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La cartolina | nuovo mezzo di comunicazione tra ‘800 e ‘900

1870 | 1950

Schede

Strumento nuovissimo, la cartolina nasce come forma di corrispondenza intorno al 1870, grazie ad un professore di economia viennese, Emanuel Hermann, il quale, studiando l’efficienza del servizio postale austriaco, suggerì la possibilità di inviare messaggi più brevi e rapidi così da aumentare il traffico postale e, di conseguenza, anche i guadagni. La sua idea fu accolta positivamente, tanto che il 1° ottobre 1869 fu emessa la prima cartolina, ancora bianca sia sul fronte che sul retro.

Per quanto riguarda la cartolina illustrata, l’idea sembra invece da attribuire ad un cartolaio e libraio di nome Léon Besnardeau, residente nella piccola cittadina di Sillé-le-Guillaume (oggi poco più di 2.500 abitanti), nel Dipartimento della Sarthe, nel nord della Francia. Nel novembre del 1870, in occasione dello scoppio della guerra franco-prussiana, si accamparono nelle vicinanze di questa località 40.000 soldati della 1° armata di Bretagna, che in brevissimo tempo, per scrivere alle famiglie, esaurirono tutta la dotazione di carta e buste del paese. Il signor Besnardeau a quel punto tagliò in rettangoli di 6 cm per 9 cm le copertine avanzate dai quaderni usati per fornire carta da lettere ai soldati, e fece stampare sulla faccia destinata all’indirizzo immagini a soggetto militare (fucili, tamburi, cannoni), accompagnate da scritte di carattere patriottico. L’idea ebbe un enorme successo, tanto che, ancora oggi, a lui è intitolata la sala cinematografica del paese. Lentamente, l’innovazione si diffuse in tutti i paesi europei, giungendo in Italia nel 1874, mentre la cartolina illustrata giunse qualche tempo più tardi, con la produzione di soggetti paesaggistici e di altri dedicati alla famiglia reale. L’innovazione si rivelò un grande successo commerciale, decretato soprattutto dalla passione per il collezionismo di questi cartoncini che, sin dal loro primo apparire, divennero oggetto di collezione, e status simbol della classe borghese in rapida ascesa all’interno del nuovo stato: l’album delle cartoline, accuratamente raccolte e spesso accompagnate da annotazioni, faceva sempre bella mostra di sé nei salotti borghesi di fine secolo, e lo scambiarsi cartoline divenne quasi un obbligo non solo in caso di viaggi, ma anche per semplice piacere di comunicare (in un tempo in cui, comunque, non esistendo il telefono, con la cartolina si potevano sostituire semplici biglietti di informazioni ed appuntamenti). Lentamente, poi, da patrimonio di una cerchia piuttosto ristretta della borghesia, l’uso della cartolina illustrata incominciò a diffondersi, raggiungendo ogni ceto sociale. La passione collezionistica spinse poi, con tempestività, gli editori, a volte semplici cartolai di lungimiranti vedute, ad emettere serie di soggetti dedicati ad eventi mondani. La Casa Reale dominava nettamente i soggetti prescelti, con semplici ritratti, matrimoni, nascite, lutti o memorie storiche, ma sempre più numerosi divennero i soggetti dedicati alle manifestazioni celebrative, alle Esposizioni economiche e manifatturiere, alla storia lontana e vicina del paese, agli Eroi del passato recente e remoto, agli eventi di cronaca – celebri restano le serie dedicate al Terremoto di Messina del 1908 – e soprattutto al mondo militare: ogni Reggimento o Brigata, ogni Distretto militare o Legione di Carabinieri, faceva stampare serie di cartoline dedicate al proprio presente – città di stanza, luoghi delle esercitazioni militari, spedizioni di soccorso alle popolazioni cui si era partecipato… - ma anche al proprio passato: nascita del Reggimento, episodi bellici in cui ci si era distinti, comandanti eroici che ne avevano fatto parte… Un vero profluvio di cartoncini illustrati, che freneticamente viaggiavano lungo la penisola, spesso con messaggi molto espliciti “con preghiera di ricambiare…” o simili, proprio in virtù della smania collezionistica dilagante.

