Il trionfo di Dioniso - I misteri eleusini

Il trionfo di Dioniso - I misteri eleusini

1800 ca.

Scheda

Rodolfo Fantuzzi (Bologna 1779 - 1832), Il trionfo di Dioniso, tempera su prima tela, cm. 56,5 x 85,5. I misteri eleusini, tempera su prima tela, cm. 56,5 x 85,5. Nella ricostruzione delle vicende del paesaggismo bolognese tra Sette ed Ottocento offerta da Cesare Masini nel 1884 nei suoi Cenni storici sulle Belle Arti in Bologna, Fantuzzi è ricordato nella schiera dei decoratori di illusionistiche “stanze a paese”, insieme a Luigi Busatti, Gaetano Burker, Gaetano Tambroni, Giacomi Savini e Luigi Gasparini, tutti “valentissimi pittori paesisti”. Maggiore importanza era data a Vincenzo Martinelli e a Ottavio Campedelli, visti rispettivamente come principali interpreti di un pittoresco stile settecentesco e di una visione verista della natura. Fantuzzi risultava, in questo modo, relegato in una sorta di limbo, nel quale elemento significativo era uno sperimentato, quanto ripetitivo, mestiere a fronte di una fondamentale irrilevanza stilistica. Ben altro giudizio aveva espresso l’8 giugno 1809 Pietro Giordani, a quella data segretario della Reale Accademia di Belle Arti di Bologna, davanti al corpo accademico riunito per la solenne distribuzione dei premi agli studenti vincitori degli annuali concorsi scolastici. Chiamato a recitare un elogio di Vincenzo Martinelli, defunto due anni prima, Giordani, da convinto classicista, non mancava di sottolinearne la tardiva svolta verso la “più eletta maniera” dei giovani Fantuzzi e Tambroni, “…la quale egli vedeva crescere e avanzarlo di lode per la variata ricchezza e dignità de’ concetti non meno che per lo spirito e il decoro dello stile” (Giordani, 1809, p.14). L’autorevole giudizio “in presa diretta” di Giordani consente di ritagliare all’interno della schiera degli allievi di Martinelli una frangia più sensibile alle istanze neoclassiche, dominanti nel 1809 nell’ambiente artistico cittadino.

Nel primo decennio del secolo abbondavano in città cantieri con i quali la nuova classe dirigente legata alle fortune napoleoniche rinnovava il decoro delle loro residenze, ufficiali e private. Sulle pareti dei palazzi, più che nella pittura da cavalletto, il neoclassicismo dava prova dei suoi principi. Uno schieramento trasversale di artisti specializzati nei diversi generi applicavano il nuovo stile alla loro materia: Giacomo De Maria nella scultura, Pelagio Palagi nella pittura di figura, Antonio Basoli nella prospettiva e Fantuzzi, con Tambroni, nella pittura di paesaggio. Di fondamentale importanza per il percorso formativo era, per questi artisti, il viaggio a Roma per correggere il proprio stile alle fonti della classicità. Fantuzzi ottemperò all’obbligo abbastanza tardivamente, la sua presenza nella città eterna, dove probabilmente ebbe a guida Palagi, il quale vi si era stabilito fin dal 1806, è, infatti, documentata solo nel 1810. Successiva all’esperienza romana è la produzione matura e più conosciuta di Fantuzzi che, come dimostra la nota “boschereccia” di Palazzo Hercolani dipinta tra il 1810 e il 1811, aveva velocemente messo a frutto gli stimoli ricevuti dall’internazionale ambiente artistico di Roma.

