La strage di Palazzo d’Accursio

La strage di Palazzo d’Accursio

Strage 21 Novembre 1920

Scheda

Il 31 ottobre 1920 il PSI di Bologna vinse le elezioni amministrative, conquistando il Comune, l’Amministrazione provinciale e quasi tutti i comuni della provincia. A Bologna ebbe 20.195 voti (58,2%), contro 8.706 (26,5%) andati alla lista di destra “Pace libertà lavoro” e 5.093 (15%) al PPI.
Nel corso della campagna elettorale gli esponenti della lista di destra - della quale faceva parte anche il Fascio di combattimento - sostennero che avrebbero impedito ai socialisti di entrare a Palazzo d’Accursio, se avessero vinto le elezioni per la seconda volta.
Avevano conquistato il comune il 28 giugno 1914. Aldo Oviglio - che nel 1922 diventerà ministro della giustizia, nel primo governo Mussolini - in un comizio, tenuto il 29 ottobre disse che «bisognerà in seguito usare altre armi, se mai quella del voto - causa l’atteggiamento di un partito che non volle aderire al blocco - fosse insufficiente a liberare la città da uomini, che apertamente professano di volersi servire della conquista del Comune come primo passo verso l’evento della rivoluzione».
Dopo la vittoria del PSI - la cui legittimità non fu messa in dubbio - il prefetto si limitò a ordinare la deafissione dei manifesti del Fascio con l’annuncio che squadre armate avrebbero assalito Palazzo d’Accursio il 21 novembre 1920, il giorno dell’insediamento dell’amministrazione comunale.

Questo il testo del manifesto, datato 19 novembre 1920:
«Cittadini, I massimalisti rossi sbaragliati e vinti per le piazze e per le strade della città chiamano a raccolta le masse del contado per tentare una rivincita, per tentare d’issare il loro cencio rosso sul palazzo comunale! «Noi non tollereremo mai questo insulto! «Insulto per ogni cittadino italiano e per la Patria nostra che di Lenin e di Bolscevismo non vuole saperne. «Domenica le donne e tutti coloro che amano la pace e la tranquillità restino a casa e se vogliono meritare della Patria espongano alle loro finestre il Tricolore Italico. «Per le strade di Bologna, domenica, debbono trovarsi solo Fascisti e Bolscevichi. «Sarà la prova! La grande prova in nome d’Italia!».

All’interno del PSI erano discordi i pareri sull’opportunità di fronteggiare l’assalto fascista. Il gruppo riformista - minoritario all’interno della federazione - era del parere che spettasse allo stato il dovere di difendere l’ordine pubblico e la legalità democratica. I massimalisti e la frazione comunista - che operava all’interno del gruppo massimalista - decisero di organizzare squadre di “guardie rosse” armate per fronteggiare l’assalto fascista.
Nel pomeriggio del 21 novembre Palazzo d’Accursio fu parzialmente isolato da uno schieramento leggero di soldati. Nella piazza Vittorio Emanuele II (oggi piazza Maggiore) e in quella attigua del Nettuno vi erano alcune centinaia di socialisti. Lungo via Rizzoli e via dell’Archiginnasio i fascisti - da Ferrara erano giunti ingenti rinforzi - premevano per entrare nelle piazze.
Quando, poco dopo le 15, Enio Gnudi, il nuovo sindaco socialista di Bologna - che militava nella frazione comunista - si presentò al balcone della Sala rossa per salutare la folla, i fascisti cominciarono a sparare contro il palazzo e le persone che si trovavano nelle piazze.
La folla si sbandò e quando i cittadini cercarono rifugio nel cortile del palazzo, le guardie rosse - appostate nel balcone della Sala d’Ercole, attigua a quella della Sala rossa - gettarono alcune bombe a mano nella piazza. Prese dal panico, è probabile che abbiano scambiato per assalitori fascisti i cittadini che cercavano rifugio nel cortile.
Nella piazza si ebbero 10 morti - 7 persone decedettero subito e 3 nei giorni seguenti - e non meno di 50 feriti. La maggior parte dei morti e dei feriti risultarono essere stati raggiunti da colpi di arma da fuoco.
Mentre nella piazza si consumava la strage - le vittime erano quasi tutte di parte socialista - nella sala del consiglio si verificò un’altra sparatoria.
Una persone rimasta sconosciuta, che si trovava tra il pubblico, cominciò a sparare contro i banchi dei consiglieri di minoranza. Giulio Giordani restò ucciso e i consiglieri Bruno Biagi e Cesare Colliva riportarono lievi ferite. Oviglio e Colliva estrassero le rivoltelle, ma -a loro dire - non spararono.
Questi i cittadini morti nelle piazze: Antonio Amadesi, Flavio Bonettini, Gilberto Cantieri, Enrico Comastri,Vittorio Fava, Livio Fazzini, Ulderigo Lenzi (morto il 7 gennaio 1921), Ettore Masetti (13 febbraio 1921), Leonida Orlandi (22 novembre 1920) e Carolina Zecchi. 

I feriti, tra cittadini, agenti, carabinieri e militari furono una cinquantina. Si conoscono solo i nomi dei 38 cittadini che fecero ricorso alle cure dei sanitari degli ospedali. I militari e gli agenti, pare una dozzina, andarono all’ospedale militare.
Questi i nome dei feriti registrati negli ospedali: Arturo Andrini, Alfredo Arbizzani, Cesare Bastia, Aldo Beghelli, Alfonso Buini, Sante Borzatta, Roberto Braiato, Cesare Burnelli, Rodolfo Busi, Cesare Calzolari, Attilio Canè, Luigi Caprara, Mario Ceré, Elio Cervellati, Alberto Chiapperini, Mario Comi, Stefano De Rossi, Guido Giughini, Gilda Grillandi, Ulisse Lorenzini, Renato Maccagnani, Giuseppe Marani, Aurelio Marinelli, Giuseppe Marzocchi, Primo Monti, Gaetano Nadalini, Cesare Orsini, Salvatore Sambra, Gaetano Sammarchi, Umberto Sangiorgi, Attilio Sarti, Fedele Tabarroni, Luigi Torrini, Antonio Vitali, Luigi Vancini, Giuseppe Venturi, Aristide Zunarelli. 

