Molinella, (BO)

Molinella, (BO)

1943 | 1945

Scheda

Comune prevalentemente agricolo vide nascere il primo conflitto sociale con lo sciopero bracciantile avvenuto nell'anno 1886.
Collocato nella "bassa bolognese", in una zona interessata da imponenti opere di bonifica e di canalizzazione, nell'ultimo ventennio dell'Ottocento richiamò grandi masse di braccianti
e di mondine che, galvanizzate dalla predicazione degli ideali socialisti e dall'opera pionieristica di Giuseppe Massarenti, condussero fortiazioniri vendicative.
Dal primo sciopero al 1901, i lavoratori locali scioperarono 12 volte in 12 anni diversi. Definita "fucina degli scioperi e antesignana della lotta di classe", negli anni successivi,
Molinella fu teatro di scontri sociali e politici contrassegnati da momenti esaltanti e da episodi particolarmente aspri. Nel "biennio rosso", 1919-1920, le lotte agrarie nel bolognese
ebbero il loro fulcro nella plaga molinellese.
Nelle elezioni politiche del novembre 1919, il PSI, mentre nell'intera provincia di Bologna ottenne il 68% dei voti, a Molinella conseguì il 93,6%. Nell'autunno 1920 il comune, che  aveva visto maggioranze socialiste fin dagli inizi del secolo, con larghissimo margine fu riconquistato dai socialisti, che rielessero a sindaco il Massarenti.
Nel molinellese lo squadrismo fascista si scagliò contro le istituzioni e gli uomini del PSI con violenza inaudita. Di Massarenti fecero il principale bersaglio.
Il 15 maggio 1921, svolgendosi le elezioni politiche generali, nella frazione di S. Pietro Capodifiume, «una squadra di fascisti ferraresi in unione a quelli del luogo, impediscono agli elettori di votare. Bentivogli Giuseppe, Schiassi Francesco e Tullini Angelo di Molinella che si recano sul posto per vedere di che si trattava, sono fermati e minacciati di morte. A Schiassi si puntano le rivoltelle, minacciando di sparare. Col calcio di una pistola gli rompono la testa. Il Bentivogli, accerchiato, a stento riesce a mettersi in salvo.
Continuano tutto il giorno a scorrazzare e nel pomeriggio inseguono uomini e donne a colpi di rivoltella» (Fascismo, 290). All'indomani «i fascisti del luogo, nascosti dietro la siepe,
attendono l'operaio Cavazza Francesco, lo percuotono lasciandolo a terra svenuto. Un'altra squadra di fascisti di Marmorta attendono gli operai che ritornano dal lavoro, li inseguono e  li bastonano» (Fascismo, 291).
Il 12 giugno 1921, gli squadristi invasero Molinella per l'inaugurazione del loro gagliardetto e per uccidere Massarenti, il quale fu a lungo ricercato. Alfredo Calzolari, dirigente delle "Guardie Rosse" - l'organizzazione paramilitare molinellese che aveva il compito di fronteggiare le squadre fasciste - diresse l'azione che sventò l'assalto. Tuttavia Marcello Cazzola, diffusore del settimanale socialista La Squilla, fu ferocemente bastonato e pugnalato sulla pubblica piazza in maniera talmente grave che morirà il 15 agosto 1922  (Dizionario).
Giuseppe Massarenti dovette abbandonare il paese e il consigliere comunale; Giuseppe Bentivogli ebbe l'incarico di facente funzioni del sindaco.
Nel settembre 1922, per piegare la resistenza dei lavoratori, fascisti ed agrari dichiararono di boicottare gli iscritti alla CGdL nelle assunzioni di mano d'opera.
Il 12 dello stesso mese fu incendiata la Casa del popolo e, il 29, fu invasa la sede della Cooperativa agricola. Il 28 ottobre 1922, il giorno della "marcia su Roma", Giuseppe  Bentivogli, Paolo Fabbri e altri noti dirigenti socialisti locali vennero proscritti dal Comune. Furono inoltre distrutte le sedi delle Cooperativa muratori e agricola, nonché la biblioteca della Cooperativa di consumo. Nel dicembre successivo "i fascisti, usando nero-fumo, tingono la faccia a numerose donne appartenenti alle leghe socialiste e bastonano molti operai" (Matteotti,50).
Gli innumerevoli attacchi alle associazioni dei lavoratori molinellesi, le percosse e le uccisioni di singoli dirigenti e leghisti, che seguirono nel 1923, sono elencati in un fittissimo diario composto dal deputato socialista Giacomo Matteotti, raccolto nel capitolo "La conquista di Molinella" del volume "Un anno di dominazione fascista", edito dal Partito Socialista Unitario.
Sempre nel 1923, 3.000 lavoratori del comune firmarono una petizione al capo del governo Benito Mussolini chiedendo la restituzione delle loro sedi, delle quali i fascisti si erano appropriati.
Bentivogli, ritenuto responsabile di questa iniziativa popolare, fu aggredito e picchiato, mentre i beni delle cooperative vennero venduti all'asta.
Diverse famiglie e singoli molinellesi emigrarono in altri comuni e all'estero.
Nel 1924 diverse lavoratrici, che a seguito della violenza squadristica e della demagogia del fascismo, erano state costrette all'adesione al "sindacato nazionale" (para-fascista),
restituirono sdegnosamente la tessera ch'era stata loro imposta. Contro di loro, i sindacalisti "nazionali" non esitarono ad usare il vetriolo, accecando una donna e ferendone molte altre.
Le elezioni politiche del 6 aprile dello stesso anno si svolsero in un clima di terrore e di persecuzione: il bracciante Angelo Gaiani, fu assalito da un gruppo di fascisti e percosso
ferocemente a colpi di manganello all'uscita dal seggio per aver " dichiarato di votare la lista dei socialisti unitari" e morì in un ospedale di Bologna il giorno dopo.
Il 12 settembre il bracciante Angelo Frazzoni fu ferito mortalmente da un colpo di fucile, sparatogli da un fascista, nei pressi della propria abitazione, nella frazione di S. Pietro
Capofiume e morì all'ospedale il 16 seguente.
