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Celso Morisi

10 Maggio 1885 - 3 Giugno 1946

Scheda

Figlio di Cleto e Gemma Pivetti, discendeva da una famiglia molto in vista della comunità persicetana (quattro suoi avi erano caduti durante le guerre napoleoniche).

Studente alle Scuole Tecniche di Bologna, già a quattordici anni si faceva notare quale militante della frazione estrema del partito socialista. Nel 1903 pubblicò diversi articoli su “La Parola Proleteria” di Mirandola, firmandosi con lo pseudonimo Eros per meglio attaccare i “turatiani” della sua città. Sempre a Persiceto diede vita, assieme al futuro storico delle religioni Raffaele Pettazzoni, al gruppo dei socialisti intransigenti che però già nell’agosto successivo si adoperò per un non riuscito riavvicinamento alla locale sezione socialista. Dal “Circolo Socialista di San Giovanni in Persiceto”, nato per l’appunto dai due tronconi del socialismo cittadino, prese vita il giornale “Il Lavoro”, a cui anche Morisi collaborò fino a ché non ne fu espulso, nell’ottobre.
Avvicinatosi ai sindacalisti rivoluzionari, nel 1907 fu candidato per quel gruppo alle elezioni comunali della sua città natale. Fu redattore responsabile del numero unico de “Il Ribelle” pubblicato il 5 aprile 1908, caratterizzato da una “schiettezza” argomentativa tutta mirante a “smaschera[re] gli impostori del movimento socialista”. Nel 1910 la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza aprì un fascicolo nei suoi riguardi presso il Casellario Politico Centrale (CPC). Fu presidente del Circolo Antimilitarista di Calderara, dove si era trasferito nel 1908, nonché vicesegretario della Federazione Provinciale dei Birocciai, che aderiva alla vecchia CdL di Bologna. Corrispondente per diversi giornali, fu gerente de “L’Agitatore. Periodico settimanale di azione rivoluzionaria” unicamente per il numero del 9 ottobre 1910.

