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La macchina dell'orologio della Torre di Medicina

1820 | 1995

Schede

Dalla seconda metà del Cinquecento, quando a Medicina venne eretta la Torre dell’Orologio, probabilmente si sono avvicendate diverse macchine che segnavano l’ora, prima sul quadrante – a 24 ore- di settentrione, poi, fino al 1824, funzionava un movimento mosso da grossi pesi di “macigno” alzati una o più volte al giorno, che oltre a muovere le lancette sul nuovo quadrante di occidente - a 12 ore – suonava le sole ore “all’italiana”. Non si sa se la macchina ripetesse il suono delle ore a distanza di due minuti, come l’orologio della Torre di Piazza Maggiore a Bologna: si sa invece che l’orologio settecentesco di Medicina “alle due ore di notte” (le otto di sera) azionava una soneria che martellava sulla campana “cento botti”: era un segnale di antica tradizione che annunciava la chiusura delle porte del castello e determinava la separazione tra il giorno e la notte. Nel 1820 – appena tramontato l’impero napoleonico e ristabilito lo Stato pontificio – gli amministratori comunali di Medicina decidono di restaurare e ammodernare l’orologio per renderlo idoneo a segnalare le ore e i quarti d’ora “alla francese”.

Il consiglio comunale, retto dal gonfaloniere Pietro Simoni, incarica perciò l’orologiaio medicinese Vincenzo Burzi – che doveva già godere di una notevole padronanza del mestiere di costruttore di orologi – a modificare la vecchia macchina in funzione. Presto il Burzi si accorse però che non sarebbe valsa la pena di adattare, con riparazioni ed aggiunte, il vecchio meccanismo – a suo giudizio ormai consunto – e pertanto propose alla municipalità la costruzione di una macchina completamente nuova, la vendita della vecchia e la fusione di una seconda campana per il suono dei “quarti”. Approvata questa proposta, Burzi, nell’arco di quattro anni, compie le varie fasi dell’impegnativa operazione: progetto, preparazione dei materiali ed esecuzione di ogni singolo pezzo del grande congegno. Vincenzo Burzi porta a termine l’impresa con la collaborazione del fabbro Pietro Sarti, dell’ottonaro Francesco Zelini, di un falegname per le forme e le sagome in legno delle ruote dentate, infine con le anticipazioni finanziarie accordategli da Paolo Valenti. Il lavoro compiuto dal Burzi ha del sorprendente: a parte le eccezionali dimensioni del movimento, alto circa un metro, largo altrettanto e profondo 80 centimetri, era azionato da tre pesi in “macigno” di quasi 30 chilogrammi ciascuno, che muovevano i tre settori della macchina (il tempo, la suoneria delle ore e quella dei quarti) e scandito da un pendolo di oltre 2 metri d’altezza. Ci si trova di fronte ad un’opera di cultura e professionalità specializzata che a Medicina non potevano essere nate dal nulla. Purtroppo in città non sono note altre opere di Burzi, ma si sa che a Medicina era attivo un altro valente orologiaio: Angelo Micheli, del quale resta la macchina dell’orologio della sagrestia di San Mamante.

Quando nel 1964 fu sostituita l’antica macchina dell’orologio della Torre civica – ormai logora per i 140 anni di servizio – con un più moderno congegno elettrico, ci si rese immediatamente conto del notevole pregio che l’antico manufatto possedeva: in se stesso come capolavoro di meccanica ma anche quale documento storico. Dapprima esposta al pubblico du poi destinata all’appena costituito Museo civico di Medicina. Nel 1995, grazie ad un intervento di recupero, è stata sottratta ad anni di abbandono. La passione e la precisa conoscenza dell’orologiaio Giuseppe Dall’Olio, appartenente alla famiglia che da anni si tramanda la cura dell’orologio pubblico, ne hanno consentito il rimontaggio.

In collaborazione con il Comune di Medicina.