Salmi Giulio

19 Maggio 1920 - 21 Gennaio 2006

Note sintetiche

Titolo di studio: Scuola media secondaria
Occupazione: Sacerdote

Riconoscimenti

  • Partigiana/o ( 1 maggio 1944 - 21 aprile 1945)

Onorificenze

  • Riconoscimento e Premi Amministrazioni locali

    Per la sua attività, è stato insignito delle medaglie d'oro dei comuni di Bologna, Lucca e Capannori (LU), della provincia di Bologna e Lucca.
    In occasione del 50° della Resistenza gli è stato conferito il Nettuno d'oro.

Scheda

Giulio Salmi, da Giuseppe e Gaetana Piana; nato il 19 maggio 1920 a San Lazzaro di Savena. Nel 1943 residente a Bologna. Sacerdote.
La prima educazione religiosa gli fu impartita in famiglia ed in particolare dalla madre "donna povera ed umile" che influì molto sulla sua scelta sacerdotale. Sesto genito di una coppia di braccianti del Farneto (San Lazzero di Savena), rimasto orfano di padre all'età di otto anni, durante l'estate "per sbarcare il lunario" si recava nella villa seminariale del Farneto, trascorrendo le giornate con i seminaristi.
Nell'ottobre 1932 fu accolto a Bologna nel collegio dei Buoni fanciulli di don Filippo Cremonini, posto in via Zamboni, 59. La bontà e carità di don Filippo lo aiutarono a superare il primo impatto con la città e ad adattarsi alla disciplina collegiale.
Maturata la vocazione sacerdotale durante gli anni liceali, nell'estate 1935 si recò a San Zeno in Monte (VR) per gli esercizi spirituali diretti da don Giovanni Calabria che incise molto sulla sua formazione, insegnandogli a confidare totalmente nella Divina Provvidenza. Entrato in Seminario nell'ottobre, nel 1939 vestì l'abito talare.
Nel 1941 frequentò i corsi di formazione per i cappellani del lavoro istituiti dal card. G.B. Nasalli Rocca che, durante la visita pastorale al Farneto del 1927, era rimasto impressionato dalla bravura del Nostro nella tradizionale disputa sulla catechesi.
Nell'estate 1943, in preparazione dell'ordinazione, si recò a Maguzzano (VR) per gli esercizi spirituali diretti da mons. Ferretti, incentrati sulla povertà evangelica e sull'attività per i poveri svolta a Rifredi (FI) da don Giulio Facibeni, altro modello per il futuro presbitero.
Ordinato sacerdote il 18 dicembre 1943, per alcuni mesi fu cappellano di San Paolo Maggiore.
Nel febbraio 1944 il cardinale gli chiese di esercitare il suo ministero presso le Caserme rosse che i nazifascisti avevano trasformato da caserma militare in centro di smistamento di manodopera coatta da impiegare o nei lavori della Todt sulla linea gotica, o da inviare in Germania per l'industria bellica. Ottenuto il permesso dal colonnello tedesco Friedmann del comando piazza, dalla fine del febbraio al 10 ottobre 1944 prestò assistenza religiosa per migliaia di persone ammassate in queste caserme, poste nel quartiere della Bolognina (Bologna) e tristemente rimaste famose con il nome di "Casermette rosse".
Il giovane presbitero, dotato di "carità audace e perseverante" come l'ha definita don Giuseppe Dossetti, confidando nella Divina Provvidenza secondo l'insegnamento di don Calabria, superato l'iniziale imbarazzo per la tragica realtà in cui doveva operare, profuse tutte le sue energie, in una totale rinuncia di se stesso, per aiutare una famiglia di oppressi che cresceva di giorno in giorno. Ai primi pochi "volontari" seguirono nella primavera i 200 carabinieri, rei di non aver prestato giuramento alla RSI e dal maggio, migliaia di uomini, tra cui un gruppo di donne e di sacerdoti, di ogni età e condizione sociale, rastrellati nelle Marche, in Umbria, in Emilia e in Romagna e soprattutto in Toscana, violentemente strappati ai loro familiari, segnati dalla stanchezza, dalla fame, dalla disperazione, dall'incerteza del futuro, vennero ammassati in questo centro di smistamento in attesa di essere o deportati a Fossoli (Carpi - MO) o impiegati nei lavori della Todt sulla linea gotica.