Nel dicembre successivo prese parte ai congressi del partito sindacalista e del movimento dell’“Azione diretta” di Bologna. Nell’aprile del 1911 fu arrestato e denunciato a seguito degli scontri che animarono un corteo tenutosi sempre a Bologna durante lo sciopero generale a sostegno dei muratori in lotta contro i capomastri. Dopo tre mesi di reclusione nelle carceri di San Giovanni in Monte fu rimesso in libertà nel luglio. Alla fine del 1911 risultava occupato come impiegato presso la CdL felsinea.
Fu in questo torno di tempo che Morisi entrò in contatto con Benito Mussolini, allora segretario della federazione socialista del Forlivese e direttore dell’organo di stampa “Lotta di classe”. Secondo quanto scrisse Ugo Giorgio Andalò nel 1941, in un opuscolo oltremodo ossequioso con il regime, Morisi non poté che subire “il fascino dell’intelligenza di Mussolini” finendone per ammirare “il deciso spirito polemico” e, “fatalmente”, seguirlo nella sua successiva “opera di redenzione” nel primo dopoguerra.
Nel 1912 Morisi lasciò Bologna per Lecco, dove per pochi mesi lavorò come impiegato presso il locale Ufficio del registro. Nel settembre assunse la funzione di segretario della CdL lecchese, intervenendo in diversi comizi nel circondario. Dopo aver discusso animatamente con un delegato di PS durante un’adunanza a Chiavenna, fu condannato nel luglio 1914 a quarantacinque giorni di reclusione per oltraggio.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, maturò in Morisi una vera e propria crisi, che “sembrava impossibile ai più (e specialmente a chi aveva lottato nei partiti estremi)”: la realtà della guerra divenne evidente, lasciando “nelle anime una non meno traccia profonda di quella che abbia lasciato nelle cose la strage demolitrice” del conflitto. Se in un primo momento sostenne anche pubblicamente “la tesi che la guerra non riguardava il proletariato essendo essa la lotta violenta fra i due grandi capitalismi tedesco e inglese”, bastò il passare di qualche giorno perché “Le stragi del Belgio [e] la violenta distruzione in Francia” gli palesassero che “oltre l’interesse erano in gioco anche dei grandi valori morali”. In quel torno di tempo giunse voce a Morisi che Oltralpe si stava approntando un corpo di volontari, al comando di Peppino Garibaldi. Così lui, che, sebbene ancora antimilitarista, “era portato a simpatizzare” per il garibaldinismo, si convinse a partire. Lasciata la famiglia giunse a Ventimiglia ma, non avendo seguito con attenzione le indicazioni fornitegli, presa la via del lungomare, fu fermato dai Carabinieri, arrestato e condotto nel carcere della cittadina ligure dove trovò altri suoi “amici di sventura”, volontari fermati nel tentativo di oltrepassare il confine.
Dopo qualche giorno, Morisi fu tradotto presso il carcere milanese di San Vittore, e di lì a quattro giorni nel penitenziario di Lecco: “un pensiero mi crucciava: dover arrivare alla mia città, così legato come un malfattore comune, fra le persone che mi conoscevano e non potevano sapere che cosa avessi fatto. Ma per volontà del porco governo italiano bisognava subire anche quello, e d’altronde, chi come noi rivoluzionari si mette fuori della legge per una causa di libertà, contro tutti i loschi interessi politici, deve essere pronto a tutto”. Giunto nella cittadina del comasco, appena smontò dal treno Morisi, così si rivolse ad un amico, mostrando le manette: “Vedi... perché volevo andare volontario in Francia, come mi trattano?”. Tornato libero e raccontata la sua fallita impresa, si mise subito all’opera per trovare nuovi mezzi ed un nuovo percorso per recarsi oltre il confine francese.
Nel secondo tentativo di raggiungere i centri di arruolamento dei garibaldini, Morisi fu accompagnato dall’anarchico individualista Antonio Pavoni.
Sempre circospetti, i due partirono per la Svizzera, non facendone parola con nessuno. Senza troppi intoppi, Morisi e Pavoni giunsero finalmente a Lione, da dove si portarono poi a Montélimar, sede di uno dei depositi del 4° Reggimento di Marcia del 1° Straniero. Arrivati sul tardi nella cittadina della Drôme, Morisi venne riconosciuto dal vecchio amico Gino Coletti, “col quale avevamo fatto vita in comune a Bologna” (v. scheda). Arruolatosi il giorno seguente, il 19 ottobre, fu assegnato alla 4a compagnia del I battaglione - la “compagnia dei sovversivi” - guidata da un altro suo amico, il tenente Carlo Bazzi. La notizia dell’ingaggio dei due lecchesi giunse con qualche mese di ritardo in patria: solamente il 30 gennaio 1915 il giornale locale “Il Prealpino” avrebbe dedicato loro un trafiletto.
Nel novembre giunse l’ordine di trasferimento a Mailly-le-Camp: poco prima della partenza, giunse voce che chi non aveva una buona vista non sarebbe stato schierato in linea. Morisi, affetto da una grave miopia, ed altri, protestarono vigorosamente: dinanzi al grido di “tutti vogliamo andare al fronte, perché qui siamo venuti per batterci”, gli ufficiali non fecero più alcuna opposizione. Le giornate a Mailly non scorrevano, al contrario di Montélimar, in maniera monotona: esse “erano belle e tutte le mattine si andava in mezzo a queste grandi distese, macchiate qua e là di boschetti a fare le necessarie esercitazioni col fucile. Alla sera eravamo liberi e si andava a passare qualche ora in un caffé […]”. A metà dicembre arrivò il tanto agognato ordine di dispiegamento al fronte: “Tutte le facce erano raggianti: tutti cantavano”. La marcia verso la foresta delle Argonne vedeva in testa al reggimento “alcune bandiere tricolori, il simbolo eterno della patria lontana. Tutti cantavano, inni di guerra, inni sovversivi”. Nell’annunciare che il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano la Legione sarebbe entrata in azione, si interrompono i brevi Ricordi di un garibaldino, un dattiloscritto di 14 pagine che Morisi redasse come memoria di quell’impresa. Egli prese parte a tutti e tre i combattimenti che così ricorda: “Non so descrivervi l’emozione nel vegliare in mezzo a questi boschi, intorno a dei grandi fuochi, colle coperte sulle spalle in attesa del momento supremo. Sembrava un accampamento di fantasmi, qualche cosa di indescrivibile”.
Dopo lo scioglimento del corpo rientrò a Lecco, dove giunse il 16 aprile: nei suoi riguardi riprese un’“opportuna” vigilanza da parte delle autorità. Venne assunto dall’Ufficio Municipale in qualità di impiegato scritturale ma, il 25 febbraio 1916, fu richiamato sotto le armi (matricola n. 16612) ed assegnato al deposito del 77° Reggimento Fanteria, Brigata Toscana. Giunto in zona di guerra nel marzo, fu subito riformato per miopia su decisione dell’Ospedale Militare di Brescia, e di conseguenza congedato. Fatto ritorno a Lecco, quale fervente propagatore del credo interventista, divenne corrispondente per il “Popolo d’Italia” mussoliniano, dalle cui colonne attaccava veementemente i neutralisti della zona.
Da un’annotazione del 16 luglio 1918 appuntata sul suo fascicolo del CPC, risulta che Morisi il 22 aprile precedente era stato nuovamente richiamato ed arruolato nel 15° Reggimento Fanteria di stanza a Forlì. Ciò non emerge però dal suo foglio matricolare, che per l’anno 1918 annota solamente l’annullamento dei suoi atti di consegna e la sua incorporazione come “militare di 1a categoria”. Va inoltre sottolineato che il deposito del 15° Reggimento Fanteria non era dislocato in Romagna, bensì a Caserta, mentre a Forlì era di stanza l’11° Reggimento Fanteria, Brigata Casale. Non essendoci ulteriori annotazioni che possano dirimere questo nodo, non si può affermare con certezza se ed in quale reparto Morisi abbia effettivamente servito negli ultimi mesi della guerra.
Di qualche aiuto può essere ancora la scheda biografica redatta da Andalò nel 1941 che, sulla scorta di dati forniti dallo stesso biografato, riporta un elenco di medaglie con cui fu decorato Morisi al termine della guerra: una Medaille Militaire francese, equivalente alla Medaglia d’Oro italiana, una Medaglia di Verdun per aver combattuto in quella zona e due Croci di Guerra per la campagna del 1915-18. Come abbiamo visto però, fu ben scarso l’apporto dato da Morisi alla causa italiana in quel torno di tempo, se si pensa infine che non gli fu concessa alcuna “dichiarazione di buona condotta” in quanto servì meno di tre mesi sotto le armi.

