Mattioli Amilcare

30 agosto 1922 - 11 Settembre 1982

Note sintetiche

Occupazione: Studente

Riconoscimenti

  • Partigiana/o ( 1 ottobre 1943 - 22 febbraio 1945)

Scheda

Amilcare Mattioli, «Michi», da Domenico e Alba Acerbi; nato il 30 agosto 1922 a Casola Valsenio (RA). Nel 1943 residente a Bologna. Studente universitario.
Iscritto al PCI. Ancor prima della caduta del fascismo svolse attività di propaganda antifascista fra i giovani.

Dopo l’8 settembre 1943 insieme con Giuseppe Beltrame si impegnò nel lavoro di propaganda attraverso radio «Bologna libertà» collocata prima a Denore (FE) in casa di Beltrame.
Successivamente entrò a far parte della banda Bonomi una prima formazione partigiana costituitasi a Palazzuolo sul Senio (FI) con il compito di aiutare i soldati sbandati, di soccorrere i prigionieri alleati, di recuperare armi e di nascondere anche ebrei.
Militò poi nella 36a brigata Bianconcini Garibaldi. Fece parte del CUMER come ufficiale addetto ai collegamenti.
Riconosciuto partigiano dall'1 ottobre 1943 al 22 febbraio 1945. [AQ]

Note

Il prof. Amilcare Mattioli -Sindaco della Liberazione-, prematuramente scomparso l’11 settembre 1982 a soli 60 anni, viene ricordato in queste pagine in un articolo del prof. Giuseppe Pittano

