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Leopardi e Bologna

luglio 1825 | maggio 1830

Schede

Diretto a Milano, Giacomo Leopardi fa sosta a Bologna dal 17 al 27 luglio 1825, ospite del suo compagno di viaggio Padre Luigi Poni nel convento di S. Francesco. Il soggiorno è per lui particolarmente piacevole. A Bologna è presente Pietro Giordani (1774 - 1848), ex segretario dell'Accademia di Belle Arti e già ospite a Recanati della famiglia Leopardi, con cui intratteneva scambi epistolari dal 1817. Grazie a lui Giacomo fa alcune conoscenze importanti ed è accolto con favore nei salotti letterari cittadini: presso il marchese Massimiliano Angelelli (1775 - 1853), uomo di vasta cultura umanistica e "incomparabile" traduttore di Sofocle, nelle "stanze" della contessa Malvezzi e di Anna Pepoli Sampieri, presso il conte Marchetti. Anche Leopardi subì il fascino di Cornelia Rossi Martinetti, tra le donne più celebri della sua epoca, ove presso il suo salotto transitava il meglio della cultura nazionale. Il poeta la segnalerà all'editore Stella come unica donna bolognese degna di essere inserita tra le "veramente insigni delle maggiori nazioni europee".

Nelle sue lettere descriverà Bologna come una città "quietissima, allegrissima, ospitale", "piena di letterati nazionali, e tutti di buon cuore, e prevenuti per me molto favorevolmente". E al fratello Carlo dirà: "Mi sono fermato nove giorni e sono stato accolto con carezze ed onori ch'io era tanto lontano d'aspettarmi, quanto sono dal meritare". Positivo è anche il giudizio complessivo: "Bologna è buona, credilo a me che con infinita meraviglia, ho dovuto convenire che la bontà di cuore vi si trova effettivamente, anzi vi è comunissima". Al giovane è fatta intravvedere la possibilità di un impiego a Bologna come segretario dell'Accademia di Belle Arti, incarico ricoperto in passato dall'amico e mentore Pietro Giordani. Una ipotesi che poi purtroppo sfumerà, lasciando l'amaro in bocca al giovane poeta, che definirà quello bolognese un "governo gotico le cui promesse più solenni vagliono meno che quelle di un amante ubbriaco".

Dopo la prima breve sosta in luglio, Giacomo Leopardi è di ritorno a Bologna, dove soggiornerà dal 29 settembre fino al 3 novembre 1826. Il poeta prende alloggio a pensione presso la famiglia del tenore Aliprandi, in una casa contigua al teatro del Corso. A pochi passi dal suo domicilio abita l'impresario ed editore Pietro Brighenti (1775 - 1846) e vi è la sede della Società del Casino, ritrovo dei letterati bolognesi. Frequenterà spesso il Caffè del Corso, dove amava consumare quasi ogni giorno una colazione di cioccolata e biscotti.

Durante il soggiorno a Bologna Leopardi frequenterà pochi amici: il medico Giacomo Tommasini e sua moglie Antonietta, Pietro Brighenti e la figlia Marianna: con quest'ultima si recò più volte in visita alla Certosa, il cimitero della città.  Avrà comunque modo di entrare in contatto con gli esponenti del cenacolo classicista attivo in città, quali Massimiliano Angelelli, letterato e musicofilo, amico di Rossini e insigne traduttore di Sofocle e il ravennate Paolo Costa (1771 - 1836), “maestro di letteratura e filosofia”, appartenente al gruppo romagnolo-marchigiano del “Giornale Arcadico”. Conoscerà Vincenzo Valorani (1786 - 1852), medico e poeta, Dionigi Strocchi (1762 - 1850), educato come Vincenzo Monti nel seminario di Faenza, dove il latino era il solo “pane quotidiano”, traduttore di Callimaco e Virgilio, esponente principe della scuola classica romagnola. Incontrerà Filippo Schiassi (1763 - 1844) professore di archeologia e numismatica all'Università, autore del Lexicon epigraphicum Morcellianum, e Giovanni Marchetti (1790 - 1852) di Senigallia, cultore di Dante e traduttore di Orazio e Anacreonte.

