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La drammatica ritirata dei combattenti rivoluzionari del 1831 lungo la via di Ancona

1831

Schede

L'invasione austriaca, ormai divenuta fatale, aveva portato lo sfacelo nel nuovo stato delle Provincie Unite italiane, costituito dai romagnoli e marchigiani insorti, con capitale Bologna. Mentre il Governo Provvisorio delle Provincie Unite erasi ritirato ad Ancona e tentava, senza però riuscirci, di costituire un triumvirato, le milizie degli insorti, poste sotto il comando del valoroso ed esperto generale Zucchi, si fermarono a Rimini: non tanto colla pretesa di respingere, quanto di fermare l'impeto nemico, e così proteggere e dar modo di compiere più agevolmente la ritirata di tutto il complesso dei volontari e delle milizie popolari raccolte. Il fatto di Rimini del 25 marzo ebbe assai più importanza di quello che si sarebbe potuto aspettare; quelle milizie raccogliticce combatterono con valore, fermezza e disciplina, e fecero più di una volta recedere dall'attacco le agguerrite squadre condotte dal generale austriaco Geppert, marciante alle calcagne degli insorti. La sera di quella fortunosa giornata, una delle più belle di questo secondo periodo della rivoluzione, portò in tutti fiducia e buonumore.

Era un fatto ormai che pochi uomini e disavvezzi, ma decisi, avevano potuto arrestare, sia pure per breve tempo, l'infuriare della forza soverchiante nemica; e la sera quei pochi, cessato il combattimento, avviavansi lungo la costa verso Pesaro, in aria più di vincitori che di persone che si ritiravano. L'andata a Sinigaglia che indi seguì fu compiuta con ferma tranquillità e la balda fiducia di potere, più innanzi, ad esempio sotto le mura di Ancona, in unione colle altre forze, e sopratutto coll'aiuto, che da un momento all'altro aspettavasi, di un corpo di soldati dalla Francia (lo stesso Governo provvisorio aveva da prima in buona fede lasciato credere che sarebbe di certo venuto), sbaragliare il potente oppressore. Tali rosee (troppe rosee) speranze recavano all'improvvisato esercito dello Zucchi un grande e novello ardore. Nonostante che in Sinigaglia le milizie non avessero, da parte della popolazione, quell'accoglienza entusiastica che si aspettavano (in quella città eravi un forte nucleo di legittimisti), e quantunque potesse anzi trasparire da qualcuno l'intenzione di molestare la marcia degli insorti, pure non ci fu nella serata alcun disordine. I viveri erano scarsi, i ricoveri non preparati e poca e inadatta era la paglia, ma nessuno si lagnava: anzi pareva che un'ardente e insperata sicurezza si fosse diffusa in tutti, foriera di magnanimi fatti. Questi giovani, che avevano lasciato la famiglia e padri e figli e agi e ricchezze per correre dove era il pericolo, con sulle labbra e nel cuore le parole “Libertà e Indipendenza Italiana”, destavano l'ammirazione del generale Zucchi, loro degno capo, che fu più volte udito esclamare: “Ah! se il nemico mi accordasse dieci o quindici giorni di tempo per poter dare qualche ombra di disciplina militare a questa focosa gioventù, farei ben presto a ricuperare il perduto!”: e intanto egli si lusingava di poter far ciò ad Ancona, sostenuto dalla piazza forte. Il piano del generale Zucchi era questo: lasciare buona e sicura guarnigione nella fortezza di Ancona, poi marciare oltre col restante della sua armata e unirsi al Sercognani: gli Austriaci, non avendo forze sufficienti per assediare Ancona e a un tempo per inseguire in lontani luoghi lo Zuccchi, si sarebbero probabilmente limitati a bloccare la fortezza, in attesa di rinforzi; ma al venir di questi, lo Zucchi avrebbe già congiunte le sue forze con quelle del Sercognani e sarebbe già marciato alla volta di Roma. Gli Austriaci, egli pensava si sarebbero ben guardati dall'inseguire fino a Roma i patrioti, con mille pericoli di fronte e alle spalle, perché, intanto, coi successi ottenuti, le file degli italiani si sarebbero grandemente ingrossate. Questo era il piano; ma il Governo provvisorio e le cose stesse avevano disposto ben altrimenti!