Sulle vicende molinellesi, Gaetano Salvemini, già in esilio, sulla rivista francese Europe, nel dicembre 1926 e sulla rivista statunitense Atlantic Monthly, nel giugno 1927, offrì numerosi flash illuminanti: «Gli operai [che qui sta per braccianti agricoli] rimasero fedeli alle loro leghe. Rifiutarono ogni offerta di lavoro da parte dell'ufficio di collocamento fascista. Questo voleva dire miseria assoluta. Per avere qualcosa da mangiare gli scioperanti raccoglievano lumache sulle siepi e nei prati, o andavano per campi dopo le messi a spigolare grano o granturco. La spigolatura è il tradizionale diritto dei poveri.
Il contadino italiano raccoglie accuratamente anche i più miserevoli frutti della terra. Questa spigolatura fu considerata una ribellione. Chi raccoglieva un sacco di riso o di grano poteva vivere senza mangiare il pane dei fascisti. Le spigolatrici furono cacciate via, inseguite, schiaffeggiate; le loro facce furono tinte di nero. Cinque donne che erano state  battute, presentarono querela il 27 settembre 1924, al funzionario di polizia. Furono minacciate di arresto. Un centinaio di donne raccolte davanti all'ufficio di polizia, dichiararono che anche esse avevano commesso lo stesso delitto e domandarono di essere arrestate come le loro compagne [...].
In tre soli giorni nel novembre del 1924 furono imprigionate 142 persone, molte delle quali donne. (Corriere della Sera 28 novembre 1924). Numerose forze armate presidiarono la città».
Dopo la promulgazione della legge Rocco sulla Disciplina giuridica dei rapporti di lavoro, del 3 aprile 1926, che affidò ai sindacati fascisti il diritto di rappresentanza giuridica
dei lavoratori, «539 uomini e 469 donne - continuava Salvemini - si rifiutarono di iscriversi ai sindacati fascisti. Prevalendosi di un articolo di quella legge, formarono  un'associazione " di fatto".
Seguirono giorni di oppressione ancora peggiori [ . . . ] . Il 31 maggio il Commissario di Polizia disse agli operai che avevano aderito all'associazione "di fatto": "Non possiamo uccidervi, ma vi faremo morire di fame".
Il 27 giugno il presidente dei sindacati fascisti pubblicò il seguente editto: «Molinella, 27 giugno 1926. In conformità con la legge sui sindacati fascisti (quella del 3 aprile) e allo scopo di porre fine alla irregolare ed eccezionale situazione del nostro Comune, ripetiamo che non si può dar lavoro a chi non sia provvisto della tessera dei sindacati fascisti.
Chiunque si presenti come membro di una lega libera o a qualunque altro titolo, deve essere respinto. Questa regola vale anche per la spigolatura del grano o altri cereali.
Non è giusto che chi si oppone al presente regime e perciò non vuole lavorare, tolga una parte, per quanto piccola, dei prodotti a chi se li è guadagnati col sudore della fronte.
Questo provvedimento è stato preso d'accordo col Fascio locale. Presidente, Neri Alfonso».
Il 30 giugno il Prefetto della Provincia sciolse l'associazione "di fatto" [...]. Il 1°, il 2 e il 3 luglio furono arrestate trecento donne perché spigolavano senza la tessera della Federazione fascista [...].
Nell'ottobre 1926 cominciarono le disdette. Il Times del 2 ottobre 1926, scrisse: «Seguendo l'ordine del Fascio, furono date le disdette d'affitto [...]. Ecco qui le corrispondenze inviate giorno per giorno al Corriere degli italiani di Parigi da persona che viveva nascosta nel paese: «30 settembre 1926. Qui siamo di fatto sotto legge marziale. Polizia e  carabinieri in borghese fanno perquisizioni e arrestano senza riguardo all'età e alle condizioni. Sono stati arrestati Ettore Stagni (decorato per meriti di guerra) e altri. Dieci famiglie dovranno abbandonare le case. Esse e i loro mobili saranno trasportati su camion dell'artiglieria a Bologna, dove saranno acquartierate nella vecchia caserma della dogana in Piazza Malpighi, che è stata sgombrata per l'occasione. Altri camion militari sono allineati nella piazza davanti al Tribunale di Bologna, pronti per altri sgomberi.
Dirigerà le operazioni il Vice-Questore di Bologna. Ieri (29 settembre) le donne furono ricevute dall'assessore capo di Molinella. Questi disse loro: 'Non sarete messe in mezzo alla strada: sarete portate via. Non potete rimanere più a Molinella se non entrate nei sindacati fascisti'. Lo stesso fu ripetuto dal Commissario di Polizia di Molinella [ . . . ].
2 ottobre. Ieri i camion carichi di mobili e quelli con le donne e parte dei bambini e dei vecchi hanno raggiunto Bologna. Sono stati portati tutti alla caserma in Piazza Malpighi.
Alle 8 di sera c'era ancora nella piazza due camion di mobili da scaricare. Sono stati portati via solo i mobili. Polli, porci, legna da ardere e vino abbandonati alla mercé degli altri. La caserma ove sono ora le donne, è circondata da carabinieri e polizia. A nessuno è permesso di entrarvi, eccetto i parenti abitanti in Bologna. Oggi nessuno ha dato loro da mangiare [...]».
Nel 1926, insomma, per stroncare la persistente opposizione dei socialisti molinellesi, il governo fascista effettuò la deportazione di circa 300 famiglie in vari comuni della provincia di Bologna (tra i quali Marzabotto) e in altre città del Nord, tra cui Torino. In quest'ultima città fu inviata la famiglia Bevilacqua, alla quale si unì, nel 1931, Quinto (classe 1916), che, dopo l'8 settembre 1943 sarà il massimo dirigente dei socialisti e, arrestato nel marzo 1944, sarà processato assieme ai membri del Comando militare piemontese, poi  fucilato il 5 aprile al poligono di tiro di Torino.
Nonostante tali misure l'opposizione antifascista non venne estirpata, come dimostrarono i successivi e ripetuti interventi polizieschi, gli innumerevoli arresti, gli invìi al domicilio coatto, le condanne del TS.
Durante gli anni del regime fascista, tre nativi del comune furono deferiti, processati e condannati dal Tribunale Speciale (Aula IV) e ventitré furono le assegnazioni al confino di polizia per atti d'opposizione (Confinati).