L’11 settembre si è spento al Policlinico di Modena, a soli 60 anni (era nato a Casola Valsenio il 30 agosto 1922), il nostro compaesano prof. Amilcare Mattioli.
I funerali si sono svolti, in forma privata, nel nostro cimitero lunedì 19 settembre: intorno al padre ottantaseienne e alla moglie Anna Maria Croce, alcuni parenti, amici e compagni e la sua bandiera, quella rossa del partito comunista.
Ad Amilcare, compagno di giochi nell’infanzia, di studio nell’adolescenza e di lotta antifascista nella giovinezza, dedico questa mia doverosa memoria.
Eravamo cresciuti insieme giocando nella vecchia piazza del paese, insieme avevamo frequentato l’asilo e i primi anni di scuola, insieme avevamo ascoltato le “lezioni” di suo zio Aurelio Acerbi, primo segretario della sezione clandestina del partito comunista casolano.
Aurelio, coltissimo autodidatta costretto a sorveglianza domiciliare dalle norme restrittive fasciste, faceva il calzolaio e ci raccoglieva – c’era anche il compianto Filippo Pirazzoli – attorno al suo deschetto nelle ore pomeridiane per insegnarci a ragionare, a fare i conti, a fare l’analisi logica ma soprattutto a discutere di storia, così maltrattata e travisata nei libri di Stato e nelle aule scolastiche.
Poi Amilcare se ne andò a Bologna, dove suo padre Megòzz, trasferitosi con la famiglia, teneva bottega da calzolaio. Erano gli anni duri della grande crisi ma il vecchio compagno Megòzz era un uomo fiero e coraggioso e aveva fatto l’amaro passo dell’emigrazione perché suo figlio potesse studiare e portare avanti la sua battaglia. Rimasto vedovo molto presto, Megòzz fece da padre e da madre ad Amilcare e crebbero insieme in un raro vincolo di affetti, di sentimenti e di stima cementati dalla comune fede.
Nella sua piccola bottega di Via Zamboni, proprio davanti all’Università, negli anni ’40, nel pieno del fascismo trionfante, Megòzz ci aspettava al termine delle lezioni per discutere con noi di politica e attorno a lui che batteva il cuoio e riparava le povere scarpe della povera gente, ci raccoglievamo noi giovani universitari in cerca di verità. C’era l’on. Giuseppe D’Alema, Sergio Telmon, attuale corrispondente della RAI da New York, Giuliano Lenzi, redattore capo della RAI, Gian Luigi Rosa, redattore di “Panorama”, Ezio Raimondi, docente di letteratura italiana all’Università di Bologna e tanti altri che non ricordo.
Ci ritrovammo quasi tutti, più tardi, nelle file dell’antifascismo militante.
Con Amilcare, infatti, fondammo il Comitato di Liberazione di Casola e subimmo le prime persecuzioni. L’arresto mio, di Pirazzoli e di Ricciardelli il 18 novembre 1943 coprì la fuga di Amilcare e di D’Alema, sulle cui teste venne posta una pesante taglia.
Dopo i duri giorni della vita clandestina, fummo di nuovo insieme nelle prime giunte popolari: Amilcare fu il primo Sindaco di un paese devastato al punto che i giornali americani non esitarono a chiamare “the little Cassino”, la piccola Cassino.
Un comunista a capo dell’Amministrazione non era però gradito agli americani che, per mezzo del Governatore alleato Ten. Guecia, ne chiesero le dimissioni. Al suo posto fu chiamato l’avv. Giovanni Ungania, liberale, che accettò l’incarico a patto che restasse in funzione tutta la Giunta nominata dal Comitato di Liberazione e che fosse questa a determinare collegialmente iniziative e interventi politico-amministrativi.
Con molta umiltà e senso di responsabilità Amilcare assunse la carica di vicesindaco in una Giunta di cui faceva parte anche il sottoscritto, l’ing. Eliodoro Dal Pezzo, Gildo Tabanelli, Guido Ricciardelli e Antonio Benericetti.
Erano gli anni difficili della ricostruzione: occorreva reclutare muratori e manovali per i lavori di pubblica utilità, seppellire le carogne degli animali per evitare epidemie e contagi, recuperare il materiale asportato dagli edifici pubblici dai nazifascisti in ritirata, accogliere le denunce di espropriazione di cose e beni privati, reclutare gli uomini dai 15 ai 65 anni per i lavori di urgenza, provvedere ai bisogni di tante persone prive di sostentamento, combattere il mercato nero di generi alimentari e di prima necessità, salvare il patrimonio culturale del Cardello ormai gravemente compromesso, impedire lo sgombero del paese e il trasferimento in massa della popolazione a Vicchio del Mugello, deciso dagli Alleati, combattere l’infiltrazione di spie, ecc.
Decisioni e operazioni spesso poco gradite ma necessarie. Quando nessuno se la sentiva di affrontare le situazioni più scabrose e impopolari, era sempre Amilcare ad assumersi di persona le responsabilità: era sempre in prima fila, rigido, inflessibile, giusto, ma anche molto generoso e umano.
Dopo i giorni eroici della prima ricostruzione, Amilcare lasciò il paese, come tanti di noi, per riprendere la propria strada e tornò a Mirandola, nel modenese – dove anni prima aveva insegnato materie letterarie nel Liceo classico – per dirigervi il partito negli anni bui del terrorismo di Stato.
Chiamato successivamente a Modena, gli fu affidata la responsabilità del lavoro culturale, della stampa e della propaganda.
Fu in quegli anni che Amilcare dedicò tutte le sue energie alla formazione dei quadri, alla preparazione dei militanti, alla crescita di un partito nuovo capace di inserirsi in una società moderna e dinamica, aperta ai più vasti contributi.
Esperienza questa che gli valse il difficile incarico di segretario della Federazione comunista di Bolzano nei difficili anni ’60, quelli delle bombe e degli attentati in Alto Adige.
Tornato definitivamente all’insegnamento, Amilcare trasferì nella cattedra il suo impegno di uomo di fede e di cultura, di uomo pulito e cosciente, fiducioso nella crescita delle nuove generazioni alle quali ha lasciato un messaggio di coerenza e di rettitudine politica e professionale destinato a dare i suoi frutti.

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