Le presenti tempere sono, invece, collocabili in una fase precedente, quando la circolazione delle idee, favorita dal lavoro degli artisti gomito a gomito negli stessi cantieri, produceva slittamenti progressivi dalla martinelliana “arcadia agreste intinta di verità occasionali” (Grandi, 1987, p. 127) alla visione ideale di una natura generata dal mito. Da tale congiuntura stilistica, collocabile per quanto riguarda la pittura di paesaggio tra la “deliziosa” dipinta da Martinelli in palazzo d’Accursio, per la quale è stata ipotizzata una data di poco antecedente al 1797 (Lui, in Matteucci, 2002, p.396) e la fantuzziana “boschereccia” di Palazzo Hercolani, sono nate opere di contaminazione, nelle quali differenti temperature hanno creato ibridi stilistici di transizione. Per le decorazioni di palazzo Aldini, per esempio, lavoravano nel 1798 Antonio Basoli e Pietro Fancelli, in una sala dello stesso palazzo erano già ultimate le tempere di Serafino Barozzi, in un’altra ancora Pelagio Palagi, con ogni probabilità intorno al 1800, dipingeva a trompe-l’oeil statue di divinità pagane davanti alle verzure e agli sfondi prospettici di Martinelli. Facendo le debite proporzioni, anche nelle presenti tempere, e in particolare in quella con il trionfo di Bacco Dioniso, si osserva lo stesso clima di contaminazioni stilistiche. Le figure di quest’ultima opera, per esempio, per le quali il riferimento a Pietro Fancelli lascia margine a pochi dubbi (sufficiente in tal senso è il confronto con La morte di Virginia, esposta alle Collezioni comunali d’arte di Bologna, con la quale Fancelli nel 1791 vinse il Premio Curlandese; cfr. Grandi, 1980, p.64, fig. a p. 75), con il loro agitarsi gandolfiano e il sapiente utilizzo delle luci, che accendono le tinte delle vesti, parlano di una classicità ancora corretta dal pittoresco naturale del secolo dei lumi in via di spegnimento, diversamente dalla composizione, nella quale gli schemi martinelliani, pur ancora evidenti, appaiono pettinati sull’esempio del paesaggio ideale seicentesco, e non ancora sull’esperienza diretta dei dintorni romani, intrisi questi ultimi di classicità per i ruderi e per la stessa manifestazione della natura. E presenze architettoniche antiche vicino ad esotiche palme sono collocate sullo sfondo, al centro del dipinto, quasi per dichiarare l’affacciarsi di un nuovo sentire, di quel maggiore “decoro di stile” di cui Basoli e Palagi, spronati da Felice Giani, erano in quegli anni a Bologna i principali e più consapevoli interpreti. Si trattava, per questi ultimi, non solo di un comune sentire, del quale oltre alle stanze decorate in palazzo Aldini dava importante testimonianza il ciclo pittorico di Casa Conti (cfr. O. Bergomi, in Matteucci, 2002, pp. 293-295; nella scheda il 1811 è indicato come anno ante quem, non si esclude la possibilità che i dipinti di paesaggio eseguiti da Fantuzzi, Giacomo Savini, Luigi Busatti, Giovan Battista Bassi, Gaetano Tambroni e Luigi Gasparini abbiano una data ancora più precoce), ma di una vera e propria ricerca condotta insieme sugli stessi testi e con identiche finalità, magari all’interno di quella informale Accademia della Pace che Giani teneva a Bologna per istradare i giovani verso il nuovo stile.

