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Carmine Pastore Mancinelli

18 gennaio 1889 - 30 Ottobre 1979

Scheda

Carmine Pastore Mancinelli, da Vincenzo e Clelia Giavaroli; nato il 18 gennaio 1889 a Belvedere Ostrense (AN). Nel 1943 residente a Bologna. Laureato in Giurisprudenza. Avvocato. Iscritto al PRI e successivamente al PSI.
Aderì agli ideali mazziniani nel 1905 ad Ancona, dove fu arrestato per propaganda antimilitarista. Nel 1913 si avvicinò al movimento socialista. Partecipò alla prima guerra mondiale come ufficiale e rimase gravemente ferito al braccio destro sul Carso. Smobilitato nel 1916, vinse il concorso di segretario comunale e fu assegnato a Budrio. Qui prese parte attiva alla lotta agraria nel 1920, e nel 1921 si iscrisse al PSI. Per l'intensa attività politica subì numerose aggressioni da parte dei fascisti.

L'1 giugno 1921 fu bastonato a Budrio riportando la frattura del braccio destro. Costretto dagli squadristi a lasciare il Comune, potè farvi ritorno il 29 settembre 1921. L'8 dicembre 1921, mentre si trovava nella piazza centrale di Budrio, intento a parlare con un compagno di partito, subì una nuova aggressione sotto gli occhi indifferenti dei carabinieri. Quando estrasse la rivoltella per difendersi, i militi si affrettarono ad arrestarlo. Fu denunciato per porto abusivo d'arma e il 10 gennaio 1922 condannato a 25 giorni di reclusione. Nel marzo 1922, mentre si trovava a Bologna, venne rapito dai fascisti e trasportato nella cantina-prigione che si trovava sotto la sede del fascio in via Marsala 30. Per estorcergli una dichiarazione politica contro il PSI a favore del fascio, fu invano bastonato per una giornata intera e minacciato di morte. L'1 maggio 1922 a Budrio durante il comizio celebrativo della Festa del lavoro, fu aggredito da una squadra fascista guidata da Arconovaldo Bonacorsi. Per quanto ferito gravemente al capo, portò a termine il discorso. Il 5 settembre 1922 nuova aggressione: mentre stava uscendo dalla sede municipale di Budrio, venne fatto ripetutamente segno al lancio di sterco di bue. Pochi giorni dopo ricevette un nuovo «bando» fascista. Non avendo lasciato né l'impiego né il Comune, l'8 gennaio 1923 subì l'ennesima bastonatura e lasciato per strada, perché ritenuto morto. Aveva riportato una grave commozione cranica, dalla quale si riprese dopo lunga degenza. Ripresentatosi al lavoro presso il municipio, l’1 febbraio 1923 il sindaco fascista lo sospese dalla carica di segretario comunale. Pochi giorni dopo il prefetto gli intimò di lasciare la provincia di Bologna e di tornare al comune natale. Si recò a Roma, ma venne immediatamente arrestato e trattenuto in carcere per 15 giorni. Una volta rimesso in libertà, scrisse una lettera aperta a Benito Mussolini - apparsa sull"'Avanti" il 24 marzo 1923 - per protestare contro le continue persecuzioni cui veniva sottoposto e perché gli era impedito di lavorare, dopo essere stato licenziato dal comune di Budrio.

Dopo un breve soggiorno romano, si trasferì a Bologna e aprì uno studio legale. Si dedicò alla difesa degli antifascisti davanti ai tribunali normali e a quello speciale. Tra i suoi patrocinati vi fu Umberto Terracini. Per questa attività politico-legale subì nuove persecuzioni e lo studio fu più volte invaso e devastato dai fascisti. In quegli anni ricoprì numerosi incarichi direttivi nella federazione del PSI.

Il 31 dicem,bre 1923, mentre partecipava a una riunione regionale, presente Pietro Nenni, per la preparazione delle liste in vista delle imminenti elezioni politiche, fu arrestato unitamente a una quindicina di compagni. Fece parte della redazione de "La Squilla", il settimanale della federazione del PSI, e nel 1924 si presentò candidato alla Camera nelle elezioni politiche, senza essere eletto. Nel novembre 1926, con la soppressione delle residue libertà costituzionali, fu arrestato con numerosi altri dirigenti socialisti.

