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La deliziosa - La boschereccia

1797 ca.

Schede

Deliziosa è la parola settecentesca utilizzata per indicare una stanza piacevolmente decorata, in cui si potevano trascorrere momenti di svago, di delizia. A Bologna sul finire del Settecento e fino alla metà del secolo successivo tali luoghi assumono l’aspetto di stanze di paese o di boscherecce. Questi termini erano dovuti al tipo di pittura che ricopriva le pareti e il soffitto, fatta in modo da trasformare illusoriamente la stanza in una struttura parzialmente costruita e immersa in un paesaggio. Un tempietto in rovina, un berceau, un patio erano le architetture dipinte, aperte su una natura immaginata, in modo che l’occhio del visitatore potesse perdersi in lontananza.

Questi locali si trovavano al piano terra sia nei palazzi di città sia nelle ville di campagna e si aprivano direttamente sul giardino, creando una suggestiva continuità tra esterno e interno. Tra le numerose stanze paese realizzate in città, una delle più famose fu quella dipinta in una posizione alquanto particolare: al secondo piano del palazzo del governo, oggi Palazzo Comunale. La deliziosa, che ora si trova nel percorso delle Collezioni Comunali d’Arte, fu realizzata intorno al 1797 da Vincenzo Martinelli, noto pittore paesista, e da Giuseppe Valiani, qui autore delle figure. Come avveniva da secoli nell’esecuzione della pittura di ‘quadratura’, con cui si ampliavano illusionisticamente le altezze dei saloni bolognesi, i pittori impegnati dovevano essere almeno due, uno che si dedicava alla realizzazione della struttura ornamentale e l’altro che dipingeva solo le figure. L’invenzione della decorazione si doveva solitamente al primo e in questa stanza spettò a Martinelli, artista al culmine della carriera e del prestigio. Egli si era specializzato nel genere del paesaggio di fantasia, realizzando tele sia di piccole dimensioni sia così grandi da occupare quasi intere pareti. Inoltre aveva dipinto numerose scenografie con questi soggetti, mettendo a punto accorgimenti per alterare completamente la percezione dello spazio. Vediamo applicata questa arte con perizia e al tempo stesso con grazia nella deliziosa di Palazzo Comunale. Con la pittura Martinelli riuscì a rendere uniforme uno spazio irregolare, sia a causa della posizione delle aperture che della dimensione delle pareti. Da un basamento si innalzano pilastri e cornici, sormontati da una balaustra. Sopra di essa dei putti da un lato giocano con ghirlande di fiori e nella parete opposta fanno bolle di sapone. La struttura in muratura è rivestita all’esterno da un rampicante, di cui si scorgono solo alcuni rami affacciarsi in corrispondenza delle aperture. Questo però continua nel soffitto e forma un pergolato, che lascia intravvedere il cielo e le divinità Zefiro e Flora. Le pareti più lunghe si aprono rispettivamente su un macero circondato da un paesaggio naturale e su un lago che lambisce campagne e colline. Sui lati corti invece vi sono due fontane zampillanti, con alle spalle una nicchia arborea di siepi e rampicanti. Le finestre che sono ai lati completavano la decorazione della stanza, in quanto un tempo si aprivano sull’orto botanico e su un cortile con un giardino all’italiana. Proprio l’acqua è la protagonista di questa stanza e, come le piante, è rappresentata sia regimentata dall’intervento dell’uomo sia nel suo aspetto più naturale. Del resto l’acqua era una protagonista nel paesaggio urbano, con i canali e i fiumicelli che lo attraversavano e anche nella campagna, che era spartita da torrenti, fossi, laghetti e maceri, fondamentali per la sua produttività.

Chi entra in questa stanza paese ancora oggi percepisce un senso di frescura e si trova in un ambiente rilassante, perfetto per lo svago. Per la sua bellezza e per il prestigio del luogo in cui era stata dipinta, la stanza paese del palazzo del governo divenne presto un modello a cui ispirarsi e fu determinante nello sviluppo della moda delle deliziose in città, molte delle quali commissionate proprio a Martinelli. Al centro della sala è ora collocato l'Apollino di Antonio Canova, già attribuito a Cincinnato Baruzzi.

Silvia Battistini, 2020.