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Moto insurrezionale anarchico

8 Agosto 1874

Schede

Nella notte fra il 7 e l'8 agosto, anniversario della cacciata degli Austriaci nel 1848, gli anarchici internazionalisti tentano una insurrezione a Bologna, con la speranza di estenderla dapprima alla Romagna e in seguito alle Marche e alla Toscana. Il piano prevede la concentrazione presso i prati di Caprara, dove sono state nascoste armi, di tre colonne di congiurati provenienti da paesi vicini, l'entrata in città all'alba, l'occupazione del palazzo comunale, l'assalto e il saccheggio dell'arsenale militare e la liberazione dal carcere dei prigionieri politici. Vengono raccolti in vari punti della città materiali per erigere barricate. Un centinaio di uomini armati sono pronti all'azione. Ma la Prefettura, informata da spie infiltrate, sventa la rivoluzione sul nascere.

La colonna partita da Imola, al comando del muratore Antonio Cornacchia, detto Bavarésa, si impadronisce della stazione di Castel San Pietro e la devasta, sabotando la linea telegrafica e portando via armi, lucerne e bandiere rosse per le segnalazioni. Ma poi è fermata verso Bologna, in località La Campana, da un contingente di militari e di carabinieri e si sbanda. 47 uomini sono arrestati sul posto, altri, fuggiti in montagna, sono catturati il giorno seguente. Si disperdono anche le poche decine di insorti raccolti a San Michele in Bosco e quelli convenuti ai Prati di Caprara, in pratica "solo la banda di S. Giovanni in Persiceto". Saranno presi poco dopo nei pressi di Sabbiuno. Andrea Costa, “il petroliere”, ritenuto uno dei principali capi della rivolta, è già stato fermato il 5 agosto alla stazione di Bologna. Il 2 agosto a Villa Ruffi, presso Rimini, la polizia ha arrestato i componenti dello stato maggiore repubblicano, durante una pacifica riunione presieduta da Aurelio Saffi. 28 persone saranno rinchiuse nel carcere di Perugia, con l'accusa di "congiurare e distruggere l'attuale forma di Governo". Il leader anarchico Bakunin - che da tempo prepara l'insurrezione in Emilia ed è giunto a dichiarare nella sua opera principale, Stato e Anarchia (1873), che "da nessuna parte la rivoluzione sociale è così prossima come in Italia" - è arrivato in incognito dalla Svizzera ed è stato affidato agli internazionalisti Silvio Frugeri e Pilade Campagnoli. Sarà costretto a fuggire precipitosamente. Secondo la testimonianza di Demos Altobelli, partirà in treno travestito da prete alla volta di Verese e della Svizzera. L'episodio sarà narrato anche nel romanzo Il diavolo al Pontelungo dello scrittore bolognese Riccardo Bacchelli (1891-1985). Molti altri congiurati sono tratti in arresto. Tra essi l'ex garibaldino e cameriere dell'Osteria del Foro Boario Teobaldo Buggini, conosciuto come il "cameriere" del Foro Boario e intimo di Costa, Alfonso Leonesi e Serafino Mazzotti, organizzatori del moto, che riescono a nascondere le armi in campagna prima della cattura. Gli imolesi circondati e presi alla Campana sono trascinati a Bologna nel Torrone tra una selva di fucili e gli applausi dei benpensanti. La forza pubblica compie perquisizioni a tappeto nei luoghi conosciuti come covi anarchici: a Bologna, nel rione del Pratello, e a Mirandola, patria dei sovversivi fratelli Ceretti. L'indomani il governo scioglierà le sezioni dell'Internazionale in Italia e inizierà una drastica repressione contro i suoi aderenti.

Il 15 marzo 1876, davanti a un vasto pubblico si apre a Bologna il processo contro Andrea Costa e altri 78 internazionalisti, che hanno partecipato al fallito moto anarchico del 1874. Tra essi l'ex comunardo Abdon Negri, Alessandro Calanchi, agricoltore della Bassa, Giuseppe Marchesini, Camillo Penazzi, Francesco Pezzi, Antonio Cornacchia. Nel collegio di difesa spiccano i nomi del prof. Giuseppe Ceneri, membro della Loggia "Concordia umanitaria", ex garibaldino e futuro senatore, e di Giuseppe Barbanti Brodano, Maestro Venerabile della Loggia Rizzoli, già volontario della guerra serbo-turca. Sfilano autorevoli testimoni a discarica, quali Aurelio Saffi e Giosue Carducci, Enrico Ferri. Tra gli astanti vi sono i giovani Filippo Turati e Leonida Bissolati, studenti a Bologna e futuri leader del socialismo riformista. Andrea Costa prende la parola dopo gli avvocati della difesa e reclama per sè e per i compagni il diritto al rispetto dei contemporanei e al giudizio della storia. Noi vogliamo lo svolgimento pieno e completo di tutti gli istinti, di tutte le facoltà, di tutte le passioni umane, noi vogliamo l'umanamento dell'uomo. Più avanti rivendica come positivo per sé e per i compagni l'epiteto di "malfattori" dato loro dai borghesi: Ci chiamano malfattori e peggio che malfattori. Ebbene questo titolo lo accettiamo come fece un giorno la borghesia; e chi sa che un giorno come la croce da strumento di infamia divenne simbolo di redenzione, questo nome di malfattori dato a noi e da noi accettato non indichi i precursori di una generazione novella.

Il processo si conclude il 17 giugno con una clamorosa assoluzione degli imputati. Liberati dopo 22 mesi di carcere preventivo, gli internazionalisti sono accolti a Bologna da vive manifestazioni di giubilo, mentre a Imola, da dove molti di loro provengono, una folla immensa li acclama alla stazione.

In collaborazione con Cronologia di Bologna della Biblioteca Sala Borsa.