli, è meno alta; la Garisenda ha fornito una di quelle innumerevoli e pittoresche immagini di Dante, quando paragona il gigante, che si abbassa per prendere la sua guida e lui, a questa torre, se si osserva quando le nubi fuggono al disopra dei suoi merli: Qual pare a riguardar la Garisenda / Sotto il chinato quando un nuvol vada / Sovr’essa sì ch’ella in contrario penda / Tal parve Anteo… L’inclinazione della Garisenda non dipende da un effetto d’arte, ma dall’abbassamento subìto dal suolo; fa meraviglia che abbia potuto resistere a tanti e così violenti terremoti; pare ormai indistruttibile, come certe anime che la prima catastrofe ha meno abbattute che sorprese, e che sembrano al contrario per la caduta diventar più forti!

DIVAGAZIONE POLITICA. Io augurava a questa contrada le leggi, la libertà, le istituzioni della mia patria senza il veleno democratico che può farle perire. In questo delirio dei miei voti e delle mie speranze il vedeva succedere una vita attiva all’ozio frivolo ed elegante della gioventù di Milano, all’inazione dotta e letterata di Bologna e di Firenze, agli intrighi, all’ambizione dei prelati di Roma e ai carichi di corte dei diversi stati. Quegli uomini così nobili di nome, di carattere e di facoltà, quei generosi protettori delle lettere e delle arti, quei possessori di superbi palazzi, di splendide gallerie, di ricche biblioteche, diventavano degli uomini pubblici, e di certo non la cedevano a quelli di Francia e d’Inghilterra; essi davano la libertà a questo popolo affranto, diviso, incapace di farla e di procurarla, ma degno di riceverla; essi erano una prova di più che l’aristocrazia perseguitata da tanti odi può divenire un portentoso istrumento di libertà e che l’onore delle antiche razze può benissimo allearsi colla dignità e il perfezionamento delle nuove generazioni. Il coraggio militare che non si estinse mai presso questi antichi signori del mondo, prendeva con questa libertà un nuovo slancio, perché senza di esso quella non ha mai potuto fiorire. E così rinasceva alla civiltà una delle più belle parti della razza umana, una delle nazioni illustri nei fasti dell’universo; e così l’ardore dei miei desideri segnava un termine a questa fatalità della schiavitù, a questa lunga calamità di tutto un popolo sempre dipendente, senza essere degradato, prova della sua antica e forte natura, fenomeno di cui non sarebbe stato capace nessun altro popolo. La rigenerazione d’Italia non fu voluta da Bonaparte, italiano, padrone dell’Italia intera; egli abbandonò e misconobbe i suoi compatrioti. Certo che sarebbe stato più bello rendere la sua esistenza di nazione a un tal popolo di quello che prendervi solo uomini e danaro ed avere un Re di Roma a Saint-Cloud e dei duchi di Parma e di Piacenza, via Saint-Honorè e Piazza del Carrousel. La condotta del Bonaparte verso l’Italia è uno dei lati della sua storia che meglio giustifica il giudizio severo di Chateaubriand: “L’avvenire si chiederà se quest’uomo è stato più colpevole per il male che ha fatto, che per il bene che avrebbe potuto fare e non ha fatto”. L’Italia sembra offrire per la politica, come per l’immaginazione, tre grandi divisioni naturali: il nord, lo Stato Romano, il Regno di Napoli; tutto il passato è riunito nei ricordi che si richiamano a queste divisioni. Il nord è il medio Evo, Roma la storia, Napoli la favola. Il disegno di uno stato unico in Italia con una sola capitale è affatto chimerico. Se mai qualche nuovo Amedeo negoziatore e guerriero sale sul trono di Savoia, i suoi destini saran grandi; sarà il fondatore di quel nuovo impero dell’Italia settentrionale; allora quella cesserà di essere la preda sempre incerta della conquista; ci sarà un popolo di più in Europa e dodici milioni di Italiani riprenderanno il loro posto nel rango delle nazioni.

Testo tratto dalla rivista 'Il Comune di Bologna', settembre-dicembre 1917. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.

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