Monzuno, (BO)

Monzuno, (BO)

1943 | 1945

Scheda

Dopo l'8 settembre 1943, a Vado e a Monzuno furono subito recuperate le armi abbandonate da piccoli reparti del disciolto esercito. A seguito degli indirizzi diffusi dall'organizzazione comunista provinciale, venne dato l'assalto al deposito del grano (v. Bologna). "I tedeschi - ha scritto Dario Zanini - con un gesto di prepotenza cominciarono ad asportare del grano dai magazzini di Vado dove era stato ammassato dopo la trebbiatura dalle varie frazioni del comune. Si temette che la gente potesse rimanere senza pane. La mattina del 10 settembre si sparse una voce che aveva dell'incredibile: dietro consiglio dell'arciprete don Eolo Cattani, si era costituito un improvvisato comitato popolare, come di salute pubblica, che aveva preso la determinazione [... ] di distribuire il grano dell'ammasso a tutti i cittadini: 50 Kg. a testa".

Nei giorni successivi, si svolsero diversi incontri fra anziani antifascisti, ex militari e giovani, per dar vita a gruppi armati. Una riunione operativa avvenne a fine ottobre nella sagrestia della chiesa di Vado, presenti oltre a don Cattani (che era stato un lodatore del fascismo negli anni dell'avvento, ma che ne era divenuto un critico nel corso dei ventennio), Umberto Crisalidi (già capolega prefascista a Monzuno), Leonildo Tarozzi (già segretario della Camera del Lavoro zonale di Vergato nel primo dopoguerra, condannato dal Tribunale Speciale nel 1927 ad oltre 14 anni di carcere), Mario Musolesi, chiamato "Lupo" (che aveva combattuto il 9 e 10 settembre 1943 a Porta S. Paolo a Roma contro i tedeschi), Giovanni Rossi, Giorgio Ugolini ed altri ancora. Fu deciso di passare all'azione contro i nazifascisti e "Lupo" fu designato a comandare i volontari che si sarebbero aggregati in armi. La prima clamorosa azione ad opera del gruppo monzunese fu un sabotaggio compiuto sulla linea ferroviaria della "Direttissima" Bologna-Firenze. Mentre si registravano gravi insuccessi dei primi sforzi condotti al fine di insediare bande partigiane sulle montagne sovrastanti Bologna (tanto che nuclei di partigiani bolognesi vennero inviati nel Veneto e si formularono ipotesi di "impossibilità naturale" a condurre la guerriglia sull'Appennino), la formazione guidata dal "Lupo" andò prendendo rapidamente consistenza.

Il successo di tale insediamento fu favorito almeno da due elementi: in primo luogo, i partigiani avevano perfetta conoscenza dell'ambiente, essendo il Musolesi, i suoi fratelli e i loro primi compagni d'azione tutti nativi della zona e, in secondo luogo, la scelta della popolazione di aiutare i partigiani non fu ostacolata dalla iniziale, comprensibile, riluttanza verso uomini armati venuti "da fuori", ma fu favorita dalla conoscenza dei compaesani impegnati in una lotta sentita dai più. I primi gruppi datisi totalmente alla macchia e quelli che si formarono nei mesi successivi prendendo il nome di Distaccamento "Stella Rossa", inizialmente, si insediarono in singole case contadine, sui pendii ai lati del torrente Setta e su Monte Venere. Poi al Distaccamento si unirono gruppi armati costituitisi a Marzabotto, a Grizzana ed oltre. Aumentando il numero dei volontari fu necessario estendere le basi di rifugio, di vettovagliamento, d'assistenza. Allora la zona d'insediamento si allargò, salì sull'altopiano ai piedi di Monte Sole, nei borghi e nelle case dei dintorni e quindi sull'intero acrocoro e in tutto il territorio, fra il Setta ed il Reno, dei comuni di Monzuno, di Marzabotto (v.) e di Grizzana (v.). Nella primavera del 1944 - secondo il diario della Brigata il giorno 11 aprile - lasciato Monte Venere, il grosso della formazione si attestò attorno a Monte Sole, a "venticinque chilometri a sud delle vecchie mura di Bologna, quasi al limite settentrionale della dentellata catena dell'Appennino Tosco-emiliano", si ingrossò coll'arrivo di nuovi partigiani provenienti ancora dai comuni che fanno da corona ai tre originari e numerosissimi dalla città di Bologna e da altri comuni della pianura. Anche nel numero il distaccamento divenne Brigata (che d'ora in poi chiameremo Brigata Stella Rossa (B.S.R.), come fu in uso in quel tempo), forte di alcune centinaia di uomini, sempre comandata dal "Lupo".