Il questore Luigi Poli - che aveva incoraggiato e aiutato l’assalto fascista, mentre il prefetto e il comandante dei carabinieri si erano dichiarati contrari - addossò la responsabilità della sparatoria al PSI e fece arrestare 331 dirigenti e militanti socialisti presenti nel palazzo o nelle piazze.
In serata furono rilasciati quasi tutti, meno una quindicina.
Non un solo fascista fu arrestato, a cominciare da Leandro Arpinati che aveva guidato l’assalto.
Il prefetto - dal momento che Gnudi non aveva avuto la sensibilità né il coraggio di riconvocare il consiglio, per completare la nomina della giunta - nominò un commissario straordinario.
Nelle settimane seguenti - mentre la violenza fascista dilagava nella provincia e il fronte operaio si divideva e indeboliva con la scissione comunista - il questore fece arrestare decine di dirigenti e militanti socialisti con le accuse più incredibili e inconsistenti. La montatura poliziesca fu sgonfiata dalla magistratura, dalla quale furono prosciolti in istruttoria e liberati, sia pure dopo una lunga detenzione, quasi tutti gli arrestati.
Furono fermati, prosciolti in istruttoria e liberati: Filippo Armaroli, Ettore Baldi, Pietro Bertoni, Adriano Bigliardi, Alfredo Cambisi, Casimiro Casucci, Mario Cavazza, Beniamino Feruglio, Mario Forlani Gustavo Frabetti, Sebastiano Franchi, Gian Giacomo Guglielmini, Luigi Lanzi, Enrico Magli, Edoardo Magnelli, Arturo Mattei, Aurelio Minghetti, Enrico Moskovitz, Giuseppe Spada, Carlo Tolomelli, Ildebrando Venturi, Romeo Zanardi, Cesare Zanghi, Silvio Zeccardi. Furono arrestati, denunciati, prosciolti in istruttoria e liberati: Celestino Benuzzi, Sante Bernardini, Lodovico Bonora, Eugenio Cioni, Sisto Collina, Attilio Contini, Raffaele Faccioli, Ernesto Ghedini, Aldo Giovannini, Egisto Grandi, Carmelo Graziani, Augusto Lolli, Angelo Macaluso, Armando Mazzoli, Domenico Mei, Aldo Milzani, Attilio Sangiorgi, Giuseppe Tampellini, Augusto Tantini, Lorenzo Zamboni. Furono rinviati a giudizio: Armando Cocchi, Vittor0io Martelli, Pio Pizzirani, latitanti; Ettore Bidone, Nerino Dardi, Teodorico Frattini, Renato Gaiani, Angelo Galli, Alfredo Gelosi, Corrado Pini, Mauro Raimondi, Abramo Roncagli, Pietro Venturi, detenuti. 
Il processo, indiziario, iniziò il 17.1.1923 davanti alla corte d’assise di Milano. Il 10.3.1923 Venturi fu condannato a 13 anni, 4 mesi e 10 giorni per complicità nell’omicidio di Giordani e Dardi a 9 mesi e 5 giorni per porto abusivo d’arma.
Gli altri furono assolti con formula piena. I 3 latitanti - processati a porte chiuse e con difensori d’ufficio, mentre il dibattito durò un giorno ebbero l’ergastolo. [O]

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Verso i fatti di palazzo d'Accursio
Verso i fatti di palazzo d'Accursio

Nazario Sauro Onofri e Brunella Dalla Casa, raccontano i fatti che nel 1920 portarono all'epilogo della strage di palazzo d'Accursio

La strage di palazzo d'Accursio
La strage di palazzo d'Accursio

Nazario Sauro Onofri racconta i fatti sulla strage di palazzo d'Accursio

Documenti
La strage di Palazzo D'Accursio
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Questo libro di Nazario Sauro Onofri è il naturale seguito di un altro testo dello stesso autore chiamato "La Grande Guerra nella città Rossa" edito nel 1966

Bibliografia
Eccidio di Palazzo d'Accursio
Manaresi A.
1942 Roma
Gente di Romagna
Manetti D.
1924 Bologna Cappelli
Giulio Giordani e l'eccidio di Palazzo d'Accursio (Ricordi di battaglie)
Manaresi A.
1928
Giulio Giordani martire del fascismo
Del Fante A.
1934 Bologna Galeri
I fatti di Palazzo d'Accursio
Bassi E.
1964 Roma Editori riuniti
I fatti di Palazzo d'Accursio e l'assassinio Giordani
Battistelli L.
1969
La strage di Palazzo d'Accursio
Onofri N.S.
1980 Milano Feltrinelli
La strage di Palazzo d'Accursio
V. Pellizzari
Per l'avvocato Giulio Giordani nel decennale della rivoluzione fascista e 12. anniversario del martirio : discorso tenuto il 21 novembre 1932-XI nell'aula della Corte d'Assise
Masetti Foschi A.
1933 Bologna Societa tipografica gia Compositori
Presagi alla nazione
Federzoni L.
1925 Milano Mondadori
Ricordi della mia vita
Ruggi G.
1924 Bologna Cappelli
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