Fra i confinati furono Giuseppe Massarenti condannato nel dicembre 1926, Paolo Fabbri (che cadrà nel corso della lotta di liberazione nel febbraio 1945 a Gaggio Montano, f . ) nel
novembre 1926, Giuseppe Bentivogli nel 1926 e nel 1931, Alfredo Calzolari nel 1941.
Nel giugno 1931, mentre scioperavano le mondine di Medicina (v), quelle del molinellese si unirono alla loro lotta. Intervennero carabinieri e polizia, per fare cessare l'agitazione
e 5 mondine della frazione Selva Malvezzi furono arrestate.
Intorno al 1936 incominciarono a organizzarsi nel comune i primi gruppi comunisti. Due molinellesi perseguitati dal fascismo e riparati all'estero, dopo il luglio 1936, raggiunsero la Spagna per combattere contro i rivoltosi capeggiati dal generale Francisco Franco a difesa di quella repubblica: Mafaldo Rossi ed Egisto Rubini. Rossi (classe 1902), costretto ad  emigrare nel 1923 perché fatto segno di attentati da parte dei fascisti, fu attivo nell'Alleanza antifascista degli Stati Uniti, combatté nelle file della Brigata "Lincoln" e divenne commissario politico della Brigata Garibaldi, col grado di tenente, cadendo il 19 luglio 1937 a Villanueva del Pardillo. Rubini (classe 1906), anch'egli nella Garibaldi, fu ferito gravemente a Brunete nel luglio 1937, nel 1942 combatterà anche nei "Francs tireurs partisans" in Francia e, ritornato in Italia nel settembre 1943, sarà alla testa dei GAP milanesi, verrà arrestato e torturato e, temendo di non riuscire a resistere, si suiciderà in cella (Spagna e Dizionario).
Nel 1940, dopo l'entrata in guerra dell'Italia, a seguito dell'aggravarsi delle condizioni economiche dei lavoratori, crebbero malumore e proteste. Il maresciallo maggiore, comandante
la stazione in un promemoria riservato del 23 settembre dello stesso anno scrisse: «Verso le ore 9 di oggi, circa ottanta donne addette alla mietitura del riso in un appezzamento del
territorio di Marmorta di proprietà della Società Finanziaria Immobiliare Agricola, prima di portarsi sul lavoro che dovevano iniziare alle ore 10, si sono portate dinnanzi all'ufficio
di collocamento di Molinella per protestare circa il prezzo del cottimo per la mietitura del riso stabilito il 21 corrente dall'arbitro Console Enea Venturi mandato dalle Unioni provinciali degli agricoltori e dei lavoratori di Bologna, non essendo i rappresentanti delle stesse riusciti ad accordarsi sul prezzo stesso. Il prezzo fissato dall'arbitro predetto è di L. 90 per tornatura, prezzo che le lavoratrici ritengono inadeguato e che non consentirebbe loro di guadagnare neppure L. 3 all'ora, paga minima reclamata.
Le dimostranti, dopo avere esposte le loro lamentele, per l'intervento delle autorità del luogo hanno ripreso il lavoro. Si ritiene però necessario che le organizzazioni sindacali competenti intervengano senz'altro per appianare la divergenza poiché non è da escludere che, in caso contrario, possa verificarsi qualche altra manifestazione del genere. Questo comando ha già identificate alcune delle promotrici [cinque, come si legge in una nota a parte] della cennata manifestazione e provvederà senz'altro alla loro diffida, salvo i più gravi provvedimenti che codesto comando ritenesse opportuni».
Nel 1942, le mondine promossero un'agitazione con la quale sventarono il tentativo degli agrari di elevare a lO ore il lavoro giornaliero.
Il 26 luglio 1943 i lavoratori molinellesi festeggiarono con entusiasmo la caduta del fascismo e Bentivogli, chiamato "Liberei", parlò alla popolazione accorsa in piazza. All'indomani, l'oratore e 42 lavoratori furono arrestati e incarcerati fino al 12 agosto, quindi processati, ma assolti dal tribunale militare. Dopo l'8 settembre, la popolazione molinellese si prodigò
nell'assistere, nascondere e rivestire i militari italiani sfuggiti ai tedeschi e, a seguito degli indirizzi diffusi dall'organizzazione comunista provinciale, diede l'assalto all'ammasso del grano (v. Bologna).
Contemporaneamente, fu avviato il lavoro d'organizzazione delle forze antifasciste per la lotta contro i nazifascisti: Bentivogli, Calzolari e Luciano Romagnoli ne furono gli animatori principali.
Nei mesi che seguirono vennero attuati diversi colpi di mano per conquistare armi, diffusioni di stampa clandestina, sabotaggi contro impianti militari e sedi fasciste, seminagioni di chiodi, ecc.
Il 29 maggio 1944, le mondine scioperarono compatte per l'intera giornata reclamando il pagamento per il tempo perduto in occasione d'allarmi aerei ed ottennero piena soddisfazione.
La loro azione rafforzò l'intento di portare alla lotta tutta la categoria. Dal 10 al 21 giugno nei comuni con risaie della "bassa bolognese", si svolse, con vigore prorompente, lo sciopero generale delle mondine che, nelle aziende agricole ambientali, coinvolse le risaiole locali e le "forestiere" provenienti da comuni limitrofi (v. Bentivoglio).
Le 1.200 lavoratrici ingaggiate, si astennero dal lavoro per cinque giorni consecutivi dal 13 al 17 giugno. A Molinella, dopo il primo giorno di sciopero, i fascisti operarono numerosi arresti e le mondine protestarono sulla piazza rivendicando la scarcerazione delle compagne; i fascisti spararono in alto per impaurirle, ma esse li sfidarono insolentendoli e minacciando la loro prossima fine; nella mattinata del 14 sulla strada per la frazione di Marmorta un gruppo di mondine fu sorpreso da un'imboscata di fascisti che le schiaffeggiarono e bastonarono; una decina di donne venne schierata e contro i loro petti furono puntate le rivoltelle e i mitra; vennero minacciate d'esser fucilate; sulla piazza del capoluogo la protesta delle lavoratrici continuò, quaranta furono arrestate e cento fermate; poi a sostegno delle scioperanti un gruppo di partigiani si fece vedere nelle risaie e i fascisti non intervennero più.
Nell'estate 1944 anche nel molinellese, i partigiani cercarono di impedire o di rallentare con le armi i lavori di trebbiatura: diverse trebbie vennero bruciate e altre fatte saltare, vari militi, addetti alla scorta armata, furono uccisi, molto grano venne nascosto o diviso tra i contadini.
