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Neutralismo e interventismo

Politico 3 agosto 1914 - 24 maggio 1915

Schede

Allo scoppio della guerra, il 3 agosto 1914, l'Italia, che faceva parte della Triplice Alleanza con gli Imperi di Germania e Austria- Ungheria, si trovò nella condizione di dover dichiarare la sua posizione nei confronti degli alleati e verso gli stati membri della Triplice Intesa, Francia, Inghilterra, Russia. Nelle sedute del 1° e 2 agosto 1914, il Primo Ministro Antonio Salandra e il Ministro degli Esteri barone Antonino di San Giuliano esposero al Consiglio dei ministri le domande che l'Austria e la Germania avevano rivolto all'Italia perché si schierasse al loro fianco. Il Consiglio dei ministri considerò "in primo luogo la ripugnanza del popolo italiano alla guerra e l'impreparazione militare e finanziaria della nazione; in secondo luogo rilevò il carattere offensivo della guerra contrastante con il carattere difensivo e pacifico contenuto nei trattati della Triplice Alleanza; in terzo luogo notò come la guerra austro-serba pregiudicasse gl'interessi italiani nell'Adriatico e violasse i patti dell'alleanza, che stabiliva compensi all'Italia in caso di modificazione dello "status quo" orientale, compensi che però l'Austria non solo non offriva ma neppure accennava, dando motivo all'Italia di considerarsi sciolta da qualsiasi impegno". In breve tempo si formano due schieramenti: da un lato i neutralisti (cattolici, la maggioranza dei socialisti ed i liberali giolittiani), contrari, seppure con motivazioni diverse, alla partecipazione al conflitto, e dall’altro lato gli interventisti (alcuni socialisti e democratici come Benito Mussolini, Arturo Labriola e Ivanoe Bonomi, i nazionalisti di Gabriele D’Annunzio e i liberali di destra del Presidente del Consiglio Antonio Salandra e del Ministro degli Esteri Sidney Sonnino), favorevoli alla partecipazione al conflitto al fianco delle potenze dell’Intesa. Nettamente contrari alla guerra furono il Pontefice Benedetto XV che parlò di “Inutile strage” e la II Internazionale anche se quest’ultima ben presto fu travagliata e sconquassata da dubbi e divergenze che contribuirono a segnarne la fine. Il Pontefice era mosso oltre che da motivi umanitari dal timore di una ulteriore lacerazione in seno alla Chiesa cattolica, poiché da Vienna si era fatto sapere che una presa di posizione vaticana anti-austriaca avrebbe provocato la “secessione” del clero austriaco rispetto a quello romano. I socialisti, invece, si opponevano al conflitto in nome degli interessi dei lavoratori che erano ritenuti universali e non legati a quelli dei singoli stati e dei loro governanti borghesi o conservatori.
Il partito dei neutrali stentava quindi a darsi una linea comune, mentre gli interventisti seppero mobilitare le piazze con violente manifestazioni dove la parola d'ordine era "Trento e Trieste Italiane", facendo della liberazione di quelle città e terre il più popolare degli obiettivi della guerra invocata. Il 17 gennaio del 1915 a Genova, dopo una conferenza tenuta nell'Università Popolare, gl'interventisti fecero una violenta dimostrazione davanti ai consolati degli imperi centrali di Germania e Austria-Ungheria; tafferugli ebbero luogo nei successivi giorni a Pisa, Padova, Parma; a Milano la sera del 25 febbraio, dopo un comizio interventista al Teatro Lirico in cui parlò tra gli altri l'onorevole Leonida Bissolati, avvennero colluttazioni tra interventisti e anarchici e socialisti con contusi e feriti; a Reggio Emilia, quella stessa sera del 25, per una conferenza interventista di Cesare Battisti al teatro Ariosto, vennero a conflitto fautori della neutralità e della guerra, vi furono un morto e cinque feriti tra i tumultuanti e parecchi feriti tra guardie e carabinieri. Nonostante il divieto di tenere comizi, le agitazioni degli interventisti e dei neutralisti continuarono. Gli interventisti, sebbene meno numerosi, ma guidati da capi risoluti come Benito Mussolini e Filippo Corridoni, sulle piazze ebbero il sopravvento. Come mezzo di propaganda, oltre ai comizi, utilizzavano il giornale "Il Popolo d'Italia", diffusissimo, e che annoverava tra i sostenitori i grandi industriali, i liberali di destra, gli antisocialisti. L'entusiasmo si diffondeva assieme alla falsa idea della guerra breve e vittoriosa e, se l'incitamento risorgimentale poteva far breccia su un numero limitato di intellettuali, la previsione della facile vittoria contribuiva a rendere accettabile - se non attraente - l'avventura alla grande maggioranza dei tiepidi e degli indifferenti. Da sottolineare infine che nell’Italia del 1915 il servizio militare era spesso la soluzione di problemi economici per larghe fasce di popolazione.
Vani furono gli sforzi del Ministro degli Esteri Sidney Sonnino, effettuati tra la fine del 1914 e l’aprile del 1915, per ottenere dall’Austria la cessione del Trentino e di Trieste "con immediata esecuzione" ed in modo pacifico.
Il 3 maggio l'Italia si ritirava dalla Triplice Alleanza, mentre nelle piazze gli interventisti davano vita a violente manifestazioni; il 13 maggio Salandra presentava al Re le proprie dimissioni, che furono respinte, il 22 e 23 maggio il Consiglio dei Ministri approvava vari decreti per il passaggio allo stato di guerra che veniva dichiarata dal Re Vittorio Emanuele III, sulla base dell'artico 5 dello Statuto, il giorno 24 maggio 1915.
Mirtide Gavelli