All'inizio del suo ministero "il pretino piccolo e magro" non si preoccupò del giudizio che i nazifascisti avrebbero espresso sul suo operato, ma della strada da seguire per avvicinare i rastrellati, per ottenerne la fiducia, per far capire loro che volontariamente e liberamente aveva scelto di stare fra i sofferenti. E la celebrazione eucaristica gli consentì di avvicinarli, di rimuovere la loro diffidenza. Le omelie, le confessioni, i colloqui individuali furono occasioni per confortarli, per sostenerli, per trasmettere loro il messagio "della mia totale disponibilità a servirli secondo l'insegnamento del Cristo", per infondere in loro il coraggio di opporsi alla sopraffazione, "la speranza in una società più giusta, pur in presenza di una realtà dominata dall'incertezza e dalla morte". Apprendere che "al di là dei reticolati un'intera città era pronta ad aiutarli, ad ospitarli anche a proprio rischio e pericolo" fece ritrovare loro gradualmente la dignità di uomini. All'inizio della sua opera, infatti, aveva avviato l'organizzazione della rete degli aiuti. Da mons. Felice Gallinetti ottenne il permesso per la collaborazione delle suore Madide e Raffaella dell'ordine delle Visitandine dell'Immacolata per la confezione dei pasti.
All'interno del campo, il servizio medico sanitario, diretto dal dott. Antonio De Biase", falsificò molti certificati sanitari, evitando la deportazione di centinaia di persone.
Nacque la Pro Rastrellati (PRORA) in cui confluirono gli aiuti economici del cardinale, delle parrocchie, della CRI, delle istituzioni civili e in cui operarono altri sacerdoti tra cui mons. Emilio Faggioli, don Guerrino Fantinato, mons. Luciano Gherardi, p. Innocenzo Maria Casati, il diacono Libero Nanni, i giovani fucini G.B. Dore, Roberto e Rosalia Roveda, Vittoria Rubbi, Gianni Pellicciari, uomini dell'AC Alfonso e Giorgio Melloni, Angelo Salizzoni e tanti altri. Le parrocchie, i conventi, lo stesso Seminario, i centri di raccolta degli sfollati, gli ospedali ospitarono, fino alla liberazione, centinaia di rastrellati evasi dalle Caserme rosse o fuggiti dai campi di lavoro itineranti. Instancabile nella sua attività, la sera a bordo della sua bicicletta, rubatagli poi da un soldato delle SS, si recava a Porta Saragozza per consegnare ai camionisti del pastificio di Corticella le lettere dei rastrellati da recapitare agli arcivescovi di Firenze e Lucca.
Nell'ottobre 1944 la direzione delle Caserme rosse passò dalla Wehrmacht alle SS. Accusato di favorire la fuga dei rastrellati, venne a lungo interrogato e, nonostante fosse minacciato di morte, non rivelò nulla dell'organizzazione.
Il 10 ottobre 1944, diffidato dal non mettere più piede nel campo, venne buttato fuori a calci. Al suo posto subentrò la crocerossina Bice Braschi fino al 12 dicembre 1944 quando un bombardamento distrusse il centro. Confortato e sorretto dal cardinale, il 25 ottobre 1944 riottenne il permesso per prestare assistenza religiosa ai rastrellati rinchiusi nella Caserma d'artiglieria di Porta d'Azeglio. Per il Natale il comando tedesco gli concesse il permesso di celebrare messa per i rastrellati che lavoravano per la Todt sulle colline bolognesi, ai quali furono consegnati i pacchi natalizi confezionati, in pochissimo tempo, dalle ragazze della Pro-Ra. In quella occasione non gli fu accordato il permesso della confessione. "I comandanti nutrivano nei miei confronti molti sospetti, ma non avevano le prove".
Appreso che a Conselice (RA) don Gianstefani aveva organizzato un centro di raccolta per ex rastrellati, vi si recò per portare aiuti e giornali clandestini, rischiando ancora una volta di esser catturato dai tedeschi.
Liberata Bologna, in collaborazione di P. Casati e del Centro S. Domenico, riuscì ad organizzare il trasporto a Firenze di migliaia di rastrellati toscani.
Deceduto per malattia il 21 gennaio 2006.
Riconosciuto partigiano nella 6a brg Giacomo dall'1 maggio 1944 alla Liberazione. [AQ]
Testimonianza in RB3 e in: Eucarestia e vita dal Medioevo ad oggi, a cura di L. Aquilano, Atti del Congresso eucaristico diocesano, Bologna, 1988; L. Gherardi, Appunto storici e nodi della memoria, Bologna, 1994; L. Aquilano, "...Vengono i tedeschi e ci prendono in casa", Bologna, 1995.

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