Erano le milizie rivoluzionarie da poco entrate in Sinigaglia, quando fu suonato il raduno generale per gli ufficiali: questi credevano si trattasse degli ordini da impartirsi per il giorno seguente a dell'annunzio di nuove imprese: e invece il colonnello Ragani, che figurava da generale di brigata, comunicó la capitolazione che era stata firmata in Ancona tra il Card. Benvenuti e il Governo provvisorio. La notifica gettò lo sgomento, il dolore in tutti: si grida al tradimento; molti non volendo credere alle proprie orecchie, strapparono di mano al colonnello il foglio a stampa. La parte poi che più addolorava era l'ordine dato allo Zucchi di sciogliere le sue truppe e di non marciare con esse su Ancona, perché in tal caso egli sarebbe stato responsabile della mala ventura; contemporaneamente nell'annunzio dicevasi che era stato ordinato al generale austriaco di non inseguire più altre i soldati volontari. Si fecero tosto le più strane supposizioni: alcuni pensarono che si trattasse di una finzione, per far cadere più facilmente i volontari nelle mani degli Austriaci; altri si rifiutavano di credere che i membri del Governo provvisorio avessero firmati tali infamie: altri ritenevano infine che le firme del governo fossero state estorte, e che comunque non dovevasi obbedire a un tale ordine contrario alla dignità e alla idea nazionale che tutti sentivano. Intanto agenti segreti del comitato d'Ancona e i vecchi conservatori di Sinigaglia e gli altri interessati avevano fatto correre varie voci tra le fila dei soldati: che il Papa aveva data l'amnistia generale; che tutti potevano tornare liberi alle loro case, compresi i militari, i quali anzi sarebbero stati esentati dal servizio. Di più essi promettevano denaro a chi gridava Viva il Papa, Viva la Chiesa, o a chi stracciava le coccarde tricolori: e giunsero perfino a promettere il saccheggio delle case dei liberali a chi usciva dalle fila. Anzi, essendo corsa la voce che il popolaccio voleva levar rumore e recare disturbi, molti stettero armati ai loro quartieri e cento uomini furono posti in piazza a tutela dell'ordine e a guardia dei quattro o sei pezzi di cannone che l'esercito degli insorti aveva con sé.

Mentre regnava nel campo di Sinigaglia la più grande incertezza sulla via da tenere, e non sapevasi ancora come la pensava generale Zucchi, giunsero trafelati da Ancona alcuni ufficiali ad avvertire che i compagni li aspettavano; esser vero che Busi, Armandi e gli altri avevano capitolato col. Card. Benvenuti; che le truppe erano state collocate nei più diversi luoghi della città e costrette a gettar le coccarde tricolori: che si era fatta spargere la voce come Zucchi era stato ucciso in combattimento e le sue milizie sopraffatte dagli Austriaci; e che si facevano correre falsi dispacci del generale austriaco Geppert, nei quali dicevasi che era a poche miglia dalla città, ove recavasi a ristabilire l'ordine. Tali notizie e le parole infuocate dei giovani venuti da Ancona inasprirono ancor più l'animo degli ufficiali e dei soldati contro il Governo provvisorio di Ancona e li riempirono di nuovo fervore. Tutti compresero che era necessario muovere tosto su Ancona, punire i colpevoli e i vili. Abbattere la convenzione e far sventolare ancora sulle torri della fortezza la bandiera tricolore. I più ardenti volevano partire immediatamente, senza avvertire neanche lo Zucchi sul quale taluni avevano mossi dubbi. Ma il Morandi si rifiutò, e giustamente: che dubbi potevansi avere di un uomo che spontaneamente, abbandonando tranquillità, agi e onori, si era buttato anima e corpo nelle braccia della rivoluzione? “Non si fugge da Milano in abito da donna, soggiunse un assennato, per venire poi a vendersi all'oro di Sua Santità”. Fu nominata una Commissione che si recasse a sentire il parere dello Zucchi, tanto più che di fronte all'Austria egli era compromesso. La Commissione, composta di Celeste Menotti, del Morandi e di un romagnolo, trovò il generale che passeggiava per la stanza, tutto corrucciato, colle lagrime agli occhi.

