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Omicidio dell'orefice Rava

6 dicembre 1930

Schede

Via Saragozza 63, sabato pomeriggio del 6 dicembre 1930. L’orefice Gaetano Rava si appresta ad aprire il suo negozio per preparare la vetrina natalizia. Quel pomeriggio entrano due ragazzi, vestiti elegantemente. Il più giovane dei due aveva ordinato qualche oggetto da regalo, mentre l’altro se ne stava sulla soglia della porta. Il giovane dai modi gentili stava trattando per l’acquisto di alcuni articoli, ma improvvisamente la gentilezza svanì e l’orefice si ritrovò di fronte ad un rapinatore. Non era la prima volta che Gaetano Rava aveva ricevuto delle minacce armate, e con un rapido gesto aveva afferrato la canna del revolver per cercare di strapparlo dalle mani del rapinatore. Fu una lotta rapida dove intervenne anche il socio del rapinatore, e subito partirono due colpi. Rava cadde a terra e i due malviventi scapparono, scomparendo nel nulla.

Dopo alcuni minuti un cliente entrò in negozio, e non vedendo l’orefice era tornato fuori chiedendo ad alcuni del posto: “Avete visto il signor Rava?”, “Non c’è in negozio?”. “No!” era stata la risposta. “Strano!” dissero i negozianti vicini “non lo abbandona mai”. Al cliente si erano aggiunte altre persone, che una volta entrate nel negozio scoprirono l'orefice dietro il bancone, in un lago di sangue. Avvisata la polizia, il primo ad accorrere era stato il maresciallo Petti, un uomo che conosceva la zona e che poco dopo si era precipitato con la sua auto alla ricerca dei due criminali.

Vicino alla Certosa, ad un incrocio, notò due giovani che correvano e di tanto in tanto si guardavano alle spalle. Il maresciallo li raggiunse e notò che sbiancarono in viso. Li fece ammanettare e perquisire: in tasca di uno dei due venne trovato con tre catenine d’oro, un braccialetto d’oro massiccio e nella tasca dell’altro un portafoglio contenente 2300 lire. I due furono immediatamente condotti in questura. Nel frattempo l’orefice era stato trasportato all’Ospedale Maggiore per un primo intervento operatorio che ebbe esito positivo. In questura i due furono identificati come Giovanni Cassani, ventenne e di buona famiglia e l’altro come Dante Cerruti di Ferruccio, trentunenne nativo di Parma, trasferitosi sei anni prima a Genova, poi giunto a Bologna in cerca di fortuna. I due si erano incontrati in una casa di tolleranza e avevano stretto amicizia. Ai primi di dicembre si erano ritrovati senza soldi e così decisero di ripiegare su una rapina. I due si resero rei confessi e al processo tentarono di scagionarsi, incolpandosi a vicenda. Nel corso dell'indagine purtroppo l’orefice morì, aggravando la posizione dei due e il pubblico che assistette al dibattito invocò la pena di morte, ma tutto finì con una pesante condanna al carcere per entrambi.

Loredana Lo Fiego

Bibliografia: Giuseppe Quercioli, Bologna criminale, trenta delitti all'ombra delle Due Torri, Bologna, Pendragon, 2002