Non sorprende, quindi, trovare la città antica qui dipinta da Fantuzzi su un foglio velocemente schizzato da Palagi (G.D.S, Biblioteca dell’Archiginnasio-Bologna, inv. 248), e l’effetto è come entrare con lo sguardo, aiutati da un ideale zoom, tra i templi, le mura e le piramidi viste in lontananza dal primo e delineate dal secondo sotto una incombente montagna, dal profilo quasi identico in entrambe le opere. I riferimenti potrebbero a questo punto moltiplicarsi. Tra gli artisti che intendevano mostrarsi aggiornati sulle nuove, per Bologna, istanze neoclassiche era, infatti, all’ordine del giorno l’invenzione di una sorta di repertorio di forme con le quali comporre immagini con la pretesa di una ricostruzione quasi filologica del mondo antico. Nel Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, per esempio, si conservano due fogli di album con la dubbiosa attribuzione a Giacomo Savini, che rivelano un’identica maniera di intendere il paesaggio mitologico nel rapporto tra lo scenario naturale e la presenza di un’ideale città antica (particolarmente il disegno con inv. 3147/2r mostra affinità con Il trionfo di Dioniso qui esposto. Per una certa nervosità del segno, non riscontrabile nelle prove di Savini e tipica, invece, dei disegni di Fantuzzi, non si eslude la possibilità che una più corretta attribuzione possa riferirsi a quest’ultimo). Gioverà, infine, ricordare un secondo disegno di Palagi (G.D.S, Biblioteca dell’ArchiginnasioBologna, inv. 227), nel quale davanti a una piramide appare un tempio greco che sembra traslocare al centro della seconda tempera fantuzziana qui esposta, illuminato dalla luce lunare nella radura di un fitto bosco. In questa seconda tempera le contaminazioni stilistiche appaiono già quasi del tutto superate. Le figure, nelle quali in questo caso si riconosce la mano di Fantuzzi (si confrontino, per esempio, le macchiette con quelle della appena più tarda Veduta del tempio di Diana nella Villa Borghese sulla porta di Roma della Galleria d’Arte Moderna di Bologna; cfr. Poppi, 1994, p.31, tav. a p.40) hanno, infatti atteggiamenti più composti. La natura stessa, benché di selvaggio bosco romanticamente rischiarato dalla luce lunare in contrasto con quella delle faci, appare assai vicina  a quella descritta nel dipinto appena ricordato.

Per quanto riguarda i soggetti, facilmente identificabile è quello della prima tempera, nella quale, richiamati dal suono di cembali, tamburelli, pifferi e altri strumenti, satiri e menadi accorrono al carro trionfale di Dioniso. Con i misteri dionisiaci si celebrava nell’antica Grecia la forza produttiva della terra, la vita in tutti i suoi aspetti fino alla sfrenata esaltazione; alcune menadi appaiono, infatti, in preda al furore bacchico lanciate in sfrenate danze. A Demetra, dea della terra, erano, invece, dedicati i misteri eleusini che si celebravano tra settembre e ottobre a Eleusi. I celebranti si radunavano ad Atene e dopo una processione di circa trenta chilometri giungevano nella notte nei pressi del “Telesterion”, il tempio nel quale il giorno successivo si svolgevano riti riservati agli iniziati, e alla luce delle faci passavano le ore notturne intenti a feste, canti e danze. Precisamente questo è il momento descritto da Fantuzzi, il quale al centro della composizione, in una lontana radura del bosco illuminata dai raggi lunari ha immaginato il tempio dedicato a Demetra. In considerazione dei soggetti e delle identiche dimensioni, appare suggestivo avvicinare queste tempere ad altre due con soggetti dionisiaci recentemente apparse sul mercato antiquario con l’attribuzione a Basoli per le prospettive e a Pietro Fancelli per le figure (Benati, Incontro con la pittura, pp. 52-54). Anche nel caso di queste altre due opere è stata proposta una data intorno al 1800 e, se può sembrare azzardato pensare a diverse tempere di una serie concepita unitariamente, è, invece, sicuro che si tratti di asserzioni artistiche maturate nello stesso ambiente culturale, come frutti di una ricerca condotta in comune, anche se con esiti di differente temperatura stilistica.

In collaborazione con Galleria de' Fusari, Bologna. Testo tratto da: Claudio Poppi (a cura di) 'Da Antonio Basoli a Luigi Busi: Bologna, Ottocento ...Senza macchia!', 2005.

Leggi tutto

Eventi

Persone

Documenti
Storia delle arti del disegno (La)
Tipo: PDF Dimensione: 1.26 Mb

Augusto Romagnoli, La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi, 1888. Estratto. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.