L'attività della B.S.R. fu complessivamente unica, nel territorio suo proprio e anche nei territori che occupò saltuariamente, quando a seguito di rastrellamenti tedeschi e fascisti - come è necessario fare nella guerra di guerriglia - dovette spostarsi alla sinistra del fiume Reno verso il modenese o alla destra del torrente Setta, nella zona attorno a Pietramala (Firenzuola). L'attività fu unitaria anche nei momenti segnati dalle puntate e dai colpi di mano che, senza soluzione di continuità, operarono gruppi più o meno numerosi di partigiani per attaccare sedi, mezzi ed uomini avversari o per conquistare armi, munizioni, vestiario e generi alimentari. Le azioni partigiane nel monzunese furono numerose, multiformi e di intensità diversa nel corso dei mesi. Qui di seguito, attenendoci alla scelta di trattare delle vicende relative ai singoli comuni, evidenziamo solamente quelle emergenti compiute nell'ambito del territorio comunale.
A Monzuno il 28 gennaio 1944 fu attaccata la caserma della GNR e il 15 febbraio successivo fu ripetuto un attacco ai fascisti causando loro la perdita di cinque militi.
L'educatrice orsolina Antonietta Benni (fortunosamente scampata alla morte sotto un cumulo di persone massacrate nell'oratorio di Cerpiano il 29 settembre 1944) ricordò che: "Fin dal gennaio 1944 in tutta la zona [...] comparvero i così detti "ribelli", i partigiani, che via via andavano crescendo di numero [...] Gradatamente le loro fila si ingrossarono ed in molte case cominciammo ad incontrare dei gruppi, perché si accampavano alla meglio nei fienili e nelle stalle. I contadini facevano loro da mangiare [...] la loro organizzazione andava perfezionandosi".
Nella notte del 29 febbraio un agente fascista, penetrato nella base partigiana, attentò alla vita del "Lupo" e del vice comandante della B.S.R., Giovanni Rossi, i quali furono colpiti da diverse pugnalate. Il "Lupo" fu costretto, per diversi giorni, a curarsi le ferite e fu ricoverato a Ca' Righeto, sulla sponda sinistra del Setta.
Nella prima quindicina di marzo, nella galleria della "Direttissima" tra Pianoro e Vado, una squadra della B.S.R. sabotò un treno provocando la distruzione di 44 vagoni carichi di munizioni e benzina.
Il 3 maggio Guido Musolesi, fratello del "Lupo", venne catturato assieme ai genitori nella loro abitazione, a Ca' Veneziani, da militi della GNR che immediatamente dopo diedero alle fiamme l'edificio.
Aerei angloamericani, il 18 maggio, bombardarono il ponte della ferrovia "Direttissima" di Vado sul Setta (con sette archi di luce di m. 20 e sette di m. 25), che venne quasi totalmente distrutto, colpendo anche gravemente tutto l'abitato circostante e provocando numerose vittime. Alcuni giorni dopo la B.S.R. ebbe, nei pressi di Casa Casoncello di S. Nicolò, un primo aviolancio ottenuto tramite emissari dell'OSS e consistente in fusti di vario peso contenenti munizioni, bombe a mano, mitragliette "Sten", pistole automatiche, indumenti, generi di conforto.
Nel giugno i partigiani compirono due azioni a Vado: il 10 giugno tesero un'imboscata ad un reparto tedesco e, il 29, assaltarono e danneggiarono un deposito di munizioni contraeree tedesche.
Il 14 luglio la 3a compagnia, seguendo un piano di Otello Musolesi, parente del "Lupo", catturò cinque fascisti di Monzuno (il reggente del fascio comunale, il comandante di presidio della GNR e tre squadristi) che, a fine luglio, vennero dati in cambio della liberazione di Guido Musolesi (Dizionario) e dei suoi genitori.
Sempre la 3a compagnia, il 22 dello stesso mese, alle 13 entrò nell'abitato di Monzuno per assaltare la caserma della GNR. Mentre l'operazione era in corso ci fu l'intervento di un gruppo di tedeschi che accese un conflitto a fuoco concluso con l'uccisione di un sottufficiale e di un milite. I partigiani riuscirono inoltre a sottrarre ai fascisti una vettura e due fucili mitragliatori con molte munizioni. A Polverara, presso Vado, il 27 luglio vi fu uno scontro con una pattuglia tedesca che ebbe una vittima.
