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Monumento a Guglielmo Marconi

1980

Schede

Il giorno che fu inaugurata la statua di Marconi all’aeroporto ero contrariato come poche volte in vita mia. Vedevo quella piccola statua che avevo immaginato in un patio all’interno dell’aerostazione, mutati i progetti dell’amministrazione, abbandonata in mezzo ad un incolto piazzale. Una storia che era iniziata l’anno precedente nel 1979, e che fino ad ora sono stato incerto se valesse la pena di raccontare. Se adesso lo faccio è perché, in fondo, è anche divertente vedere come il proposito di fare qualcosa di buono possa sfuggire di mano e trasformarsi in un problema incomodo, imbarazzante e costosissimo.

L’aerostazione era stata edificata per iniziativa della Camera di Commercio di Bologna nel 1973, e nel ’79, dopo un periodo di alterne fortune (il traffico aveva toccato la sua massima crisi nel ’78) si puntava decisamente al suo rilancio con notevoli investimenti: l’allungamento della pista a duemilacinquecento metri; nuovi e sofisticati impianti radio e nuovi e razionali edifici. In questo fervore si inserì l’iniziativa del Lions Club Valle del Reno (intitolato a Guglielmo Marconi) di donare un’effigie dello scienziato da collocare all’interno dell’aerostazione. Mi chiamò Schiavina: «Nel progetto è previsto un patio tra le sale di attesa: è un posto ottimo; studia subito qualcosa!». Era l’occasione buona per fare qualcosa di diverso dal solito cippo con busto. Pensai ad una sorta di apertura rotonda in una parete: un grande oblò dal quale balzava la figura volante di Marconi con le cuffie e un braccio teso nell’atto di premere il pulsante che accendeva le luci del Municipio di Sydney, in Australia. Idea che piacque moltissimo a Schiavina, l’anno successivo cadeva il cinquantenario di quel celebre avvenimento e l’inaugurazione della statua avrebbe potuto coincidere con quell’anniversario. Preso da irrefrenabile entusiasmo mi ero già messo a fare il modello della statua in scagliola quando arrivò un contrordine: nei progetti non c’era più alcun patio! La statua si poteva mettere solo fuori, nel piazzale antistante l’ingresso. Un colpo durissimo. Una statuetta in mezzo a quell’enorme piazzale era perduta: e poi, se non c’era più la cornice dell’oblò a suggerire l’idea del volo e a dar senso alla postura, come la raccontavo? Pensai allora ad una struttura metallica, a mezzo tra un’antenna e un simbolo, tale da richiamare l’idea delle onde elettromagnetiche che si espandevano nell’aria: il tutto sostenuto da una base abbastanza importante di pietra o di cemento.

Preparai un modellino del tutto, mantenendo la figura con il gesto e la postura dell’opera che avevo già iniziato. Sorprendentemente piacque a tutti e fu approvato, forse anche perché là fuori non avrebbe più intralciato i lavori. Ma era diventato qualcosa di tremendamente più impegnativo e costoso. Come primo passo fu ordinata alla ditta Veronesi la base. Realizzata con un monolite di travertino romano di Tivoli, ingrandendo il modello di scagliola che avevo preparato, (alla fine venne a costare da sola molto più della statua). Contemporaneamente (non da me, che ero contrarissimo) fu decisa la creazione di una collinetta con ampie alberature da innalzare come sfondo dietro al monumento. Se c’è una cosa che costa un occhio è il movimento terra: in quell’occasione poi fu un inutile spreco perché fu interrotta in corso d’opera dalla Sicurezza, poiché per evidenti ragioni (erano tempi di attentati) non si dovevano creare ostacoli al controllo visivo dell’area antistante l’aerostazione. A questo punto, fusa anche la statua a Verona da Bonvicini, era rimasta l’antenna. Sarebbe stata certamente più efficace e suggestiva in bronzo, con opportune variazioni di spessore, tali da accrescerne lo slancio, ma di fatto l’unica soluzione economicamente abbordabile era quella di costruirla in tubo di rame. Con quello fu realizzata dalla ditta Girotti curvando con le calandre i tubi, operazione eseguita con millimetrica precisione sui miei disegni. Fatta in quel modo la struttura si rivelò non molto resistente, ma la cosa non avrebbe costituito particolari problemi se non ci si fosse accorti quasi subito dell’attrazione malsana che esercitava nella mente di certi viaggiatori in attesa: attrazione che li spingeva a salirci sopra per farsi fotografare in fantasiose posture in compagnia di Marconi. Tali esercizi provocarono quasi subito deformazioni delle curvature dei tubi fino ad arrivare all’apoteosi del 1986, quando un’allegra comitiva di turisti, appena scesa da un pullman, aggrappandosi all’antenna per la foto di rito, la fece miseramente collassare. La storia non finì certamente lì, andò avanti ancora per anni, ma non posso annoiare più del lecito. Tornerò invece al suo inizio: al giorno dell’inaugurazione.

Quel giorno, come ho detto, ero amareggiato, e dopo la cerimonia “ufficiale” me ne stavo in disparte, quando mi si avvicinò un’anziana e distinta signora. Con un gesto sorprendentemente affettuoso mi prese sottobraccio e mi portò davanti alla statua. Lì si voltò e guardandomi con un’espressione che non dimenticherò mai, mi disse: «Uguale! L’ha fatto uguale». Calcando la voce su quell’uguale con vivacità lieta e divertita a un tempo. Quella signora era la vedova di Guglielmo Marconi. Io avevo risolto la figura attraverso una stilizzazione piuttosto spinta, ben conscio di rischiarne la banalizzazione, ma così non fu percepita dalla donna che era stata la sua compagna, che in quella figura quarant’anni dopo lo ritrovò, lo riconobbe con serenità e con gioia. Quelle parole mi tolsero un gran peso dallo stomaco, nonostante tutto non avevo lavorato per niente. Quel commento non era estetico, non riguardava minimamente il valore più o meno “artistico” del pezzo: era puro sentimento, la cosa che più di ogni altra per me aveva valore. Oggi potremmo chiamarla suggestione, ma così non era per gli antichi che percepivano il mondo “vivente”, cioè magico, e questo vale per il ritratto, genere a sé stante capace di toccare le corde più segrete dei sentimenti personali, come ho potuto constatare più volte. Ma vale anche negli insiemi, nelle composizioni più complesse, proprio perché animate da codici geometrici decifrabili solo per iniziazione.

Marco Marchesini

Testo tratto da "Marco Marchesini | La scultura, tante storie", catalogo della mostra, Museo civico del Risorgimento di Bologna, marzo-aprile 2022.