Il Brighenti, avvocato, stampatore e insieme spia per gli Austriaci, pubblicherà, nella sua Stamperia delle Muse, oltre ad opere di Giordani e Monti, le Rime e Prose di Marchetti e le volgarizzazioni di Anacreonte del Costa e farà uscire due giornali d'informazione culturale: “L'Abbreviatore” - trenta numeri nel 1820 - e “Il Caffè di Petronio”, nel 1825-26. Nell'agosto del 1824 escono, per i tipi del Nobili, le Canzoni di Leopardi. Si tratta della prima edizione collettiva dei suoi versi, pubblicati a Bologna grazie all'amico Pietro Brighenti, che, oltre a trovare lo stampatore, riesce ad evitare la censura pontificia. Del libro vengono stampate cinquecento copie e cinquanta di esse vanno al poeta. Le altre saranno messe in commercio a partire dal mese di ottobre. Questa edizione bolognese comprende dieci canzoni, composte tra il 1818 e il 1823: All'Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone, Bruto Minore, Alla primavera o delle favole antiche, Ultimo canto di Saffo, Inno ai patriarchi o de' principii del genere umano, Alla sua donna. Tre di esse erano state pubblicate in precedenza: All'Italia e Sopra il Monumento di Dante a Roma nel 1818, la Canzone ad Angelo Mai a Bologna, presso Marsigli, nel 1820. La collaborazione con Brighenti avrà per il poeta recanatese un altro esito importante: la pubblicazione nel 1826, presso la sua Stamperia delle Muse, dei Versi, che raccolgono in volume gli Idilli (L'infinito, Alla luna, La sera del dì di festa, Il sogno, ecc.) composti tra il 1819 e il 1820. Le Canzoni - tappa saliente verso la definitiva edizione dei Canti (1835), la massima raccolta poetica italiana del XIX secolo - procureranno a Leopardi parecchi problemi con la censura dello Stato pontificio e di altri paesi. Quando nel 1826 egli sarà in predicato per un posto all'Accademia di Bologna, il Vaticano sarà dissuaso dall'assumerlo, per le opinioni sfavorevoli al governo espresse nei suoi componimenti. Sempre tramite Brighenti la sua traduzione della Batracomiomachia di Omero è pubblicata anonima, a dispense, sulle pagine del “Caffè di Petronio”. Appare in tre numeri: 7 aprile, 14 e 21 maggio. Nel primo anno del periodico è pubblicata anche l'ode leopardiana Alla mia donna.

Nel 1825 un decreto del cardinale Arcivescovo Oppizzoni ripristina l'usanza delle Processioni generali, che coinvolgono ogni dieci anni, a turno, le parrocchie cittadine, secondo un regolare calendario. I primi Addobbi, dopo il ripristino, si svolgono nell'estate del 1826 nelle parrocchie di Santa Maria Maggiore in via Galliera e di San Giuliano in via Santo Stefano. Su quest'ultima festa vi è il ricordo di Giacomo Leopardi, che la descrive come "una cosa bella e degna di essere veduta, specialmente la sera, quando tutta una lunga contrada, illuminata a giorno, con lumiere di cristallo e specchi, apparata superbamente, ornata di quadri, piena di centinaia di sedie tutte occupate da persone vestite signorilmente, par trasformata in una vera sala di conversazione". Nel 1826 sulla torre Asinelli è installato, a cura del prof. Francesco Orioli (1783 - 1856) e dell'ingegnere comunale Filippo Miserocchi, un impianto parafulmine: i condotti metallici sulla torre ispireranno alcune considerazioni di Leopardi sulle invenzioni del suo tempo, appuntate nello Zibaldone durante il suo soggiorno. Nel medesimo anno il pittore Luigi Lolli di Lugo è vincitore del concorso per un dipinto a fresco, da eseguire presso l'ingresso alla Pinacoteca dal lato dell'Accademia di Belle Arti. Nell'occasione Leopardi è convinto, dopo molte insistenze, dall'amico stampatore Brighenti a farsi fare dal Lolli un ritratto, da allegare alla sua raccolta di poesie: sarà l'unico documento originale della fisionomia del poeta in vita e servirà da base per molti suoi ritratti postumi. Non sempre il poeta fu benevolo nei giudizi, secondo la sua testimonianza scritta all'amico Bunsen del 1° febbraio 1826 "in tutta Bologna, città di 70 mila anime, si contano tre persone che sanno il greco, e Dio sa come". In quel momento la cattedra di greco all'Università era tenuta da Giuseppe Mezzofanti. Il 27 marzo, lunedì di Pasqua, Giacomo Leopardi su invito di Vincenzo Valorani legge pubblicamente nella sede dell'Accademia dei Felsinei l'Epistola al conte Carlo Pepoli, dedicata al vice-presidente dell’Accademia e suo caro amico. Lo stesso Pepoli ricorderà l'argomento nel suo poemetto L'Eremo del 1828, scritto in morte di Livia Strocchi: “Si canta, come tornando oziose e vane tutte le cure poste dall’uomo a rinvenire la felicità, si può chiamare un vero ozio l’intera vita”. La voce fioca del poeta e la distrazione dell'uditorio non fanno apprezzare pienamente il contenuto della lettera. Leopardi appare “di tetro umore ... con anima oltre modo sensibile, e mancante di certi necessari doni naturali atti a chiamare la generale attenzione”.