Per soffocare la partecipazione popolare e la crescita delle attività partigiane, la Brigata nera operò un rastrellamento nella zona di Marmorta. Catturò 8 sospetti organizzatori e militanti partigiani e 7 furono imprigionati a Bologna. Dopo essere stati interrogati a lungo e torturati, il 18 agosto, furono massacrati in via Irnerio, ai piedi della Montagnola e i loro cadaveri lasciati sul luogo per alcuni giorni per terrorizzare i cittadini. L'organizzazione clandestina e l'azione contro i nazifascisti continuò. Il 20 agosto a Molinella furono uccisi due militari delle SS. Il 15 settembre fu costituito il CLN comunale. Il 2 ottobre, nel quadro della cosiddetta "battaglia dei bovini" per impedire il depauperamento del patrimonio zootecnico, nel capoluogo i partigiani fecero invertire la marcia ad una colonna di bestiame.
Il 30 ottobre 1944 in località Tamarozza, i partigiani "matteottini" catturarono a ridosso dell'argine sinistro dell'Idice, tre tedeschi in auto. Uno era un maggiore del genio esperto in idraulica. Addosso gli fu trovata una carta topografica dei corsi d'acqua del molinellese e della zona fino a Adria, sottratta o avuta dalla Grande Bonificazione Renana.
I prigionieri dissero che avevano il compito di studiare il modo di allagare una vasta zona facendo saltare gli argini dell'Idice (così come i tedeschi avevano già fatto in altre plaghe - nell'Agro Pontino, nel Ravennate, ecc. - nel tentativo di arginare sbarchi o avanzate degli Alleati). Si affrettarono ad aggiungere che, in ogni caso, mai avrebbero allagato la zona, essendo coltivata a riso. La pietosa bugia non salvò la vita ai tedeschi. La macchina e le divise dei tre furono consegnate ai gappisti di Bologna per le loro azioni in città.
In pieno inverno i tedeschi, certi che appena sarebbe arrivata la primavera gli Alleati avrebbero sferrata l'offensiva finale, s'affannarono a costruire zone fortificate ovunque, anche nella bassa bolognese. In un rapportino inviato da Molinella al CUMER, il 24 gennaio 1945, si legge: «Lungo l'argine del fiume Reno hanno costruito molte fortificazioni di mitragliatrici e pezzi di artiglieria a distanza di 100 metri Luna dall'altra. Hanno costruito dei fortini con delle camere interne all'argine di due metri quadrati, con tre metri di terra sopra. Tedeschi e fascisti entrano dall'interno del fiume e hanno le feritoie dalla parte opposta. Le più grandi fortificazioni sono costruite ai lati dei ponti in direzione delle strade».
Il 20 febbraio 1945, si fusero ancora azione partigiana ed intervento popolare: mentre a S. Martino, i sappisti sabotarono le linee telefoniche tedesche ed asportarono segnaletica stradale tedesca, a Molinella, 50 donne, si recarono in comune per reclamare sale (anche in opposizione all'offerta nazifascista di qualche chilo di sale a chi avesse denunciato dei partigiani) ed ebbero soddisfatta la loro richiesta.
Ancora il 26 marzo una sessantina di donne, recatasi in municipio, richiese vivacemente la distribuzione di generi razionati e la liberazione di due compagne recentemente arrestate dalla brigata nera.
Il 5 aprile, tornarono a manifestare 200 donne presso le sedi di tedeschi e fascisti chiedendo la scarcerazione delle donne arrestate, la libera circolazione in bicicletta e la concessione di generi alimentari.
Il 14-15 aprile alcuni partigiani locali raggiunsero Bologna per partecipare alla liberazione della città.
Il 16 aprile 1945, mentre si recava in una base partigiana in località Morgone, Alfredo Calzolari, che aveva comandato la Brigata "Matteotti" Pianura dall'ottobre 1944 e il 29 marzo precedente aveva assunto la direzione politica della zona molinellese per il PSI, si scontrò con una pattuglia tedesca, che l'abbatté a colpi di mitra, causandone la morte avvenuta il giorno dopo.
Molinella fu liberata il 19 aprile 1945 e, due giorni dopo, il CLN locale designò a sindaco il partigiano Anselmo Martoni e i componenti della Giunta comunale. Il 21 aprile, a Bologna, fu ritrovato il corpo di Giuseppe Bentivogli massacrato dai fascisti, assieme a Sante Vincenzi, poche ore prima della liberazione della città.
Il Comune è stato decorato della medaglia di bronzo al valor militare. Questo il testo della motivazione: «La popolazione del Comune di Molinella, nota per la sua tempra morale e per la ferma decisa opposizione alla tracotanza Nazifascista, dava vita ad una lotta di resistenza attiva e coraggiosa, dando un valido e costante sostegno alle forze partigiane e fornendo il suo notevole contributo di combattenti, di sangue, di sofferenze e di distruzione».
Molinella, 9 settembre 1943 – 21 aprile 1945.

Luigi Arbizzani

LA RESISTENZA NEL MOLINELLESE
La Resistenza nel molinellese risorge nel 1943 in continuità con quella stoica, eroica e non violenta opposta al fascismo nel periodo 1922-26. Sono infatti gli stessi leader del movimento cooperativo, sindacale e socialista (G. Bentivogli, P.Fabbri, A.Calzolari, E.Minghetti, G.Pilati ecc.), unitamente ai giovani capi partigiani della Brigata “G.Matteotti-O.Bonvicini” (W.Verri, A.Martoni, A.Neri, ecc.), animati dagli stessi ideali di giustizia sociale e libertà, a rigenerarla, ad alimentarla e a portarla alla vittoria grazie principalmente al sostegno fornito dai contadini, dalle compagne staffette e da una capillare rete di collaboratori inseriti nei vari gangli della comunità locale.

Il Giudizio storico non può cambiare
Su fascismo e antifascismo non si può essere neutrali. Di fronte a certi errori ed orrori di un regime dittatoriale e di una guerra assurda, condannati senza appello dalla storia, ribadiamo la nostra posizione di sempre.
