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Giovan Angelo (PIO IV) Medici

31 Marzo 1499 - 9 Dicembre 1565

Scheda

ARMA: D'oro a 5 palle di rosso poste in cinta e nel capo una d'azzurro caricata di 3 gigli d'oro posti 1-2.
Lo scudo è sormontato da un cappello cardinalizio con cordoni e fiocchi laterali.
Il cartiglio sottostante dice: IO. ANGELVS MEDICES / LEGATVS / 1546. (Giovan Angelo Medici Legato 1546).

Lo stemma è lo stesso dei Medici di Firenze ma sul muro viene ripetuto l'errore di posizione dei gigli posti sulla palla d'azzurro: 1-2 anziché 2-1.

La famiglia a cui apparteneva Giovan Angelo era di Milano. Molti, con fini adulatori, sostennero che i Medici di Milano fossero un ramo di quelli di Firenze, opinione però non condivisa dal Muratori. Le armi dei Medici di Milano compaiono nello stemmario trivulziano (XV secolo) dell'omonima biblioteca a Milano e sono: Di rosso alla torta d'oro ed il capo dell'Impero. La stessa arma è incisa su di una moneta del 1523 coniata da Gian Giacomo de Medici come Marchese di Musso e Conte di Lecco.

I Medici di Milano erano noti fin dall'XI secolo e dal 1267 figuravano tra le 200 case patrizie che avevano diritto di eleggere gli ordinari della metropolitana. Alla fine del XIII sec. la famiglia era divisa in 5 rami. La prima diramazione risiedeva nell'antica contrada Medici a Porta Ticinese. Dalla linea dei Medici di Norigia, il cui capostipite fu un Paolo, decurione nel 1335, ne derivarono uno Jacopino e poi un Gian Giacomo che sposò Clara Rainaldi; da questi nacque Bernardino che sposò Cecilia Serbelloni. Dalla coppia nacquero tra gli altri: Gian Giacomo, detto il Medeghino, celebre Capitano di ventura e condottiero di eserciti sotto Carlo V, creato Marchese di Marignano o Melegnano dallo stesso Imperatore, Margherita, sposa del Conte Gilberto Borromeo e madre di S. Carlo Borromeo e Giovan Angelo il futuro Pio IV.
Nessuna parentela quindi con i Medici di Firenze, tuttavia lo stesso Gian Giacomo, in seguito alla nomina a cardinale del fratello Giovan Angelo, incominciò ad usare l'arma dei Medici di Firenze con 6 palle, ma con il capo dell'Impero e lo stesso fece suo fratello cardinale nei suoi sigilli almeno fino al 1551. È probabile però che Giovan Angelo abbia eliminato il capo dell'Impero quando era ancora Cardinale, comunque è certo che, come Papa, non usò altra arma che quella dei Medici di Firenze, incluso la palla d'azzurro caricata dai 3 gigli. Nello stemma, però, posto sul suo monumento nella chiesa di S. Maria degli Angeli, troviamo le 6 palle senza i 3 gigli nella palla in capo.
Con ogni probabilità i Medici di Firenze, trattandosi di un Papa, tacitamente acconsentirono alla pretesa dei Medici di Milano di essere un ramo della casata.

