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Arturo Colombi detto/a Alfredo

22 luglio 1900 - 6 Dicembre 1983

Scheda

Arturo Colombi, «Alfredo», da Luigi e Polissena Bonucelli; nato il 22 luglio 1900 a Massa Carrara. Licenza elementare. Dal 1909, con i familiari, prese residenza a Vergato. Finita la 5a elementare, dovette occuparsi come manovale muratore.
Gli scioperi operai e le manifestazioni dei socialisti contro l'impresa colonialista in Libia lo determinarono a simpatizzare con i socialisti, alle lettura dell'«Avanti!» e alla scelta del lavoro in cooperativa.
Appena raggiunti i 14 anni, il 22 luglio 14, si iscrisse alla lega e alla federazione giovanile socialista. Da allora, per diversi anni, fece il diffusore di «Avanguardia socialista».
A 16 anni divenne segretario della FGSI di Vergato, e, tre anni dopo, segretario della lega muratori e del comitato direttivo della Camera del lavoro locale, nonché componente del direttivo del sindacato provinciale muratori.
Appena fondato il PCI, il 21 gennaio 1921, vi aderì; contribuì alla costruzione dell'organizzazione comunista nel bolognese; fu segretario della sezione di Vergato.
Per la sua ferma opposizione fu perseguitato ed aggredito dai fascisti locali. Venne arrestato dopo l'attentato compiuto la sera del 17 maggio 1921 contro l'abitazione del segretario del fascio di combattimento di Vergato, assieme a numerosi altri anarchici militanti di sinistra (fra essi Giuseppe Barbieri; Ferruccio Bortolotti; Enea Bussi; Ernesto, Giuseppe e Primo Cassani; Angelo e Mario Gherardi; Giuseppe Lamberti; Alberto Lanzarini; Giovanni, Lorenzo e Mario Magelli; Artemisia Palmieri; Claudio Pasquini; Umberto Sangiorgio). Tutti furono accusati di complotto e attentato dinamitardo punibile con la legge Crispi del 1894.
Del gruppo degli arrestati, lui e altri 11 furono trattenuti in carcere per l'istruttoria che si concluse con l'assoluzione di tutti nel dicembre dello stesso anno. Venne arrestato una seconda volta nel febbraio 1923, nel corso delle retate che colpirono l'organizzazione comunista su scala nazionale; coimputato assieme a molti altri dirigenti comunisti (dei quali 26 arrestati a Bologna) venne assolto in istruttoria. Condannato alla disoccupazione dai padroni e dai fascisti, emigrò in Francia nel 1923 e, con tanti altri muratori italiani esuli, lavorò alla riedificazione di Reims, distrutta dai bombardamenti tedeschi durante il conflitto mondiale 1914-18. Trasferitosi a Lione, divenne dirigente dei gruppi comunisti italiani della regione lionese. Partecipò al III congresso nazionale del PCI che si svolse a Lione nel gennaio 1926.
Divenuto uno dei cosiddetti «svoltisti», lasciò l'organizzazione francese e si dedicò al lavoro verso l'Italia. Fece parte della delegazione del PCI che partecipò a Mosca al VI congresso dell'Internazionale comunista (luglio-settembre 1928). Si trattenne poi in URSS dove frequentò l'università leninista.
Nel 1931 venne cooptato nel comitato centrale del PCI e, l'anno successivo, membro candidato dell'ufficio politico. Dal 1931 al 1933 fu responsabile del centro interno del partito e svolse attività clandestina nell'Italia centro-settentrionale, facendo la spola con il centro estero. Ebbe lo pseudonimo di Bruno. Il 10 settembre 1933 venne arrestato a Genova; dopo diversi mesi di carcere e di confino nell'isola di Ponza (LT), il 16 luglio1934 fu processato dal Tribunale speciale assieme ad 11 altri comunisti, tra i quali numerosi di La Spezia.
Di fronte ai giudici fascisti si proclamò rivoluzionario e rifiutò di fornire informazioni sul proprio operato. Così fece anche il coimputato Pietro Vergani: entrambi furono condannati a 18 anni di carcere. Dopo aver scontato 7 anni e 6 mesi di pena, diversi a Civitavecchia (Roma), per via di condoni ed amnistie doveva essere liberato il 10 marzo 1941.
Tradotto a Bologna il 15 aprile 1941, l'apposita commissione provinciale lo condannò a 5 anni di confino e quindi fu inviato nell'isola di Ventotene (LT).
Dopo la caduta di Mussolini, venne liberato dal governo Badoglio il 20 agosto 1943. Tornò a Vergato, dove gli venne affidata la responsabilità di segretario della federazione comunista bolognese. Dopo l' 8 settembre 1943, per ragioni clandestine, fu inviato a Torino, dove fu segretario della federazione comunista di quella città e responsabile del triumvirato insurrezionale di partito per il Piemonte.
Diresse gli scioperi operai del novembre 1943, quelli della primavera 1944, e quelli del giugno e poi dell'agosto 1944. Nello stesso tempo diresse la nuova serie del periodico clandestino «II Grido di Spartaco», che stimolò la lotta partigiana piemontese. Nel febbraio 1945 divenne direttore de «l'Unità», edita clandestinamente a Milano; tale funzione continuò anche quando «l'Unità», dopo la Liberazione, divenne quotidiano. Dalla fine di febbraio dello stesso anno, in sostituzione di Eugenio Curiel, diresse «La Nostra lotta», la rivista teorica clandestina del PCI. Nel 1944 fu nominato nella direzione del PCI per l'Italia occupata. Il 25 settembre 1945 fu nominato membro della Consulta nazionale.
Riconosciuto partigiano dal 9 settembre 1943 alla Liberazione.
Il suo nome è stato dato a una strada di Bologna. Ha pubblicato: Giuseppe Massarenti pioniere, combattente e martire del socialismo, Bologna, 1950 e Nelle mani del nemico, Roma, 1970; I comunisti per la lotta armata e I contadini nella lotta di liberazione nazionale, in Al di qua della Gengis Khan. I partigiani raccontano, pp.12-6 e 165-81. Testimonianza in RB1. [AR]