Nel 1919 Morisi si trasferì a Milano, dove oltre a continuare il lavoro di reporter per “Il Popolo d’Italia”, divenne redattore capo de “La Diana Garibaldina”, il nuovo quindicinale della Federazione Nazionale Garibaldina. Il 23 marzo aderì all’adunanza di Piazza San Sepolcro, di cui fu protagonista con la presentazione di un ordine del giorno, approvato per acclamazione, che plaudiva i “lavoratori di Dalmine e di Pavia che nelle loro legittime battaglie di classe non hanno obliato i doveri verso la Nazione”. Morisi richiamò così l’attenzione dell’adunata allo “sciopero produttivo” messo in atto dalle maestranze della Franchi-Gregorini di Dalmine (Bergamo) tra il 16 ed il 17 marzo precedente, un’occupazione autogestita che fu interrotta solamente dallo sgombero attuato dai 1.500 soldati fatti affluire appositamente dal capoluogo orobico. Al termine di quella giornata, che gli fece guadagnare i galloni di sansepolcrista, fu nominato membro del Comitato Centrale di quel nascente organismo. Successivamente, nel maggio, fu chiamato a far parte anche della Segreteria Nazionale dei Fasci. Da Milano Morisi partì nel giugno con il compito di propagandare il programma dei Fasci di Combattimento, concorrendo alla loro creazione laddove fosse presente il giusto humus politico, sociale e culturale: Stradella, Modena, Piacenza e Lugo, Ferrara, Ravenna...

Nel settembre, quando Gabriele d’Annunzio occupò Fiume, Morisi partì da Milano assieme a quattro compagni in direzione della città istriana, con due camion carichi di gomme per aeroplani ed olio lubrificante. Giunti a Mestre, i cinque riuscirono ad imbarcarsi su un piroscafo per Pola, a bordo del quale evitarono fortunosamente il controllo dei Carabinieri. A Fiume Morisi rimase a lungo, facendovi ritorno più volte durante il periodo di reggenza dannunziana. A detta sua, lo stesso Comandante, “grato di quanto avevo fatto, mi disse che potevo essere considerato un legionario fiumano […] anche se non ho avuto la ventura di vivere le tragiche giornate di sangue”.
Una volta tornato da Fiume, Morisi, in qualità di Segretario amministrativo del Fascio di Milano, incarico a cui assurse nel luglio 1920, organizzò un ricevimento per i legionari di ritorno dai Balcani nel foyer del Teatro Lirico a cui partecipò anche Benito Mussolini, prodigandosi poi in opere di assistenza per i volontari più bisognosi.
Nella primavera 1921, assunto il comando del Fascio di Milano poche settimane prima delle elezioni politiche nazionali, guidò la campagna elettorale che vide per la prima volta Mussolini eletto deputato alla Camera del Regno, nel collegio Milano-Pavia, dove raccolse oltre centoventimila preferenze.
Si trasferì poi a Padova, nel dicembre successivo, chiamato alla guida dei fascisti locali; segretario federale a Vicenza, era di nuovo massimo esponente del fascismo patavino quando alla fine dell’ottobre 1922 partecipò alla Marcia su Roma. Dismessa quella carica politica nel gennaio 1923, nel luglio 1924 era occupato a Ventimiglia presso l’Ufficio di emigrazione in qualità di impiegato straordinario. È in questo torno di tempo che Morisi fu proposto per la radiazione dal CPC, approvata il 4 agosto 1924. Negli anni Trenta divenne propagandista dei Fasci Italiani all’Estero, tenendo anche conferenze in varie località della Francia sul tema del corporativismo, dinanzi a platee composte quasi interamente da operai italiani.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, nell’aprile 1941, a seguito dell’occupazione italiana della costa adriatica ed il conseguente smembramento dello stato jugoslavo, la città di Cattaro (Kotor, nell’odierno Montenegro) ed il suo circondario furono annessi al Regno d’Italia andando a costituire l’omonima provincia. Morisi fu scelto per ricoprire l’incarico di Segretario Federale cittadino. Tra il maggio del 1941 e l’aprile del 1942, Morisi fu membro di diritto del Consiglio Nazionale del PNF, ma anche Consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