Il 27 novembre 1926 venne assegnato al confino di polizia per 5 anni perché «svolge attività antifascista e difende imputati sovversivi». Andò prima alle Tremiti (FG) e poi a Ustica (PA), dove nell'ottobre 1927 fu arrestato con altri 56 antifascisti - tra i quali i socialisti bolognesi Giuseppe Bentivogli, Luigi Fabbri, Giuseppe Massarenti, Giulio Miceti, Erminio Minghetti, Marcellino Toschi e Amleto Villani - per «l'attività sovversiva da essi svolta nell'isola» e «ricostituzione di partiti disciolti, incitamento all'insurrezione e propaganda sovversiva». Dopo 10 mesi di carcere, a Palermo e Salerno, fu prosciolto dal Tribunale speciale, come tutti gli altri imputati. Inviato nuovamente al confino, ma a Ponza (LT), vi restò fino al 25 novembre 1931. Classificato come elemento politicamente pericoloso, fu iscritto alla «3a categoria» riservata alle persone da arrestare per motivi precauzionali. Tornato a Bologna, faticò a lungo prima di poter riaprire lo studio professionale, sia perché era stato escluso dall'Ordine degli avvocati, sia perché la polizia compiva opera di intimidazione nei confronti dei proprietari degli stabili che avrebbero dovuto affittargli i locali.

Per la sua famiglia furono anni di privazioni e di fame. Più volte la polizia minacciò i clienti dello studio, in massima parte operai e contadini. Per tutto il ventennio fascista, nonostante le persecuzioni e le minacce, non solo restò fedele ai propri ideali, ma tenne continui contatti sia con i socialisti bolognesi sia con quelli di altre città. Il 31 marzo 1939 unì la propria firma a quella di altri avvocati in calce al necrologio di Eugenio Jacchia - che era massone, ebreo e antifascista - su "il Resto del Carlino". Quel necrologio fu considerato una sfida al regime e venne ritirata la tessera del PNF agli avvocati fascisti che lo avevano sottoscritto. Nel settembre 1942, nel suo studio di via Castiglione 23 fu organizzata la federazione bolognese del PSI, presenti numerosi esponenti socialisti tra i quali Roberto Vighi, Alberto Trebbi e Verenin Grazia. Nello stesso periodo fu nominato con Grazia rappresentante del PSI nel Comitato unitario d'azione antifascista, il primo organismo unitario bolognese. Sia prima sia dopo la caduta della dittatura, ricoprì numerosi incarichi politici. Nel periodo badogliano fu redattore di "Rinascita" il periodico clandestino del Comitato unitario che, nel frattempo, era stato ribattezzato in Fronte unitario per la pace e la libertà. Ai primi di agosto, nello studio di Vighi - in via Santo Stefano 18, presente Pietro Nenni - prese parte alla riunione per l'unificazione tra PSI e MUP. Il 25 agosto fu uno dei sette delegati bolognesi inviati a Roma alla riunione per la riunificazione nazionale del partito. Nell'occasione fu eletto membro della direzione nazionale del PSI (che allora si chiamava PSUP).

L'8 settembre 1943, nelle ore precedenti l'annuncio dell'armistizio, con Ettore Trombetti si recò dal comandante del Corpo d'armata bolognese per chiedere che venissero distribuite le armi ai cittadini decisi ad affiancarsi all'esercito per combattere contro i tedeschi. L'alto ufficiale respinse la richiesta e oppose un secondo rifiuto nel cuore della notte quando, dopo l'annuncio ufficiale dell'armistizio, gli venne nuovamente rivolta la richiesta di armare il popolo. Con l'inizio della lotta di liberazione fu nominato rappresentante del PSI nel CLN all'interno del quale sostenne con decisione la soluzione della guerra totale contro i nazifascisti e si battè contro le posizioni attendiste che affiorarono sia all'interno del mondo antifascista sia del PSI. Nel dicembre 1943 fu chiamato a Roma dalla direzione del PSI. Nella capitale partecipò attivamente alla lotta armata sino alla Liberazione. A Bologna, intanto, fu a lungo quanto vanamente ricercato dalla polizia fascista. L'ultimo rapporto che lo riguarda è dell'1 marzo 1945, nel quale è detto che, molto probabilmente, si era trasferito a Roma. Nella capitale ricoprì vari incarichi politici e fu commissario della Banca Nazionale del Lavoro.

Rientrato a Bologna nell'aprile 1945, assunse incarichi di responsabilità sia nel PSI sia in sua rappresentanza. Testimonianza in RB1.

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