La Guerra sulle Alpi: 1916 Agguati e colpi di cannone tra Stelvio e Gavia

La Guerra sulle Alpi: 1916 Agguati e colpi di cannone tra Stelvio e Gavia

Scheda

L'inverno 1915-1916 portò forti nevicate; tra le truppe nei baracchini d'alta montagna ci furono numerosi casi di congelamento e affezioni polmonari, e le valanghe continuarono a mietere le vite risparmiate dal fucile. Il 25 febbraio una valanga cadde sulla strada italiana dello Stelvio strappando una baracca dal suo basamento con una ventina di uomini al suo interno. I soccorsi prontamente arrivati estrassero oltre dieci morti e diversi feriti; un'altra valanga ghermì una baracca in marzo sulla strada del Gavia: sette morti e cinque feriti. Ad inasprire le sofferenze delle truppe imperversò un'epidemia di meninigite cerebro spinale, dal decorso quasi sempre mortale. Gli austriaci condivisero con gli italiani le sofferenze dei congelamenti e la morte bianca portata dalle valanghe; in febbraio ci furono numerosi casi di baracche seppellite dalla neve, tuttavia il lavoro di potenziamento delle difese non si fermò e i vari posti avanzati furono collegati con una buona rete telegrafica, mentre in Val Venosta si inaugurarono nuovi ospedali.
Con l'arrivo della primavera il 5° Alpini partì per il Monte Nero e al suo posto arrivarono i battaglioni Intra e Val d'Orco, due battaglioni di fanteria, mentre il nucleo dei volontari Valtellinesi si ridusse ad una compagnia. Aumentò la dotazione di artiglieria, tanto che il cannone fece sentire la sua voce ogni giorno. L'avvicendamento dei soldati in linea non portò sostanziali modifiche alla tattica di guerra nella zona dello Stelvio: ci furono scambi di artiglieria che non ebbero risultati apprezzabili, posti di guardia persi e riconquistati, si continuò a scavare caverne e a montare baracche. In aprile gli austriaci, ricevuti altri pezzi d'artiglieria, mantennero un vivace fuoco d'interdizione sulle truppe italiane preparate per la riconquista dello Scorluzzo nel settore del passo dello Stelvio, tanto da far sospendere ogni azione offensiva.
Al contrario, dalla Punta degli Spiriti al Madaccio, dalla cima Trafoi al Gran Zebrù, gli italiani si diedero da fare per conquistare posizioni da cui battere il nemico sottostante. Centro nevralgico era la Capanna Milano collegata con una teleferica alla retrovia; era sorto per opera degli Alpini, attorno alla baracca originale, un villaggio militare dotato di grandi riserve di munizioni e viveri. In maggio azioni di pattuglie portarono alla occupazione della capanna al Giogo Alto, subito trasformata in posto di osservazione avanzato; seguì poi un attacco vittorioso al passo dell'Ortles che fu trincerato e presidiato. Occupato anche il passo dei Camosci, era ora posssibile la scalata del massiccio del Madaccio per sloggiare gli austriaci dalla cima; l'azione venne tentata il 6 giugno con obiettivo la cima di dentro del gruppo (3.433 m.) che per la sua posizione avrebbe consentito di osservare i movimenti nemici in tutta la valle di Trafoi. Le condizioni del ghiaccio obbligarono gli Alpini ad arrestare l'ascesa alla quota 3.400 dove scavarono una galleria nella neve come riparo. Come contromossa gli austriaci occuparono le Cime di Campo, tagliando loro ogni via di ritirata.
Nei giorni seguenti una violenta tempesta rese precaria la vita nella galleria di neve. Appena tornata la visibilità, l'artiglieria austriaca iniziò un violento tiro di distruzione obbligando gli Alpini ad abbandonare la posizione, tentativo che riuscì solo a tre soldati, mentre gli altri rimasero uccisi o prigionieri.
Ma la guerra delle cime non cessò: gli italiani con una spettacolare arrampicata installarono un posto d'osservazione sulla Croda di Trafoi, poi al Cono Gelato e quindi alla Cima di Trafoi; gli austriaci si ritirarono più in basso organizzando una solida difesa, ma rimase sotto tiro diretto degli Alpini il sentiero che dovevano percorrere le corvée e gli uomini di ricambio, tanto da subire in pochi giorni gravi perdite. Il nemico riuscì nell'intento di fare dell'Ortles un forte punto d'appoggio e alla fine del 1916 in linea vi erano quattro cannoni, diversi lanciagranate, mitragliatrici pesanti e una cinquantina di soldati fissi. Anche il Genio italiano non rimase a guardare e per tutta l'estate si susseguirono i lavori per potenziare le difese con trincee, postazioni d'artiglieria, caverne per la truppa, teleferiche e rete telefonica; furono migliorati i collegamenti stradali e con la teleferica tra i posti avanzati e le retrovie. Stava per arrivare il secondo inverno di guerra.
Paolo Antolini

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Bibliografia
La guerra a tremila metri. Dallo Stelvio al Gavia
Luciano Viazzi, Ulrico Martinelli
1996 Chiari, Nordpress Edizioni
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