All’indomani della caduta di Mussolini, aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Nella seduta del Consiglio dei Ministri tenuta a Salò il 27 ottobre 1943 fu approvata una riorganizzazione a livello prefettizio che portò alla nomina di quarantatré nuovi “capi provvisori delle province”: l’ex consigliere nazionale Morisi fu chiamato a ricoprire quella carica a Pescara, che conservò finché non fu collocato “a disposizione del Ministero dell’Interno” il 16 gennaio 1944.
Morì a Legnago (Verona) all'età di 61 anni.

Andrea Spicciarelli

FONTI E BIBLIOGRAFIA: U. G. Andalò, Celso Morisi in Schede bibliografiche S.I.A., Bologna, [s.n.] 1941, pp. 95-103; Archivio Centrale dello Stato, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana. Settembre 1943 - Aprile 1945, vol. I, a cura di F. R. Scardaccione, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale per gli Archivi 2002, pp. 13-19, 223-233; A. Benini, Organizzazione operaia e movimento socialista a Lecco (1861-1925), Lecco, Biblioteca Civica Lecco s. d., pp. 128-130; L. Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, Vol. I, tomo 1, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze, Crescita politica 1972, pp. 231-233; G. Chiostergi 1965, pp. 284-285; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Torino, Einaudi 1995, pp. 503, 511n; M. Gandini, Raffaele Pettazzoni dalla nascita alla laurea (1883-1905). Materiali per una biografia in “Strada maestra. Quaderni della Biblioteca comunale G. C. Croce di San Giovanni in Persiceto”, 27(1989), pp. 99-105, 162-163n; R. Garibaldi, I fratelli Garibaldi dalle Argonne all'intervento, [Milano, Tip. Camba Livio] 1933, p. 218; M. Giampaoli, 1919, Roma-Milano, Libreria del Littorio 1928, pp. 114, 125-140; H. Heyriès, Les Garibaldiens de 14. Splendeurs et misères des Chemises Rouges en France de la Grande Guerre à la Seconde Guerre Mondiale, Nice, Serre Editeur 2005, p. 560; M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF. Gran Consiglio, Direttorio nazionale, federazioni provinciali. Quadri e biografie, Roma, Bonacci 1986, p. 245; A. Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara (1918-1921), Milano, Feltrinelli editore 1974, pp. 46-50; N. S. Onofri, Morisi Celso in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Pisa, BSF 2004, ad nomen; Come un garibaldino persicetano descrive la battaglia delle Argonne in “L’Avvenire d’Italia” (15 gennaio 1915); Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, b. 3423, Morisi Celso (1910- 1924); Archivio di Stato di Bologna, Distretto Militare di Bologna, Ruoli Matricolari, 1885, Morisi Celso di Cleto; Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna, Fondo Speciale Bussolari, b. 40 (Storia Profana – cognomi MAR-MZ – Riferimenti Milano A2), C. Morisi, Ricordi di un garibaldino; Comune di Legnago (Verona), Atti di morte, 1946, ad nomen; Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, Archivio Generale Fiumano, Legionari, ad nomen.

Scheda originariamente pubblicata in Tra Nizza e le Argonne. I volontari emiliano romagnoli in camicia rossa 1914-1915, a cura di M. Gavelli e F. Tarozzi, "Bollettino del Museo del Risorgimento", aa. 2013-2016, pp. 234-239. Ultimo aggiornamento: 14 settembre 2021.