Torti e ragioni, secondo noi, restano quelli di un regime illiberale, dell’entrata in guerra senza alcun motivo con conseguente carneficina, dell’occupazione nazista del nostro Paese, delle leggi razziali con conseguente persecuzione degli ebrei, dell’avventura coloniale e delle violenze, sofferenze, persecuzioni e privazioni fisiche e morali patite dagli italiani democratici e antifascisti. Certamente c’è stata anche guerra civile, con due Italie che si sono fronteggiate e duramente combattute: una sotto l’egida tedesca(la Repubblica di Salò), l’altra per il ritorno della libertà e della democrazia, schierata a fianco delle forze Alleate.
La linea di demarcazione tra questi due schieramenti e concezioni ideali resta pertanto netta. Ecco perchè non siamo d’accordo con certi “revisionismi”, certe “riabilitazioni di personaggi”e certe reciproche legittimazioni che ogni tanto qualcuno tenta di rimettere in circolo.
Niente più odio e rancori. Questo è giusto. Ma senza dimenticare torti e ragioni, senza mettere sullo stesso piano vincitori (ai quali va tutto il nostro sostegno ideale) e vinti(che umanamente meritano il nostro rispetto).
I Partigiani della Brg. ”Matteotti-Bonvicini” di Molinella

Giorgio Golinelli


Comune prevalentemente agricolo vide nascere il primo conflitto sociale con lo sciopero bracciantile avvenuto nell'anno 1886.
Collocato nella "bassa bolognese", in una zona interessata da imponenti opere di bonifica e di canalizzazione, nell'ultimo ventennio dell'Ottocento richiamò grandi masse di braccianti
e di mondine che, galvanizzate dalla predicazione degli ideali socialisti e dall'opera pionieristica di Giuseppe Massarenti, condussero fortiazioniri vendicative.
Dal primo sciopero al 1901, i lavoratori locali scioperarono 12 volte in 12 anni diversi. Definita "fucina degli scioperi e antesignana della lotta di classe", negli anni successivi,
Molinella fu teatro di scontri sociali e politici contrassegnati da momenti esaltanti e da episodi particolarmente aspri. Nel "biennio rosso", 1919-1920, le lotte agrarie nel bolognese
ebbero il loro fulcro nella plaga molinellese.
Nelle elezioni politiche del novembre 1919, il PSI, mentre nell'intera provincia di Bologna ottenne il 68% dei voti, a Molinella conseguì il 93,6%. Nell'autunno 1920 il comune, che  aveva visto maggioranze socialiste fin dagli inizi del secolo, con larghissimo margine fu riconquistato dai socialisti, che rielessero a sindaco il Massarenti.
Nel molinellese lo squadrismo fascista si scagliò contro le istituzioni e gli uomini del PSI con violenza inaudita. Di Massarenti fecero il principale bersaglio.
Il 15 maggio 1921, svolgendosi le elezioni politiche generali, nella frazione di S. Pietro Capodifiume, «una squadra di fascisti ferraresi in unione a quelli del luogo, impediscono agli elettori di votare. Bentivogli Giuseppe, Schiassi Francesco e Tullini Angelo di Molinella che si recano sul posto per vedere di che si trattava, sono fermati e minacciati di morte. A Schiassi si puntano le rivoltelle, minacciando di sparare. Col calcio di una pistola gli rompono la testa. Il Bentivogli, accerchiato, a stento riesce a mettersi in salvo.
Continuano tutto il giorno a scorrazzare e nel pomeriggio inseguono uomini e donne a colpi di rivoltella» (Fascismo, 290). All'indomani «i fascisti del luogo, nascosti dietro la siepe,
attendono l'operaio Cavazza Francesco, lo percuotono lasciandolo a terra svenuto. Un'altra squadra di fascisti di Marmorta attendono gli operai che ritornano dal lavoro, li inseguono e  li bastonano» (Fascismo, 291).
Il 12 giugno 1921, gli squadristi invasero Molinella per l'inaugurazione del loro gagliardetto e per uccidere Massarenti, il quale fu a lungo ricercato. Alfredo Calzolari, dirigente delle "Guardie Rosse" - l'organizzazione paramilitare molinellese che aveva il compito di fronteggiare le squadre fasciste - diresse l'azione che sventò l'assalto. Tuttavia Marcello Cazzola, diffusore del settimanale socialista La Squilla, fu ferocemente bastonato e pugnalato sulla pubblica piazza in maniera talmente grave che morirà il 15 agosto 1922  (Dizionario).
Giuseppe Massarenti dovette abbandonare il paese e il consigliere comunale; Giuseppe Bentivogli ebbe l'incarico di facente funzioni del sindaco.
Nel settembre 1922, per piegare la resistenza dei lavoratori, fascisti ed agrari dichiararono di boicottare gli iscritti alla CGdL nelle assunzioni di mano d'opera.
Il 12 dello stesso mese fu incendiata la Casa del popolo e, il 29, fu invasa la sede della Cooperativa agricola. Il 28 ottobre 1922, il giorno della "marcia su Roma", Giuseppe  Bentivogli, Paolo Fabbri e altri noti dirigenti socialisti locali vennero proscritti dal Comune. Furono inoltre distrutte le sedi delle Cooperativa muratori e agricola, nonché la biblioteca della Cooperativa di consumo. Nel dicembre successivo "i fascisti, usando nero-fumo, tingono la faccia a numerose donne appartenenti alle leghe socialiste e bastonano molti operai" (Matteotti,50).
Gli innumerevoli attacchi alle associazioni dei lavoratori molinellesi, le percosse e le uccisioni di singoli dirigenti e leghisti, che seguirono nel 1923, sono elencati in un fittissimo diario composto dal deputato socialista Giacomo Matteotti, raccolto nel capitolo "La conquista di Molinella" del volume "Un anno di dominazione fascista", edito dal Partito Socialista Unitario.
Sempre nel 1923, 3.000 lavoratori del comune firmarono una petizione al capo del governo Benito Mussolini chiedendo la restituzione delle loro sedi, delle quali i fascisti si erano appropriati.
Bentivogli, ritenuto responsabile di questa iniziativa popolare, fu aggredito e picchiato, mentre i beni delle cooperative vennero venduti all'asta.
Diverse famiglie e singoli molinellesi emigrarono in altri comuni e all'estero.