Scendendo da Monte Venere, nella notte del 5 agosto, la 3a compagnia, in località S. Niccolò si scontrò con una pattuglia tedesca e affrontò un combattimento per circa 20 minuti e poi durante una marcia di perlustrazione eseguì tagli di fili. Un gruppo di tedeschi, il 18 successivo, tentò una puntata di sorpresa contro il 2° Distaccamento della B.S.R., ma dopo quattro ore di combattimento fu costretto a ritirarsi lasciando sul terreno 7 morti. Nella galleria della "Direttissima" fra Vado e Grizzana i tedeschi, per ripararli dai bombardamenti, avevano raccolto diverse decine di carri merci e di carrozze viaggiatori riempiti di materiale bellico e industriale (motori di aereo, cannoncini, parti importanti di macchine utensili, lamiere di rame, corame, ecc.) e di alimentari (in misura preponderante sale) frutto di razzie in depositi militari e magazzini civili della Toscana e destinati ad essere inviati in Germania. Nella galleria tra Vado e Pianoro erano invece stati raccolti numerosi vagoni carichi di materiali destinati al fronte che i tedeschi tenevano sulla Linea Gotica. I due convogli attendevano che una riparazione di fortuna fosse eseguita al ponte sul Setta a Vado e che fosse così consentito il transito nelle due direzioni almeno su un binario. Ai primi di settembre, visto che il ponte era riparato, il comando della B.S.R. inviò una squadra a sfrenare il lungo convoglio fermo nella galleria a monte. Sbloccati i carri e le locomotive, il convoglio s'avviò precipitosamente verso Vado poiché in quel tratto la ferrovia ha una forte penitenza. I primi carri passarono oltre il ponte che traballò e arrivarono alla stazione di Vado, dove la ferrovia torna a risalire. Sotto l'urto violento degli altri carri, con un forte boato, il ponte crollò facendo precipitare nel greto del torrente e su parte dell'abitato carri, carrozze e locomotive che s'accavallarono e si schiantarono. Fu l'ultimo crollo del ponte, poiché i tedeschi rinunciarono al rifacimento.
A seguito della uccisione di due ufficiali tedeschi a Ca' del Sarto di Rioveggio avvenuta il 7 settembre, le SS tedesche effettuarono un rastrellamento nel corso del quale catturarono una trentina di uomini, fra cui ne scelsero cinque. Altri sette li catturarono fra lavoratori che transitavano sulla strada. Tutti i dodici rastrellati la mattina del giorno 8 furono trasferiti nell'asilo di Pontecchio in comune di Sasso Marconi, dove i tedeschi aggiunsero altri tre catturati fra i passanti. Nel pomeriggio tutti i 15 vennero poi portati al di là del Reno in località Rio Conco di Vizzano, e dopo esser stati costretti a scavarsi la fossa furono uccisi da raffiche a mitraglia: erano 7 monzunesi (Raffaele Bartolini, Antonio Cioni, Gaetano Sordi, Corrado Zanini, Mario Zanini, Tonino Zanini, Antonio Tonino Zuardi), 2 di Grizzana, 3 di San Benedetto Val di Sambro, 2 di Loiano e un toscano la cui identità è rimasta ignota.
11 16 settembre in località Brigola, presso Rioveggio, un gruppo di partigiani iniziò uno scontro con una pattuglia della Wehrmacht che venne bloccata. Il combattimento si protrasse allorché giunsero rinforzi tedeschi, che piazzarono un cannone anticarro dalla strada di Val di Setta oltre il torrente. I partigiani cambiarono posizione e contrattaccarono: mitragliarono automezzi sulla strada e una villetta sede di un comando tedesco. Il 21 settembre, nella mattinata, da parte di un gruppo della B.S.R. fu tentato un assalto al municipio, che aveva sede a Vado dal 1930, per distruggerne gli archivi, ma all'arrivo di una pattuglia tedesca vi fu una sparatoria che si concluse con l'uccisione di due soldati. Nel pomeriggio, un altro gruppo, nella frazione di Trasasso, attaccò un'auto con a bordo quattro militari tedeschi, tre dei quali morirono, e recuperò armi e documenti topografici. Due giorni dopo, in località Bettola, un gruppo di partigiani, attaccò un camion tedesco: uccise i conducenti, recuperò un fucile e la posta che trasportava e poi fece saltare il veicolo con bombe a mano. Il 26, alcuni partigiani, in località Acquafresca, attaccarono una motocarrozzetta porta ordini, uccidendo i due motociclisti e dovettero affrontare uno scontro a fuoco con una pattuglia tedesca sopraggiunta poco dopo.
All'alba del 29 settembre i tedeschi, guidati da gerarchi e militi fascisti, diedero inizio al rastrellamento predisposto per annientare la B.S.R. e distruggere tutto sull'intero altopiano e nei dintorni. L'operazione si protrasse per sette giorni e va sotto il nome di "strage di Marzabotto" (v.). I partigiani si opposero all'avanzata dei tedeschi: oltre al lungo combattimento a Cadotto, in comune di Marzabotto (v.) - dove venne ferito mortalmente il comandante della B.S.R. "Lupo" - nel corso della giornata sostennero dei brevi scontri specialmente al centro dell'altopiano attorno a Monte Sole, su Monte Salvaro, in territorio di Grizzana (v.) ed in altre località (in un rapporto militare tedesco del 1° ottobre si afferma che nei giorni 29 e 30 settembre in 21 luoghi avvennero combattimenti e scaramucce, che provocarono loro perdite, la cui entità complessiva non è stata mai dichiarata interamente). Nel territorio compreso fra il Setta e il Reno, nei giorni fra il 29 settembre e il 5 ottobre, i tedeschi compirono decine e decine di eccidi di anziani, uomini, donne e bambini, in chiese, locali pubblici, in singoli casolari e lungo strade, mulattiere, ecc.
