Salta al contenuto principale Skip to footer content

La sete dei crociati

1852 ca.

Schede

Alessandro Guardassoni (1819 - 1888), La sete dei Crociati, 1852. Ubicazione: Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 645, in deposito presso il Comando Legione Carabinieri “Emilia-Romagna”. La sete dei crociati è tra i dipinti di Guardassoni forse il meno considerato dalla critica. In parte è la conseguenza dell’apprezzamento unanime e senza scosse che ha riscontrato con costanza nel tempo e in parte forse anche perché non si sono mai proposti problemi derivanti dall’inquadramento di eventuali repliche - diversamente da quanto accaduto per L’Innominato e il Trasporto - volte a far fronte a necessità espositive, o a illustrare le teorie del pittore sulla stereoscopia. La fotografia è certamente una ripresa del dipinto oggi nella collezione della Pinacoteca Nazionale di Bologna, che vinse nel 1852 il premio grande in pittura storica all’Accademia delle belle arti e che meritò all’artista la nomina a Socio d’onore dell’Accademia. Il soggetto era di gran moda sin dalla pubblicazione del poema di Tommaso Grossi (1790 - 1853) I Lombardi alla prima crociata (1826), da cui Verdi (1813 - 1901) aveva tratto l’omonimo melodramma su libretto di Temistocle Solera (1815 - 1878). Il confronto artistico diretto è però il grande dipinto corale - La sete dei primi crociati sotto Gerusalemme - con cui Francesco Hayez (1791 - 1882) aveva dato la propria interpretazione del canto XII di Grossi; la tela del pittore veneziano, commissionata da Carlo Alberto nel 1833, era stata collocata nella sala delle guardie del corpo in Palazzo Reale a Torino nel 1850. Nella carriera di Guardassoni il dipinto si inserisce quale culmine della sua formazione giovanile: a Modena con Adeodato Malatesta (1843 - 1845), a Firenze, con rientri in patria, tra il 1845 e il 1847, e completata da un viaggio a Parigi – passando per Torino – nell’autunno del 1849. Di conseguenza si può dire che questo quadro risente, in maniera diretta e non mediata dalle stampe, della pittura europea di quegli anni e in particolare, a queste date, prima del 1850, del francese Paul Delaroche (1797 - 1856), ad esempio nella figura della giovane – peraltro dal viso in gran parte nascosto, con gesto di grande efficacia nell’atto di bere.

Da intendersi come “un giudizioso compromesso di alto livello tecnico nell’ambito figurativo dell’ormai maturo Romanticismo storico. La semplificazione quasi geometrica della scena, debitrice ancora a Malatesta, rimanda infatti a modelli neorinascimentali. Ma il purismo del maestro è temperato da un più marcato naturalismo formale, che non disdegna un recupero, sia pure assai parziale e pacato, delle poetiche del Seicento locale […] (Zacchi in Pinacoteca Nazionale 2013, n. 120, pp. 137-138)”, non manca di accorte citazioni del mondo accademico bolognese: lo scorcio del vecchio sulla sinistra con le gambe allungate a terra e in generale la composizione piramidale non possono non essere un ricordo del Dario morente di Masini, che Guardassoni aveva anche copiato come esercizio accademico nel 1842 (Bologna 2019-2020, fig. 2 a p. 26). D’altronde Guardassoni non fu l’unico, dato che la stessa soluzione era stata adottata da Ippolito Bonaveri per la sua Morte di Zerbino, vincitore del Premio Grande Curlandese di Pittura nell’anno precedente.

Isabella Stancari

Testo tratto da: Isabella Stancari, 'Il Primo album fotografico Belluzzi e i pittori bolognesi della Seconda metà del secolo XIX', Bollettino del Museo civico del Risorgimento, Bologna, anno LXIII - LXVI, 2018 – 2020, Bologna, 2022. Bibliografia: Masini 1852, p. 6; Patrizi 1965; Bologna 1980, p. 101; Bologna 1983b, p. 150; Martinelli Braglia 1991, p. 863; Bologna 1994, p. 105; Bologna 1997, p. 9; Bologna 2006, pp. 28, 87, 89; Pinacoteca Nazionale 2013, n. 120, pp. 135-138; Bologna 2019-2020, pp. 17-18, 27, 147.