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Monumento a Pietro Bartoletti

1898

Schede

Imponente, maestoso e di indubbio impatto emotivo, il monumento funerario realizzato per il sepolcro della famiglia Bartoletti, si inserisce a buon titolo tra le più alte realizzazioni dello scultore romagnolo Tullo Golfarelli (1852 1928). Commissionato dagli eredi nel 1897, in seguito alla morte del capofamiglia Pietro, già amministratore e possidente di uno dei maggiori patrimoni terrieri cittadini, il gruppo scultoreo interpreta e traduce il tema dell’armonia tra il cielo e la terra. Articolato su due livelli, il monumento pone in primo piano una giovane donna appoggiata con il braccio destro alla bara posta di lato, riccamente ornata con un panno funerario dal fine intarsio attorno alla croce latina, su cui capeggia la scritta Pax. Ottimamente modellata nella veste dalle duttili e morbide pieghe, la donna giace assopita ed abbandonata con il suo carico simbolico di generatrice di vita, emblema della sensualità e malinconico segno della fugacità della bellezza. Golfarelli la propone nell’iconografia dell’Agricoltura, come richiamano la corona di spighe che le cinge il capo, il manico del falcetto che stringe nella mano sinistra abbandonata lungo il corpo e l’alberello fiorito alle sue spalle.

Questa soluzione gli permette di evocare astrattamente l’immagine del defunto nella sua attività terrena e contemporaneamente di idealizzare la figura come simbolo della Terra. Il volto, non contratto dal dramma del dolore, è qui proposto in una forma composta, dove gli occhi chiusi, richiamano alla rassegnazione per l’ineluttabilità della morte. Alle sue spalle il concetto ispiratore si esplica simbolicamente in una fuga di anime, ben movimentata e compressa, trasportate vorticosamente, come da una bufera, attorno allo zodiaco, da oriente a occidente, all’insù verso il cielo. Il gruppo, finemente cesellato, fluttua cercando e intrecciando corrispondenze affettive. Accade così al vecchio che posa la mano stanca sulla testa giovane, forse di una figlia; alla madre col lattante al quale non ha potuto ancora donare tutta la vita; agli amanti che furono strappati alla vita mentre erano nella gioia dell’amore; quella testa soave di vergine, quasi dormiente, e l’altra che cerca con lo sguardo il cielo lontano, lasciano nell’anima una tristezza indefinita, suscitano un gruppo di immagini tristi e belle di vergini pensose, di spose vaghe, di bimbi rosei, di giovani coraggiosi, che la terribile falce del tempo ha mietuto tutto d’un tratto. Il lungo panneggio che copre parzialmente i corpi delle anime sembra unirle e condurle inesorabilmente al drammatico destino che le attende. Ma dove Golfarelli sembra essersi soffermato con la più intima compiacenza è nella figura del Tempo che domina nereggiante, in bronzo, la parte alta del monumento. É il dio greco Crono, il più giovane dei Titani, personificazione del tempo e dell’eternità, che con la sua maestosa figura assisa sopra il globo, sprigiona vigore ed energia dalla postura scattante, dall’impressionante falce, ma soprattutto dal volto corrugato e furente, non meno che dalla barba minuziosamente descritta. É nella straordinaria espressività del vegliardo e, in specie, nella sua barba scomposta, “respinta dalla raffica dell’invisibile”, che il movimento dà vigore e terribilità all’intero monumento. Anche qui la rappresentazione del Tempo si fa alata secondo il detto volat irreparabile tempus, ma rispetto ad una tradizione che propone sempre ali possenti e ampie, spiegate sulla schiena, qui Golfarelli le declina con le ali di Mercurio, poste alle caviglie del terrificante vecchio. La scomposta posizione del corpo è resa ancor più mossa dall’andamento vorticoso dell’ampio perizoma, felicemente studiato, che copre in parte il corpo.

Il vecchio severo, simbolo dell’immutabilità degli eventi, in contrapposizione al divenire del cosmo, passa velocemente agitando in giro la falce micidiale ed inesorabile, recidendo le vite sottostanti di giovani e fanciulli, delle ragazze e delle madri, dei gaudenti e degli anacoreti di cui è composta la visione. Una figura terrificante e oscura che domina la scena, catalizzando su di sé tutta l’attenzione dello spettatore, proprio grazie alla scelta di Golfarelli di fonderlo in bronzo, come da consuetudine presso la ditta Bastianelli di Roma, in contrapposizione così al bianco candido del marmo impiegato nella parte inferiore della composizione. Giovanni Pascoli, amico e grande estimatore dell’arte di Tullo Golfarelli, non mancherà di sottolineare come con terribile brevità, ma con grande poesia, egli abbia saputo tradurre nel marmo tutto il visibile, sensibile e pensabile.

Monumento Bartoletti, 1898. Cesena, Cimitero urbano.

Paolo Zanfini

Testo tratto da: Silvia Bartoli, Paolo Zanfini, Tullo Golfarelli (1852 - 1928), Minerva Edizioni, 2016. Fonti: BMRBo, Album Golfarelli. Bibliografia: “Il Resto del Carlino”, 4 novembre 1898; Nella vita dell’arte, “L’araldo”, 15 dicembre 1888; Al cimitero, “Il Savio”, 21 gennaio 1900; L’arte di Tullo Golfarelli giudicata da Giovanni Pascoli, “Il Cittadino. Giornale della domenica”, 2 dicembre 1906; E. VALZANIA, Guida del cimitero urbano di Cesena. Notizie storiche artistiche, Bologna, Anonima Arti Grafiche, 1948, p. 63; P. VAENTI, Cimitero urbano di Cesena. II. Catalogo delle opere d’arte, Cesena, Comune, 1970, pp. 33-34; Sculture celebrative e ornamentali a Cesena fra Ottocento e Novecento, catalogo della mostra di Cesena (12 febbraio – 3 marzo 1983), a cura di O. PIRACCINI, Cesena, Comune di Cesena, 1982 (Cesena nella sua storia e nella sua cultura, 5); R. PIERI, Lo scultore Golfarelli fra il Pascoli e il Carducci, catalogo della mostra di Cesena, Galleria comunale d’arte Palazzo del Ridotto (4–26 febbraio 1989), Cesena, Wafra, 1989. (Edizioni della Pinacoteca Comunale di Cesena, 4), pp. 80, 105.