Nel 1924 diverse lavoratrici, che a seguito della violenza squadristica e della demagogia del fascismo, erano state costrette all'adesione al "sindacato nazionale" (para-fascista),
restituirono sdegnosamente la tessera ch'era stata loro imposta. Contro di loro, i sindacalisti "nazionali" non esitarono ad usare il vetriolo, accecando una donna e ferendone molte altre.
Le elezioni politiche del 6 aprile dello stesso anno si svolsero in un clima di terrore e di persecuzione: il bracciante Angelo Gaiani, fu assalito da un gruppo di fascisti e percosso
ferocemente a colpi di manganello all'uscita dal seggio per aver " dichiarato di votare la lista dei socialisti unitari" e morì in un ospedale di Bologna il giorno dopo.
Il 12 settembre il bracciante Angelo Frazzoni fu ferito mortalmente da un colpo di fucile, sparatogli da un fascista, nei pressi della propria abitazione, nella frazione di S. Pietro
Capofiume e morì all'ospedale il 16 seguente.
Sulle vicende molinellesi, Gaetano Salvemini, già in esilio, sulla rivista francese Europe, nel dicembre 1926 e sulla rivista statunitense Atlantic Monthly, nel giugno 1927, offrì numerosi flash illuminanti: «Gli operai [che qui sta per braccianti agricoli] rimasero fedeli alle loro leghe. Rifiutarono ogni offerta di lavoro da parte dell'ufficio di collocamento fascista. Questo voleva dire miseria assoluta. Per avere qualcosa da mangiare gli scioperanti raccoglievano lumache sulle siepi e nei prati, o andavano per campi dopo le messi a spigolare grano o granturco. La spigolatura è il tradizionale diritto dei poveri.
Il contadino italiano raccoglie accuratamente anche i più miserevoli frutti della terra. Questa spigolatura fu considerata una ribellione. Chi raccoglieva un sacco di riso o di grano poteva vivere senza mangiare il pane dei fascisti. Le spigolatrici furono cacciate via, inseguite, schiaffeggiate; le loro facce furono tinte di nero. Cinque donne che erano state  battute, presentarono querela il 27 settembre 1924, al funzionario di polizia. Furono minacciate di arresto. Un centinaio di donne raccolte davanti all'ufficio di polizia, dichiararono che anche esse avevano commesso lo stesso delitto e domandarono di essere arrestate come le loro compagne [...].
In tre soli giorni nel novembre del 1924 furono imprigionate 142 persone, molte delle quali donne. (Corriere della Sera 28 novembre 1924). Numerose forze armate presidiarono la città».
Dopo la promulgazione della legge Rocco sulla Disciplina giuridica dei rapporti di lavoro, del 3 aprile 1926, che affidò ai sindacati fascisti il diritto di rappresentanza giuridica
dei lavoratori, «539 uomini e 469 donne - continuava Salvemini - si rifiutarono di iscriversi ai sindacati fascisti. Prevalendosi di un articolo di quella legge, formarono  un'associazione " di fatto".
Seguirono giorni di oppressione ancora peggiori [ . . . ] . Il 31 maggio il Commissario di Polizia disse agli operai che avevano aderito all'associazione "di fatto": "Non possiamo uccidervi, ma vi faremo morire di fame".
Il 27 giugno il presidente dei sindacati fascisti pubblicò il seguente editto: «Molinella, 27 giugno 1926. In conformità con la legge sui sindacati fascisti (quella del 3 aprile) e allo scopo di porre fine alla irregolare ed eccezionale situazione del nostro Comune, ripetiamo che non si può dar lavoro a chi non sia provvisto della tessera dei sindacati fascisti.
Chiunque si presenti come membro di una lega libera o a qualunque altro titolo, deve essere respinto. Questa regola vale anche per la spigolatura del grano o altri cereali.
Non è giusto che chi si oppone al presente regime e perciò non vuole lavorare, tolga una parte, per quanto piccola, dei prodotti a chi se li è guadagnati col sudore della fronte.
Questo provvedimento è stato preso d'accordo col Fascio locale. Presidente, Neri Alfonso».
Il 30 giugno il Prefetto della Provincia sciolse l'associazione "di fatto" [...]. Il 1°, il 2 e il 3 luglio furono arrestate trecento donne perché spigolavano senza la tessera della Federazione fascista [...].
Nell'ottobre 1926 cominciarono le disdette. Il Times del 2 ottobre 1926, scrisse: «Seguendo l'ordine del Fascio, furono date le disdette d'affitto [...]. Ecco qui le corrispondenze inviate giorno per giorno al Corriere degli italiani di Parigi da persona che viveva nascosta nel paese: «30 settembre 1926. Qui siamo di fatto sotto legge marziale. Polizia e  carabinieri in borghese fanno perquisizioni e arrestano senza riguardo all'età e alle condizioni. Sono stati arrestati Ettore Stagni (decorato per meriti di guerra) e altri. Dieci famiglie dovranno abbandonare le case. Esse e i loro mobili saranno trasportati su camion dell'artiglieria a Bologna, dove saranno acquartierate nella vecchia caserma della dogana in Piazza Malpighi, che è stata sgombrata per l'occasione. Altri camion militari sono allineati nella piazza davanti al Tribunale di Bologna, pronti per altri sgomberi.
Dirigerà le operazioni il Vice-Questore di Bologna. Ieri (29 settembre) le donne furono ricevute dall'assessore capo di Molinella. Questi disse loro: 'Non sarete messe in mezzo alla strada: sarete portate via. Non potete rimanere più a Molinella se non entrate nei sindacati fascisti'. Lo stesso fu ripetuto dal Commissario di Polizia di Molinella [ . . . ].
2 ottobre. Ieri i camion carichi di mobili e quelli con le donne e parte dei bambini e dei vecchi hanno raggiunto Bologna. Sono stati portati tutti alla caserma in Piazza Malpighi.
Alle 8 di sera c'era ancora nella piazza due camion di mobili da scaricare. Sono stati portati via solo i mobili. Polli, porci, legna da ardere e vino abbandonati alla mercé degli altri. La caserma ove sono ora le donne, è circondata da carabinieri e polizia. A nessuno è permesso di entrarvi, eccetto i parenti abitanti in Bologna. Oggi nessuno ha dato loro da mangiare [...]».