-Ebbene, cari amici, egli subito cominciò, che ne dite di questo atto chi l'avrebbe mai pensato? Celeste Menotti allora gli espose quale era l'intenzione dell'esercito, ossia della maggior parte degli ufficiali: di far battere la generale, e marciare tutti su Ancona. A che fare, soggiunse egli? -A dar aiuto ai nostri che ci aspettano, che ci apriranno le porte; e inoltre per procurarci una ritirata sicura, e poter quindi capitolare con più onore e con più vantaggio. -Pazzie, gioventù, ragazzi. Anche se ciò che dite si potesse fare con sicurezza di riuscita, non lo farei forse; ma azzardare per compromettere, non dico me, ma la vita di tanti bravi patrioti, che in altre circostanze potranno rendere servigi alla patria, no, non l'ho fatto, nè mia esperienza mi permette di farlo. Ho comandate truppe agguerrite, avvezze ai disagi, piene di fuoco per combattere, ardenti di patriottismo, ed ho dovuto cedere davanti alle circostanze. Ora che un'armata ci insegue, che i nostri soldati son valorosi, sì, ma nudi, privi d'armi e del necessario per resistere al nemico, che avanti a noi, nel luogo ove credevamo di trovare soccorso e riposo, gli stessi nostri ci tradiscono, in un paese dove i preti si servono di tutto per trovarci degli inimici, con poche finanze, senza munizioni d'ogni sorta, senza speranza di riceverne dall'estero, che serve aver uomini, fossero anche leoni, se manca il necessario per mantenerli farli marciare e renderli guerrieri? Avendo però i commissari detto che i romagnoli e gli altri volevano ad ogni costo battere la generale, lo Zucchi rispose: -Ebbene, se è cosi, e se tale è il loro parere, che la battano: verrò anch’io in mezzo alle nostre file, marcerò ove volete. Ma ricordatevi che non ho mai voluto essere capopopolo, che ho sempre avuto in orrore la guerra civile, e che la prima palla che sortirà per spargere sangue italiano sia pure per me, ché morirò contento, bastandomi di dire: Muoio, e per mano italiana, ma ho evitato di spargere sangue cittadino.

Intanto era arrivato da Ancona un aiutante di campo del generale Busi con un dispaccio per il generale austriaco, nel quale il Card. Benvenuti lo pregava di rallentare nella marcia, perché erasi stabilito l'accordo con gli insorti, lo pregava di disporre la sospensione delle armi per un paio di giorni acciocchè il generale Armandi in Ancona avesse potuto prendere i provvedimenti relativi al pieno accordo stabilito col cardinale e alle altre incombenze necessari. Arrivava anche il generale Rossi, coll'incarico di dire allo Zucchi di condurre il mattino dopo i suoi in Ancona: le truppe pontificie avrebbero potuto entrare in città armate, coi colori di quelle truppe: i battaglioni o stranieri o di volontari dovevano deporre prima le armi ed entrare nel Lazzaretto. Assicura che sarebbe data perdonanza generale; che i compromessi avrebbero potuto ritirarsi tranquilli alle lor case o restare soldati giurando obbedienza; che i capi della sommossa e lo Zucchi, e tutti i suoi amici e quanti volessero seguirlo, potevano non ottenere il passaporto per qualunque paese loro piacesse, ma sarebbero stati trasportati da una nave pontificia al porto che avessero indicato. Nello stesso tempo si faceva da alcuni dei venuti da Ancona notare che la fortezza era in pessime condizioni e che la resistenza sarebbe divenuta impossibile.

Tutte queste notizie, se calmarono da un lato, dall'altro misero in maggiore apprensione; era in tutti una grande indecisione. La notte e il giorno dopo passarono in continua agitazione perché nessuno aspettavasi che il generale austriaco avesse a sospendere la marcia (ed erano perfettamente nel vero), e perciò attendevansi da un momento all'altro di veder capitare addosso il nemico. Verso sera (27 marzo) il generale Zucchi col suo stato maggiore, dopo aver ordinato che le milizie durante la notte partissero per Ancona, mosse verso quella città, alfine di disporre il tutto per l'arrivo delle sue milizie. Queste, temendo di essere abbandonate, non vollero aspettare l'ora fissata; e prima i cavalleggeri e poi gli altri soldati, tutti si incamminarono verso Ancona. Vi giunsero la mattina del 28 verso le ore 10; ma come abbattute e addolorate! Le lagrime spuntavano agli occhi di molti. Tutti i volontari e gli stranieri, come eran detti, furono disarmati e raccolti nel Lazzaretto; e da molti dei più compromessi, secondo il già disposto, si dovette immediatamente pensare alla triste via dell'esilio!

Albano Sorbelli

Testro tratto da: 'La drammatica ritirata dei combattenti rivoluzionari del 1831 lungo la via di Ancona'', in 'Strenna Storica bolognese', 1928. In collaborazione con il Comitato per Bologna Storico Artistica.