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Laboratorio pirotecnico

Di rilevanza storica

Schede

Il Laboratorio pirotecnico militare (o Arsenale d'artiglieria) nacque nel 1880 in una vasta area tra fuori dalle mura cittadine, tra Porta Castiglione e Porta San Mamolo (oggi zona ex-Staveco). Fu ideato con l'obbiettivo di dotare l'esercito di un impianto posto al sicuro nelle retrovie e in grado di fornire rapidamente rifornimenti in campagna. Già prima della Grande Guerra è una delle attività produttive pubbliche con maggiore numero di addetti a Bologna, raggiungendo un peso occupazionale assai più elevato delle imprese ausiliarie. Era infatti uno degli impianti sottoposti direttamente al Ministero della Guerra nel bolognese (insieme al Carnificio di Casaralta e alla Direzione di Artiglieria di Bologna).Ciò garantiva una importante stabilità economica per i flussi finanziari pubblici e il regolare rifornimento di materie prime e semilavorati. Lo stabilimento disponeva di macchinari che permettevano sia la trasformazione di semilavorati, sia l'assemblaggio e il caricamento delle munizioni. L'attività produttiva consisteva in lavori di confezionamento delle miscele esplosive detonanti, operazione svolta per motivi di sicurezza nella zona Lunetta Gamberini, più lontana dal centro urbano, e nella lavorazione e caricamento delle munizioni, processo che avveniva nella sede principale pur non essendo meno esente da fattori di rischio. Gli incidenti erano abbastanza frequenti: lo testimonia una lapide commemorativa del 1924 dove, accanto alla commemorazione dei caduti al fronte, vi è quella degli operai morti sul lavoro all'interno del laboratorio, presumibilmente a causa di esplosioni. In un'esplosione avvenuta il 9 agosto 1916 morirono infatti tre operaie. Il giornale socialista bolognese “La Squilla” riporta anche di un incidente avvenuto la notte del 25 febbraio dello stesso anno, in cui un operaio perse la vita. La produzione crebbe sensibilmente sotto l'influsso della Direzione Generale di Artiglieria già nei mesi precedenti alla guerra quando, pur essendo l'Italia ancora in fase di neutralità, lo stabilimento aveva più che quintuplicato la sua produzione che, durante il conflitto, raggiunse livelli produttivi di circa 2 milioni di cartucce nuove al giorno, oltre alla riparazione di altre 300.000. Aumentarono sensibilmente anche i consumi energetici: l'erogazione di elettricità era stata decuplicata rispetto al periodo prebellico, nonostante la scarsità di fonti energetiche del territorio. I livelli occupazionali passarono dalle 1500 unità del periodo precedente alla guerra, ai circa 10.300 addetti durante il conflitto (12.000 da aggiungere ai 6000 dell'annesso Arsenale Militare secondo Zamagni).

Una progressione impressionante che attesta da un lato l'importanza strategica di Bologna nel campo del munizionamento e nella produzione di esplosivi, dall'altro l'impatto locale che ebbe lo stabilimento, attirando maestranze non solo dal centro urbano ma anche dalla provincia di Bologna e dalle provincie limitrofe. All'aumento del personale le autorità militari affiancarono un accresciuto sfruttamento della forza lavoro esistente: a fine 1914 si passò dal turno diurno unico alla lavorazione a ciclo continuo a due turni: quello diurno di 13 ore e quello notturno di 11 ore, con una sola breve interruzione la domenica per permettere l'inversione dei turni. Questi ritmi lavorativi, che continuarono fino al 1918, sono da associare al fatto che le principali cause di licenziamento, esclusa quella di passaggio del personale ai corpi militari dell'esercito, erano dovute all'inidoneità, prolungata malattia o infortunio. L'aumento dell'intensità del lavoro quindi molte volte causò l'esaurimento fisico dei lavoratori del Laboratorio, i quali, tuttavia venivano allora considerati privilegiati rispetto ai lavoratori di imprese private. La percentuale di donne lavoratrici aumentò notevolmente arrivando a costituire la maggioranza della forza lavoro nella stabilimento. Secondo un rapporto dell'Ispettorato Tecnico Armi e Munizioni il personale era composto da 3.277 operai militari, 989 operai (maschi) e da ben 6.063 donne. La forza lavoro straordinaria femminile, oltre a ricevere una paga base minore (1,50 lire contro le 2 lire giornaliere maschili, senza contare il cottimo, calcolato in base al reparto) fu oggetto particolare dei licenziamenti di massa avvenuti alla fine del conflitto, quando il personale venne ridotto in maniera drastica toccando le 2.750 unità.

Nicola Lugaresi

Bibliografia: F. Degli Esposti, L'industria bolognese nella grande guerra, contenuto in A. Varni (a cura di) Storia di Bologna. Bologna in età contemporanea. Vol. 4, Tomo 2, 2013, Bologna, Bononia University Press, pp. 45-151; Zamagni V. , L'economia, contenuto in Zangheri (a cura di), Bologna, Laterza, Bari,1986