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Servizio sanitario partigiano

Eccidio 9 dicembre 1944

Schede

Nei venti mesi della lotta di liberazione numerosi partigiani ammalati o feriti furono ricoverati sotto falso nome in ospedali pubblici, i cui dirigenti collaboravano con il CLN.
I principali centri di ricovero furono l’Ospedale ortopedico militare Putti (attiguo al Rizzoli), l’Ospedale militare Marconi (allestito nei locali della scuola di via Laura Bassi, a Bologna), l’Ospedale S. Orsola e l’Ospedale consorziale di Bentivoglio.
In alcune abitazioni private furono allestite infermerie clandestine, mentre qualche brg, come la 36a Bianconcini Garibaldi, organizzò autonomi servizi sanitari.
Responsabile del servizio sanitario del CUMER e coordinatore d’ogni attività fu il medico Giuseppe Beltrame “Pino”. Lunghissimo è l’elenco dei medici e degli studenti di medicina - molti dei quali caduti - che prestarono la loro opera per il servizio sanitario partigiano.
La più grossa struttura sanitaria - un vero e proprio ospedale in miniatura - fu allestita in località Ravone, in via Duca d’Aosta 77 (oggi via Andrea Costa). In una palazzina (demolita e interamente rifatta nel dopoguerra) fu sistemata una sala operatoria con medici e infermieri. La maggior parte delle attrezzature e dei medicinali era stata fornita da Oscar Scaglietti, direttore del Putti. Oltre a Beltrame, i medici erano un non meglio identificato Vincenzi e un ufficiale austriaco che aveva disertato dalla Luftwaffe, l’aviazione tedesca. Gli infermieri erano Cesare Barilli e Bruno Nadalini dipendenti dell’istituto psichiatrico Roncati, e le operaie Ada Pasi e Stella Tozzi.
Ha scritto Beltrame: «Severe e precise disposizioni vennero impartite per mantenere il più possibile segreta la vita del piccolo ospedale clandestino, per non destare pur minimi sospetti nella zona e per assicurare i necessari rifornimenti senza turbare il funzionamento delle attività sanitarie. La villetta doveva sembrare disabitata. Per questo le finestre dovevano rimanere permanentemente chiuse. Tutti i movimenti dall’esterno dovevano effettuarsi all’imbrunire, nelle ore che precedevano il coprifuoco».
I contatti con l’esterno erano assicurati da Pietro Vassura.

Dopo avere funzionato a ritmo ridotto per tutta l’estate 1944, l’infermeria si affollò di feriti gravi all’indomani delle battaglie di Porta Lame del 7 novembre e della Bolognina del 15 successivo.
Ai primi di dicembre, quando la maggior parte dei feriti era in via di guarigione, il CUMER decise di abbandonare lo stabile per motivi di sicurezza.
Il 9 dicembre 1944 - uno o due giorni prima dello sgombero - i fascisti circondarono la palazzina. Catturarono 14 partigiani degenti - solo uno riuscì a fuggire da una finestra - e l’ufficiale austriaco. L’infermeria era stata scoperta a seguito della delazione di una partigiana - di nome Veronica - curata nell’estate e quindi passata al nemico.
Trasportati nella caserma delle brigate nere in via Magarotti (oggi via dei Bersaglieri), i 14 partigiani furono seviziati e fucilati il 13 dicembre al poligono di tiro, unitamente al medico austriaco.
I caduti sono: Arrigo Brini, Giancarlo Canella, Franco Dal Rio, Settimo Dal Rio, Ardilio Fiorini, Gian Luigi Lazzari, Rossano Mazza, Lino Panzarini, Enrico Raimondi, Luciano Roversi, Riniero Turrini, Giorgio Zanichelli, Nicolai un partigiano sovietico, un partigiano olandese, il medico austriaco.
Questi i medici partigiani e gli studenti in medicina caduti durante la Resistenza: Pietro Busacchi, Carlo Martinez Collado, Francesco D’Agostino, Enea Macentelli, Renato Moretti (studente), Giovanni Battista Palmieri (studente), Vittorio Patrignani, Gilberto Remondini (studente), Ferruccio Terzi. [O]