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La cartolina come strumento della diffusione dell’identità nazionale | Cerchiamo ora di capire come questo nuovo strumento di comunicazione abbia potuto giocare un ruolo nella creazione dell’identità nazionale. Per esigenze di spazio presentiamo qui una scelta di soggetti necessariamente limitata. Nonostante questo, è semplicissimo individuare le linee-guida seguite dal Governo liberale nel tentativo di inoculare nella nuova nazione il senso di appartenenza al nuovo Stato. Questo sentimento, non certo innato nelle popolazioni italiane del tempo, per molta parte ancora confuse dagli eventi appena trascorsi, al contrario andava stimolato, fatto emergere, sino a farlo diventare parte del sentire comune della gente comune, di quella gente che ormai era sì legalmente parte di uno Stato diverso da quelli precedenti, ma che ancora non vi si riconosceva. Erano infatti ancora molto presenti le identificazioni nelle “piccole patrie”, nelle comunità locali, nelle comunità linguistiche, in quelle religiose, a volte nelle comunità politiche scomparse, il tutto a discapito dell’identificazione piena nel nuovo sistema. Questa fu la sfida dello Stato di fine Ottocento, sino al conflitto scoppiato nel 1915. E fu una sfida persa, perché viziata sin dall’inizio da un malcelato “sospetto”, da una latente diffidenza, presente nelle alte gerarchie dello Stato, nei confronti di quelle stesse genti che si volevano leali e “partecipative”, ma sempre alla debita distanza! In epoca di Destra Storica dunque il tentativo di “fare gli italiani” fu inficiato da caratteristiche troppo “alte”, trasmesso cioè con messaggi destinati esclusivamente ai singoli, alle individualità, o al massimo alle piccole comunità, a scolari meritevoli, a lavoratori valenti… Con l’avvento al potere della Sinistra Storica, nel 1876, le modalità di trasmissione della recente memoria storica divennero maggiormente attente alle popolazioni intese come “masse”, senza comunque abbandonare del tutto le ritualità precedentemente adottate. Questo forse perché la Sinistra Storica aveva nelle proprie file molti rappresentanti “popolari”, provenienti dai ranghi del volontarismo garibaldino, del mazzinianesimo, di idee genericamente democratiche, sensibili ai primi fermenti socialisti. Si trattava di un agglomerato vario e non omogeneo, ma sicuramente meno timoroso delle “masse popolari”, e soprattutto conscio della necessità del loro coinvolgimento, della necessità di fornire alla parte più umile ma più numerosa del popolo una identificazione profonda con lo Stato/Nazione, anche al fine di evitare eccessi e pericolose tendenze che già si erano presentati sulla scena europea e che ancora spaventavano non poco tutte le nazioni. Questo tentativo di rendere più vicino al popolo l’ideale di unità nazionale e di fare condividere a tutti la memoria dei recenti avvenimenti prese numerose e diverse strade. Una di queste fu appunto l’uso delle cartoline: elemento di comunicazione rapida, comprensibile anche agli scarsamente alfabetizzati, economico, divenne lo strumento forse più diffuso. I cartoncini a soggetto storico divennero comunissimi, anche se spesso la “memoria” trasmessa era una falsa memoria, più vicina alla leggenda che alla storia. Ma che importava? Ciò che contava era la trasmissione di “storie” a tutti note, assimilabili da tutti, grandi e piccoli, abitanti delle città o delle piccole comunità, uomini e donne… Troviamo esempi numerosi di ciò: cominciamo a vederne alcuni.

Fin dall’inizio della vita della cartolina, come abbiamo detto, il soggetto di maggiore successo, o comunque quello più riprodotto, era costituito dalla Casa Reale: dalla quotidianità vera alla storia/leggenda dei Savoia: nel tentativo di creare ad arte un passato “italiano” e patriottico alla casa regnante, di cui si sapeva perfettamente che per tradizioni ed addirittura per lingua madre aveva ben poco a spartire con la penisola, vengono stampate serie di cartoncini che rievocano le epiche gesta degli antenati di Vittorio Emanuele II, il Conte Verde (Amedeo VI, nato nel 1334 e morto nel 1383), il Conte Rosso, figlio del precedente, e Umberto Biancamano, capostipite dei Savoia, vissuto nell’XI secolo,… ed abbinando i tre personaggi, miracolosamente, spunta una ideale bandiera tricolore! (Ricordiamo che l’immagine del tricolore italiano già dal 1796 correva lungo la penisola, ed il suo significato era ben noto: amato od avversato, era comunque a tutti chiaro il suo significato).

Altri soggetti decisamente in voga, e perfettamente rispondenti all’intento educativo portato avanti dal Governo, erano gli episodi della Storia d’Italia, dall’antichità romana al medioevo al ‘700: Romolo, Cincinnato, l’anconetana Stamura che difende la propria città vestita da mitologica guerriera, i Vespri siciliani, la Battaglia di Legnano, su su fino a Balilla, sono solo alcuni esempi di questo mondo di soggetti molto popolari, conosciuti e dunque riconoscibili anche dalle persone meno istruite, perché le loro storie da tempo immemorabile costituivano la memoria delle comunità locali, trasmesse a tutti in racconti orali, favolistici, bozzettistici, ma non per questo meno amati. A questi “Eroi” popolari del tempo passato si andarono affiancando man mano, seppure con “gradimento” molto difforme, i recenti “Eroi”: da Mazzini con la sua Giovine Italia e tutti i giovani patrioti che per quella causa avevano combattuto, alle vicende del 1848-1849, gli anni eroici delle insurrezioni delle città italiane (Bologna, Roma, Brescia, Milano, Venezia… ed ogni comunità aveva qualcosa di cui farsi gloria) fino all’Eroe per antonomasia, quel Giuseppe Garibaldi che fin da vivo era stato una leggenda, e che dal momento della sua morte, avvenuta nel 1882, era oramai assurto, senza se e senza ma, nell’empireo glorioso della nazione, l’unico capace di tener testa, per fama e per amore suscitato, ai Savoia. Le celebrazioni avvenute nel 1911 per il 50° anniversario della Proclamazione del Regno d’Italia (1861) diedero nuovamente la stura a serie infinite di cartoline, che oramai registravano senza esitazioni l’unificazione del paese, rappresentato dalla o dalle figure femminili: di volta in volta l’Italia, la Dea Roma - che spessissimo si confondono – le regioni d’Italia, le città irredente…, il tutto sempre accompagnato dai volti dei quattro più celebri “Padri”: Mazzini e Cavour,  Garibaldi e Vittorio Emanuele II. 