Nel 1926, insomma, per stroncare la persistente opposizione dei socialisti molinellesi, il governo fascista effettuò la deportazione di circa 300 famiglie in vari comuni della provincia di Bologna (tra i quali Marzabotto) e in altre città del Nord, tra cui Torino. In quest'ultima città fu inviata la famiglia Bevilacqua, alla quale si unì, nel 1931, Quinto (classe 1916), che, dopo l'8 settembre 1943 sarà il massimo dirigente dei socialisti e, arrestato nel marzo 1944, sarà processato assieme ai membri del Comando militare piemontese, poi  fucilato il 5 aprile al poligono di tiro di Torino.
Nonostante tali misure l'opposizione antifascista non venne estirpata, come dimostrarono i successivi e ripetuti interventi polizieschi, gli innumerevoli arresti, gli invìi al domicilio coatto, le condanne del TS.
Durante gli anni del regime fascista, tre nativi del comune furono deferiti, processati e condannati dal Tribunale Speciale (Aula IV) e ventitré furono le assegnazioni al confino di polizia per atti d'opposizione (Confinati).
Fra i confinati furono Giuseppe Massarenti condannato nel dicembre 1926, Paolo Fabbri (che cadrà nel corso della lotta di liberazione nel febbraio 1945 a Gaggio Montano, f . ) nel
novembre 1926, Giuseppe Bentivogli nel 1926 e nel 1931, Alfredo Calzolari nel 1941.
Nel giugno 1931, mentre scioperavano le mondine di Medicina (v), quelle del molinellese si unirono alla loro lotta. Intervennero carabinieri e polizia, per fare cessare l'agitazione
e 5 mondine della frazione Selva Malvezzi furono arrestate.
Intorno al 1936 incominciarono a organizzarsi nel comune i primi gruppi comunisti. Due molinellesi perseguitati dal fascismo e riparati all'estero, dopo il luglio 1936, raggiunsero la Spagna per combattere contro i rivoltosi capeggiati dal generale Francisco Franco a difesa di quella repubblica: Mafaldo Rossi ed Egisto Rubini. Rossi (classe 1902), costretto ad  emigrare nel 1923 perché fatto segno di attentati da parte dei fascisti, fu attivo nell'Alleanza antifascista degli Stati Uniti, combatté nelle file della Brigata "Lincoln" e divenne commissario politico della Brigata Garibaldi, col grado di tenente, cadendo il 19 luglio 1937 a Villanueva del Pardillo. Rubini (classe 1906), anch'egli nella Garibaldi, fu ferito gravemente a Brunete nel luglio 1937, nel 1942 combatterà anche nei "Francs tireurs partisans" in Francia e, ritornato in Italia nel settembre 1943, sarà alla testa dei GAP milanesi, verrà arrestato e torturato e, temendo di non riuscire a resistere, si suiciderà in cella (Spagna e Dizionario).
Nel 1940, dopo l'entrata in guerra dell'Italia, a seguito dell'aggravarsi delle condizioni economiche dei lavoratori, crebbero malumore e proteste. Il maresciallo maggiore, comandante
la stazione in un promemoria riservato del 23 settembre dello stesso anno scrisse: «Verso le ore 9 di oggi, circa ottanta donne addette alla mietitura del riso in un appezzamento del
territorio di Marmorta di proprietà della Società Finanziaria Immobiliare Agricola, prima di portarsi sul lavoro che dovevano iniziare alle ore 10, si sono portate dinnanzi all'ufficio
di collocamento di Molinella per protestare circa il prezzo del cottimo per la mietitura del riso stabilito il 21 corrente dall'arbitro Console Enea Venturi mandato dalle Unioni provinciali degli agricoltori e dei lavoratori di Bologna, non essendo i rappresentanti delle stesse riusciti ad accordarsi sul prezzo stesso. Il prezzo fissato dall'arbitro predetto è di L. 90 per tornatura, prezzo che le lavoratrici ritengono inadeguato e che non consentirebbe loro di guadagnare neppure L. 3 all'ora, paga minima reclamata.
Le dimostranti, dopo avere esposte le loro lamentele, per l'intervento delle autorità del luogo hanno ripreso il lavoro. Si ritiene però necessario che le organizzazioni sindacali competenti intervengano senz'altro per appianare la divergenza poiché non è da escludere che, in caso contrario, possa verificarsi qualche altra manifestazione del genere. Questo comando ha già identificate alcune delle promotrici [cinque, come si legge in una nota a parte] della cennata manifestazione e provvederà senz'altro alla loro diffida, salvo i più gravi provvedimenti che codesto comando ritenesse opportuni».
Nel 1942, le mondine promossero un'agitazione con la quale sventarono il tentativo degli agrari di elevare a lO ore il lavoro giornaliero.
Il 26 luglio 1943 i lavoratori molinellesi festeggiarono con entusiasmo la caduta del fascismo e Bentivogli, chiamato "Liberei", parlò alla popolazione accorsa in piazza. All'indomani, l'oratore e 42 lavoratori furono arrestati e incarcerati fino al 12 agosto, quindi processati, ma assolti dal tribunale militare. Dopo l'8 settembre, la popolazione molinellese si prodigò
nell'assistere, nascondere e rivestire i militari italiani sfuggiti ai tedeschi e, a seguito degli indirizzi diffusi dall'organizzazione comunista provinciale, diede l'assalto all'ammasso del grano (v. Bologna).
Contemporaneamente, fu avviato il lavoro d'organizzazione delle forze antifasciste per la lotta contro i nazifascisti: Bentivogli, Calzolari e Luciano Romagnoli ne furono gli animatori principali.
Nei mesi che seguirono vennero attuati diversi colpi di mano per conquistare armi, diffusioni di stampa clandestina, sabotaggi contro impianti militari e sedi fasciste, seminagioni di chiodi, ecc.
Il 29 maggio 1944, le mondine scioperarono compatte per l'intera giornata reclamando il pagamento per il tempo perduto in occasione d'allarmi aerei ed ottennero piena soddisfazione.
La loro azione rafforzò l'intento di portare alla lotta tutta la categoria. Dal 10 al 21 giugno nei comuni con risaie della "bassa bolognese", si svolse, con vigore prorompente, lo sciopero generale delle mondine che, nelle aziende agricole ambientali, coinvolse le risaiole locali e le "forestiere" provenienti da comuni limitrofi (v. Bentivoglio).
