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L'Ultima cena

Schede

Nella cappella di S. Giuseppe della chiesa di San Girolamo si conserva un’Ultima cena proveniente dal Refettorio del convento (ora Sala della Pietà del cimitero) e tradizionalmente attribuita ad Orazio Samacchini in base ad una notizia di Pietro Lamo ripetuta poi dalle guide sei-settecentesche. Grazie ad un intelligente confronto con un disegno conservato al Louvre - identificato come preparatorio per il dipinto della Certosa - J. Winkelmann ha restituito la giusta paternità dell’opera a Lorenzo Sabatini. Tra i primi documenti sull’attività del pitore vi è infatti una lettera che scrive nel 1562 al Vasari promettendogli l'invio di un suo disegno non meglio specificato. Ragghianti per primo ha individuato questo disegno nell'Ultima cena conservata al Louvre: in un unico foglio sono stati incollati, oltre alla Cena, altri tre disegni, Cristo fra i dottori, Ercole e cerbero e san Pietro, tutti attribuiti a Sabatini ma appartenenti a periodi diversi della sua carriera. I confronti tra il disegno e il dipinto della Certosa hanno tolto ogni dubbio sull’attribuzione al Sabatini e hanno permesso di datare disegno e dipinto intorno al 1562. Siamo quindi in una fase non ancora matura del pittore, influenzato fortemente da Pellegrino Tibaldi e da quella cultura figurativa circolante a Bologna che va da Nicolò dell'Abate a Prospero Fontana. Eleganza quindi e qualità che guardano anche in direzione di Vasari, conosciuto non solo attraverso le opere presenti in città già dal 1539, ma anche attraverso l’interpretazione che ne dà Prospero Fontana negli affreschi della Cappella del Legato in Palazzo Pubblico sempre del 1562, nei quali dimostra di essere profondo conoscitore della cultura manierista vasariana e tosco-romana: ed è proprio in questi anni che viene infatti ipotizzata una stretta collaborazione tra Sabatini e Fontana. La grande tela, recentemente restaurata, rivela chiaramente di essere rimasta ad uno stadio non finito: prova ne sono le diverse zone del dipinto, la finestra al centro in primis, nelle quali l’assenza di imprimitura lascia trasparire la trama e le righe della tela. Dove però la stesura pittorica è conclusa si può apprezzare l’alta qualità dei dettagli, della stesura pittorica, la dolcezza dei volti di Giovanni e di Cristo, la cui fisionomia in particolare ricorda quelle del Bagnacavallo senior e sarà utilizzata da Sabatini in opere successive, quali ad esempio la Cena in Emmaus della Pinacoteca. L’eleganza delle figure, le mani affusolate, certi profili accentuati, la varietà della composizione e degli atteggiamenti degli Apostoli e dei servitori, l’attenzione per il dato naturale delle luci e delle ombre fa davvero rimpiangere di non avere davanti agli occhi la tela finita.

Ilaria Francia