L’altro grande filone di successo nel mondo della corrispondenza illustrata era rappresentato dalle cartoline reggimentali. Nata quasi come oggetto di collezionismo più che come strumento di corrispondenza, la cartolina reggimentale venne prodotta in copiosa quantità, con varianti di soggetti e di colori, da ogni comando locale dei reggimenti e dei battaglioni, a commemorazione delle vicende storiche salienti cui il corpo aveva partecipato, o a sottolineare il territorio in cui erano di stanza, sempre in relazione con il concetto di patria, madre di tutto l’esercito. Poi, col tempo, vennero anche utilizzate per la corrispondenza con la famiglia dai soldati semplici, e ne vennero stampate serie destinate al ricordo perenne della classe di leva cui si era appartenuti, usate in occasione dei congedi come ricordo… insomma, per tutte le necessità della vita militare. 

Altro importante soggetto delle cartoline illustrate erano i letterati, i grandi poeti e scrittori, anch'essi "padri della patria". Tra questi i più presenti furono sicuramente Dante Alighieri e Giosue Carducci, i cui versifurono sicuramente i più utilizzati in assoluto nelle cartoline italiane sino alla Grande Guerra, ed in verità sino al primo dopoguerra. Le parole del premio Nobel rispondevano evidentemente in modo egregio alle necessità di trasmissione del pensiero che stavano dietro a tutto questo, senza scordare che il poeta dedicò innumerevoli composizioni ad eventi storici italiani e del Risorgimento, a città e luoghi coinvolti in eopisodi degni di annotazione storica, tanto che era relativamente semplice trovare la citazione adatta a qualunque scopo.

Per concludere, ricordiamo come la sempre più ampia diffusione della cartolina come supporto per la corrispondenza, naturalmente limitandoci al discorso relativo ai soggetti di cui si è parlato – anche se è bene ricordare che in contemporanea andarono affermandosi anche soggetti diversi: fiori, fanciulle, bambini, paesaggi…, con intenti ovviamente diversi - contribuì in qualche modo alla diffusione di conoscenza del paese, delle sue caratteristiche, delle sue peculiarità. Questa conoscenza poteva in qualche modo contribuire a sviluppare il senso di adesione alla nazione: si valorizzava la “piccola patria” con l’intento finale di valorizzare, far comprendere, fare amare la “grande patria”, la nazione/madre, colei che governava queste piccole patrie, che le raccoglieva in un unicum, incoraggiandole, favorendone i caratteri individuali, ma con l’intento di amalgamarle alle altre, di affratellarle a tutte le altre, per arrivare ad essere nazione compiuta. Da qui anche la rappresentazione “materna” dell’Italia: nella grande maggioranza dei casi è matrona, raramente più moderna in abiti attillati e capelli sciolti, ma mai ragazza sbarazzina come può essere la Francia nelle analoghe rappresentazioni; è sempre legata all’immagine antica ritenuta evidentemente intramontabile della Dea Roma, che spesso compare, confondendosi con l’immagine dell’Italia (è la Dea Roma l’immagine femminile presente sull’altare della patria a Roma, a protezione del sacello del milite ignoto, non, come tutti credono, l’Italia). E questa Madre Italia sarà quella che di lì a poco, allo scoccare della Grande Guerra, tornerà a vestire i panni di colei che conduce il paese alla realizzazione finale dell’Unità: armata di spada sguainata e di tricolore, in atteggiamento protettivo verso le “piccole patrie” (Trento, Trieste, ma anche le “faccette nere” che la Guerra di Libia le ha portato in “adozione”) non esiterà, sempre sull’onda di parole carducciane, a spronare il paese alla lotta:

Bella ed austera vindice / Sui larghi mar cammina alta una Dea / ……….. e aspetta / E a noi mostra i romulei / Colli e il mar d’Adria / E l’ultima vendetta.

La cartolina assumerà a questo punto anche un altro scopo: sì la propaganda e l’esaltazione patriottica, ma, in modo molto meno esaltato e molto più dolente, diverrà strumento di comunicazione di dolori e speranze, e anche di morte. Migliaia di cartoline viaggeranno allora per l’Europa, a testimonianza del grande dramma che si andava consumando.

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Mirtide Gavelli