Giovan Angelo de’ Medici nacque a Milano il 31 marzo del 1499. Studiò giurisprudenza prima a Pavia e poi a Bologna, dove si laureò in diritto civile e canonico nel 1525. L’anno seguente fu a Roma dove iniziò la sua carriera curiale come pronotariato apostolico coltivando amicizie importanti come quella con Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III.
Sotto il suo pontificato fece infatti le prime esperienze nell’amministrazione temporale dello Stato pontificio, come governatore d’Ascoli Piceno, Città di Castello, Parma e Fano. Nel 1542 venne nominato commendatario perpetuo dell’abbazia di S. Gemolo di Ganna e nello stesso anno assunse la funzione di commissario delle truppe pontificie in Ungheria e Polonia, inviate a combattere contro turchi e luterani.
Rientrò in Italia nel 1544 e venne destinato al governo di Ancona e nominato referendario apostolico.
Nel 1546 fu di nuovo incaricato del ruolo di commissario generale per le truppe ausiliare pontificie alleate di Carlo V contro la Lega di Smalcanda. Nel 1547 fu legato nella città di Bologna e fu poi incaricato della missione di riconfermare all’obbedienza Ottavio Farnese e Parma.
Fu anche inviato come vicelegato a Perugia e nel 1549 nominato cardinale presbitero con il titolo di S. Pudenziana.
Sotto Giulio III fu nominato prefetto della Segnatura di Grazie e governatore di Campagna e Marittima, l’anno era il 1552.
Dopo altri tre anni di cariche, nel 1555 partecipò al conclave convocato dopo l’improvvisa morte di Marcello II e votò Gian Piero Carafa, eletto papa nello stesso anno col nome di Paolo IV. Le sue relazioni con i congiunti del nuovo pontefice furono improntate a un rispetto reciproco e a una confidenza che crebbe negli anni.
Già nel 1556 divenne membro della Congregazione del S. Uffizio e ottenne il vescovado di Foligno.
Lasciò Roma nel 1558 ed entrò a Firenze nel luglio dello stesso anno. Gli giunse però la notizia di una possibile candidatura alla cattedra arcivescovile di Milano, ostacolata dal possesso dei vescovadi di Cassano Ionio e Foligno. Cedette allora il vescovado di Cassano a Giulio Medici e si incamminò verso Milano.
Mentre cercava di passare gli ultimi ostacoli all’arcivescovado, consistenti principalmente nelle pretese di Ippolito d’Este, gli giunse la notizia della morte di Paolo IV.
Si recò quindi a Roma, dove partecipò a uno dei conclavi più lunghi della storia che finì per eleggerlo pontefice, col nome di Pio IV.
Come gli altri pontefici avevano fatto, per il governo della chiesa si rivolse a membri della sua famiglia.
Uno dei primi provvedimenti fu quello preso in difesa delle proprietà delle chiese e dei monasteri, dispose infatti un pesante aggravio per chi teneva indebitamente terre appartenenti a benefici ecclesiastici. Nelle regioni sottoposte all’autorità temporale della S. Sede il provvedimento colpiva in primo luogo le famiglie dei nobili.
Questo provvedimento, datato al 3 aprile del 1560, fu preso nel momento di massima ostilità percepita in Curia nei confronti della famiglia Carafa, ai quali si imputava di essersi impadroniti di proprietà mobili e immobili della Chiesa.
Con questa accusa furono incarcerati i cardinali Carlo e Alfonso Carafa, seguiti pochi giorni dopo da Giovanni. Il 4 marzo del 1561 tutti e tre furono condannati a morte, solo Alfonso si salvò dall’esecuzione.
Tutti i beni espropriati andarono alla famiglia di Pio IV.

Col papato di Pio IV si assistette anche a un processo di rivalutazione del titolo formale feudale a vantaggio delle antiche famiglie baronali romane, soprattutto gli Orsini e i Della Corgna.
Affrontò anche il tema del rifornimento di Roma in maniera del tutto nuova, non entrando in conflitto con la nobiltà. Stabilì un prezzo politico per il grano e limitò in modo deciso la concessione di tratte per l’esportazione del grano oltre i confini della Chiesa. Questo provvedimento non riguardò soltanto Roma, ma tutte le regioni pontificie.
Curò il funzionamento della Camera apostolica e cercò di trovare nuove fonti di entrate per le casse dello Stato Pontificio.
Oltre alle caratteristiche elencate (Difesa delle proprietà dei benefici ecclesiastici, miglior funzionamento camera apostolica e incremento entrate), un altro elemento fondamentale nel descrivere il papato di Pio IV è quello che riguarda la sua attività edilizia a Roma. Migliorò la zona difensiva del Borgo e abbellì alcuni dei principali ingressi cittadini. Fra le opere fondamentali ricordiamo l’erezione di Porta Pia fra il 1561 e l564 e la trasformazione delle Terme di Diocleziano.
Oltretutto, nonostante i difficili equilibri fra le varie potenze europee, riuscì a riaprire e concludere il Concilio di Trento, nel 1563.

Corse anche in aiuto dei curiali che avevano preso in prestito soldi a tassi troppo elevati e non riuscivano a restituire il debito, rischiando il carcere. Con Pio IV ha inoltre inizio un'attenta politica assistenziale della Curia nei riguardi dei ceti più umili della popolazione, conferì infatti alle congregazioni e agli istituti di assistenza ecclesiastici una maggior disponibilità di denari e un’organizzazione più efficiente.
Importanti sono infine gli interventi di Pio IV a favore dell’università situate in città pontificie. Iniziò i lavori dell’Archiginnasio a Bologna e dette nuovo impulso ai lavori di costruzione della Sapienza.
Attenuò decisamente le posizioni antiebraiche del suo predecessore restituendo agli ebrei delle regioni ecclesiastiche il diritto di acquistare e possedere beni immobili di valore inferiore a 1.500 scudi, di svolgere attività commerciali e avere botteghe fuori dal ghetto.
Morì il 9 dicembre del 1565 e fu sepolto in S. Maria degli Angeli.