L'incontro del maggio 1826 con Teresa Carniani (1785 - 1859), moglie di Francesco Malvezzi, donna coltissima (Vincenzo Monti le riconosce “maschio senno in bianca fronte impresso”) e animatrice di uno dei più importanti salotti letterari della città, regala a Giacomo Leopardi inedite emozioni: “Ha risuscitato il mio cuore dopo un sonno, anzi una morte completa, durata per tanti anni”, scrive il 30 maggio al fratello Carlo. Una conoscenza che segna un nuovo periodo della sua vita: “Mi ha disingannato del disinganno, mi ha convinto che ci sono veramente al mondo dei piaceri che io credeva impossibili”. Di origine fiorentina, di famiglia non nobile e di idee liberali, Teresa – che Leopardi conosce non più giovanissima, sulla quarantina, ma che possiede una grazia e uno spirito “che supplisce alla gioventù” - ha fatto profondi studi classici. Il rapporto con Leopardi, dapprima improntato a una tenera amicizia, “un abbandono che è come un amore senza inquietudine”, con pianti sinceri e lodi che “restano tutte nell'anima”, si muta in seguito in una freddezza inattesa, che provocherà proteste e biasimi da parte del giovane poeta.

Giacomo Leopardi soggiorna nuovamente a Bologna dal 26 aprile al 21 giugno 1827. Alloggia all'albergo (o locanda) della Pace in via Santo Stefano, ricavato nei locali appartenuti all'Ospitaletto di San Biagio, chiuso nel 1798. Il poeta sosta per l'ultima volta a Bologna dal 3 al 9 maggio 1830 e alloggia nuovamente all'albergo della Pace. In una lettera inviata alcuni giorni prima, prega Antonietta Tommasini, moglie del celebre medico Giacomo, di fare una “trottata” a Bologna, assieme alla figlia Adelaide. La scarsità di mezzi gli impedisce una diversione a Parma, dove gli amici, a lungo frequentati nel precedente soggiorno bolognese, si sono da poco trasferiti. Il 9 maggio riparte per Firenze. Il 20 marzo 1831, alcuni giorni dopo la proclamazione del Governo delle Province unite italiane, il paese di Recanati, divenuto distretto, lo nominerà Deputato rappresentante all'Assemblea di Bologna. Il poeta, tuttavia non potrà ritornare in Emilia. In quei giorni gli Austriaci riconquisteranno il capoluogo e il Governo Provvisorio lascerà la città, “per porre la sua residenza in luogo più sicuro”. Nonostante “il desiderio ardentissimo” di servire la patria, Leopardi dovrà rinunciare al mandato.

In collaborazione con Cronologia di Bologna - Biblioteca Sala Borsa