In territorio di Monzuno il maggiore fu quello compiuto nell'oratorio di Cerpiano. Ecco come l'ha raccontato l'orsolina Beimi: "Arrivano i tedeschi. Fanno salire queste 49 persone dalla cantina alla cappella attigua al "Palazzo": sono 20 bambini, due vecchi quasi invalidi e 27 donne fra le quali tre maestre. Chiudono accuratamente le porte e poi... comincia il getto fatale delle bombe a mano. Sono le nove del mattino e 30 vittime sono immolate [...] Feriti che si lamentavano, invocando disperatamente aiuto; bimbi che piangevano, mamme che tentavano proteggere le creature superstiti. Una donna, Amelia Tossani, voleva fuggire ad ogni costo: aperta la porticina laterale è stata da un tedesco di guardia freddata sulla soglia, sicché il suo corpo è rimasto metà dentro e metà fuori e la notte i maiali randagi ne hanno rosicchiato il capo fra l'orrore di chi, impotente, assisteva a tale spettacolo. 11 povero vecchio Pietro Oleandri ha sentito una sua mucca muggire: non ne può più di stare in mezzo ai morti fra i quali c'è la buona sposa del suo unico figlio prigioniero in Germania e due dei nipotini amatissimi. Prende per mano un terzo nipote superstite di cinque anni e sta per uscire: una raffica... un uomo e un bimbo sono nell'eternità. Intanto nell'attigua casa i carnefici gozzovigliano: suonano l'armonium come fosse festa, mangiano ciò che trovano (per esempio centinaia di uova in calce), spargono a terra tutto ciò che non possono mangiare: grano, riso, fagioli cospargendoli di porcherie. Carte e libri e documenti... tutto buttato all'aria con la frenesia dei vandali. Ma le povere vittime della Chiesina non le abbandonano un minuto: hanno aperto un buco nella porta e di là sghignazzano sinistramente. Dopo 28 ore di questa terribile agonia, i 16 superstiti sentono la loro condanna: fra venti minuti tutti "Kaput" e i fucili vengono caricati rumorosamente per poi scaricarsi poco dopo su quei poveretti: altre 13 vittime! E un cartello di legno è posto sulla porta di quella insolita camera mortuaria: "questa è la sorte toccata ai favoreggiatori dei partigiani" ". Dal mucchio di cadaveri, dopo 33 ore, emersero ancora vivi la suora orsolina e due bambini di 6 e 8 anni. Il 5 ottobre, Monzuno, collocato sulla cima di un monte a m. 621 s.l.m., fu liberato. Il 6 novembre 1944, su designazione del CLN e con l'approvazione dell'AMG, vennero nominati i componenti della Giunta comunale ed il sindaco Celso Menini.
La frazione di Vado, che era di gran lunga la più importante del comune, restava ancora, con gran parte del territorio monzunese, nelle mani dei tedeschi. Gli occupanti, compirono altri eccidi a Brigadello, Nuvoleto, Palazza, Pietre Grosse e a Ca' Dizzola dove, il 19 ottobre, uccisero sette persone. L'ultimo territorio monzunese, compreso Vado, con l'abitato completamente distrutto dai bombardamenti, venne liberato nell'aprile 1945.
A seguito di meticolose ricerche compiute dal Comitato Regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto, nel 1994-95, circa il numero delle vittime provocate dai nazifascisti, sono stati conseguiti i risultati non ancora definitivi, ma fondati su basi certe di carattere anagrafico e documentario, che qui registriamo.
Nella lotta partigiana e nella immane tragedia delle rappresaglie e degli eccidi compiuti attorno a Monte Sole sull'acrocoro e nei centri abitati, in territorio di Monzuno e in altri luoghi dove operarono i partigiani della B.S.R., monzunesi caduti in combattimento o colpiti per cause varie di guerra, risultarono complessivamente: 374 morti, 181 dei quali uccisi dai nazifascisti e 193 deceduti per cause varie di guerra. Fra le vittime dei nazifascisti furono 28 bambini fino a 12 anni, 38 anziani ultrasessantenni, 61 donne (escluse le minori di 12 anni e comprese le ultrasessantenni).

Fonte: L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998  

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Antifascismo e lotta di Liberazione
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Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998

Alla ricerca del tempo futuro
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