La cattura e la scomparsa di Mario Jacchia

Scheda

I fascisti irrompono a Parma nella sede del comando militare partigiano dell'Emilia Nord-Ovest e catturano Mario Jacchia, che cerca fino all'ultimo di guadagnare tempo per favorire la fuga dei compagni. Trasferito al comando della polizia di sicurezza tedesca, "Rossini" - è questo il suo nome di battaglia - viene barbaramente torturato. Jacchia appartiene a una nota famiglia di professionisti ebrei bolognesi.
E' stato fervente nazionalista, ufficiale nella prima guerra mondiale, più volte ferito e decorato. Dopo la guerra ha aderito prima a un gruppo paramilitare nazionalista, poi al fascio di Leandro Arpinati. Si è allontanato dalla destra dopo l'aggressione al padre e l'incendio del suo studio. Con l'approvazione delle leggi razziali del 1938 è passato con decisione all'antifascismo, divenendo uno dei fondatori del Partito d'Azione a Bologna.
Dopo interminabili sevizie Jacchia viene soppresso e il suo corpo non sarà mai più ritrovato. Il comando della GNR sosterrà di aver rinvenuto, nelle tasche di Jacchia, una lista di un centinaio di antifascisti, per la maggior parte liberi professionisti. Nell'elenco, fabbricato probabilmente ad arte dalla GNR e dalla Questura, figurano anche i nomi di persone, come Francesco Pecori, Giorgio Maccaferri, Pietro Busacchi, Cesare Zuccardi Merli, Pasquale Vetuschi, che saranno di lì a poco eliminati da sicari fascisti.

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