Le 1.200 lavoratrici ingaggiate, si astennero dal lavoro per cinque giorni consecutivi dal 13 al 17 giugno. A Molinella, dopo il primo giorno di sciopero, i fascisti operarono numerosi arresti e le mondine protestarono sulla piazza rivendicando la scarcerazione delle compagne; i fascisti spararono in alto per impaurirle, ma esse li sfidarono insolentendoli e minacciando la loro prossima fine; nella mattinata del 14 sulla strada per la frazione di Marmorta un gruppo di mondine fu sorpreso da un'imboscata di fascisti che le schiaffeggiarono e bastonarono; una decina di donne venne schierata e contro i loro petti furono puntate le rivoltelle e i mitra; vennero minacciate d'esser fucilate; sulla piazza del capoluogo la protesta delle lavoratrici continuò, quaranta furono arrestate e cento fermate; poi a sostegno delle scioperanti un gruppo di partigiani si fece vedere nelle risaie e i fascisti non intervennero più.
Nell'estate 1944 anche nel molinellese, i partigiani cercarono di impedire o di rallentare con le armi i lavori di trebbiatura: diverse trebbie vennero bruciate e altre fatte saltare, vari militi, addetti alla scorta armata, furono uccisi, molto grano venne nascosto o diviso tra i contadini.
Per soffocare la partecipazione popolare e la crescita delle attività partigiane, la Brigata nera operò un rastrellamento nella zona di Marmorta. Catturò 8 sospetti organizzatori e militanti partigiani e 7 furono imprigionati a Bologna. Dopo essere stati interrogati a lungo e torturati, il 18 agosto, furono massacrati in via Irnerio, ai piedi della Montagnola e i loro cadaveri lasciati sul luogo per alcuni giorni per terrorizzare i cittadini. L'organizzazione clandestina e l'azione contro i nazifascisti continuò. Il 20 agosto a Molinella furono uccisi due militari delle SS. Il 15 settembre fu costituito il CLN comunale. Il 2 ottobre, nel quadro della cosiddetta "battaglia dei bovini" per impedire il depauperamento del patrimonio zootecnico, nel capoluogo i partigiani fecero invertire la marcia ad una colonna di bestiame.
Il 30 ottobre 1944 in località Tamarozza, i partigiani "matteottini" catturarono a ridosso dell'argine sinistro dell'Idice, tre tedeschi in auto. Uno era un maggiore del genio esperto in idraulica. Addosso gli fu trovata una carta topografica dei corsi d'acqua del molinellese e della zona fino a Adria, sottratta o avuta dalla Grande Bonificazione Renana.
I prigionieri dissero che avevano il compito di studiare il modo di allagare una vasta zona facendo saltare gli argini dell'Idice (così come i tedeschi avevano già fatto in altre plaghe - nell'Agro Pontino, nel Ravennate, ecc. - nel tentativo di arginare sbarchi o avanzate degli Alleati). Si affrettarono ad aggiungere che, in ogni caso, mai avrebbero allagato la zona, essendo coltivata a riso. La pietosa bugia non salvò la vita ai tedeschi. La macchina e le divise dei tre furono consegnate ai gappisti di Bologna per le loro azioni in città.
In pieno inverno i tedeschi, certi che appena sarebbe arrivata la primavera gli Alleati avrebbero sferrata l'offensiva finale, s'affannarono a costruire zone fortificate ovunque, anche nella bassa bolognese. In un rapportino inviato da Molinella al CUMER, il 24 gennaio 1945, si legge: «Lungo l'argine del fiume Reno hanno costruito molte fortificazioni di mitragliatrici e pezzi di artiglieria a distanza di 100 metri Luna dall'altra. Hanno costruito dei fortini con delle camere interne all'argine di due metri quadrati, con tre metri di terra sopra. Tedeschi e fascisti entrano dall'interno del fiume e hanno le feritoie dalla parte opposta. Le più grandi fortificazioni sono costruite ai lati dei ponti in direzione delle strade».
Il 20 febbraio 1945, si fusero ancora azione partigiana ed intervento popolare: mentre a S. Martino, i sappisti sabotarono le linee telefoniche tedesche ed asportarono segnaletica stradale tedesca, a Molinella, 50 donne, si recarono in comune per reclamare sale (anche in opposizione all'offerta nazifascista di qualche chilo di sale a chi avesse denunciato dei partigiani) ed ebbero soddisfatta la loro richiesta.
Ancora il 26 marzo una sessantina di donne, recatasi in municipio, richiese vivacemente la distribuzione di generi razionati e la liberazione di due compagne recentemente arrestate dalla brigata nera.
Il 5 aprile, tornarono a manifestare 200 donne presso le sedi di tedeschi e fascisti chiedendo la scarcerazione delle donne arrestate, la libera circolazione in bicicletta e la concessione di generi alimentari.
Il 14-15 aprile alcuni partigiani locali raggiunsero Bologna per partecipare alla liberazione della città.
Il 16 aprile 1945, mentre si recava in una base partigiana in località Morgone, Alfredo Calzolari, che aveva comandato la Brigata "Matteotti" Pianura dall'ottobre 1944 e il 29 marzo precedente aveva assunto la direzione politica della zona molinellese per il PSI, si scontrò con una pattuglia tedesca, che l'abbatté a colpi di mitra, causandone la morte avvenuta il giorno dopo.
Molinella fu liberata il 19 aprile 1945 e, due giorni dopo, il CLN locale designò a sindaco il partigiano Anselmo Martoni e i componenti della Giunta comunale. Il 21 aprile, a Bologna, fu ritrovato il corpo di Giuseppe Bentivogli massacrato dai fascisti, assieme a Sante Vincenzi, poche ore prima della liberazione della città.
Il Comune è stato decorato della medaglia di bronzo al valor militare. Questo il testo della motivazione: «La popolazione del Comune di Molinella, nota per la sua tempra morale e per la ferma decisa opposizione alla tracotanza Nazifascista, dava vita ad una lotta di resistenza attiva e coraggiosa, dando un valido e costante sostegno alle forze partigiane e fornendo il suo notevole contributo di combattenti, di sangue, di sofferenze e di distruzione».

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Documenti
Antifascismo e lotta di Liberazione
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Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998

L'Antifascismo nel molinellese
Tipo: PDF Dimensione: 1.26 Mb
Luciano Bergonzini, La Resistenza a Bologna - Testimonianze e documenti volume I° - Istituto per la storia di Bologna, 1967