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Iconografia della mortadella

Schede

Una ricerca iconografica sulla mortadella, nell’ambito della pittura europea fino all’età napoleonica, era rimasta finora intentata. Le dificoltà muovevano soprattutto dal fatto che il più importante insaccato bolognese doveva apparire alquanto diverso da quello prodotto oggi industrialmente, tanto per la grandezza, certamente inferiore e assai più vicina a quella di altri salumi, per le dimensioni dei budelli che dovevano contenerla, quanto per il colore, sicuramente più scuro e rossiccio.

Eppure, sulle tracce delle descrizioni scritte e della scarsa documentazione grafica in nostro possesso, le indagini avviate hanno dato risultati davvero insperati, anche se limitati ad un arco cronologico di poco più di un secolo, in un contesto geografico che al momento non valica i confini nazionali, concentrandosi soprattutto nei territori dell’ex Stato Pontificio, e nell’ambito esclusivo del genere della natura morta, dilatato a comprendere il sottogenere più specifico degli interni di cucina. Un appiglio sicuro per un’idea chiara della forma e delle dimensioni della mortadella alla fine del Seicento ci viene, fortunatamente, da una stampa di Giuseppe Maria Mitelli (Bologna, 1634 – 1718), firmata e datata 1691. In questa incisione all’acquaforte intitolata “Gioco della cucagna che mai si perde e sempre si guadagna”, da praticarsi evidentemente con l’uso dei dadi, compare infatti al centro, tra prodotti gastronomici tipici di altre città italiane, una doppia raffigurazione dell’allora pregiatissimo insaccato bolognese, intero e ancora legato con una corda sottile, accompagnato dalla scritta “W. Le mortadelle di Bologna tira tutti”. La figura di un popolano, raffigurato a mezzo busto, ne tiene anche in mano una fetta, indicandoci chiaramente la dimensione del taglio. Su questa base iconografica certa, era già stato possibile scorgere la mortadella sia in altre incisioni di Giuseppe Maria Mitelli, sia in alcune stampe anonime del Settecento, una delle quali rappresentante l’interno di una salumeria. Per citare solo un altro esempio nella produzione grafica del Mitelli, il nostro insaccato compare certamente appeso nelle botteghe del Lardarolo nel “Gioco de mestieri a chi va bene e a chi va male”, datato 1698.

Nel campo della raffigurazione pittorica, il primo salume individuabile in una mortadella compare quasi certamente nella prima metà del Seicento in una natura morta, ambientata in un vasto interno, intitolata Un gatto in cucina, custodita in collezione privata. L’autore dell’opera è stato identificato col senese Astolfo Petrazzi o Petrassi (1589 – 1665), ricordato da Giulio Mancini nel 1620 circa, che soggiornò a Roma almeno fino al 1631. Non è da sottovalutare il fatto che tra cacciagione e pesci, pane, frutta e verdura, la nostra presunta mortadella, in parte affettata e vista in tre quarti, è affiancata da una grossa fetta di parmigiano, altro tipico e celebrato prodotto della gastronomia emiliana. Se la bella Natura morta con paiolo e formaggio n° 69.19 del Museo delle Belle Arti di Budapest, dovesse essere confermata al napoletano Giuseppe Recco, nato nel 1634 e morto ad Alicante nel 1695, saremmo in presenza di un’altra più che probabile mortadella in parte affettata, ma in una visione frontale, ancora una volta accostata ad un pezzo di parmigiano. Ciò testimonierebbe, almeno dal punto di vista figurativo, la conoscenza in pieno Seicento, nell’Italia meridionale, del celebre insaccato bolognese, confermando la sua esportazione in un’importante area dell’Italia meridionale. Per diversi motivi tipologici e stilistici, però, il quadro di Budapest potrebbe essere accostato alla Natura morta con bicchieri, fiasco e cesto di fiori ascritta a Pier Francesco Cittadini detto il Milanese (Milano, 1611 – Bologna, 1681) e alla Natura morta con secchio di rame del fratello Carlo Cittadini detto il Milanesino (Milano, 1613/16 – Bologna, 1661), entrambe custodite a Bologna nella collezione dei dipinti dell’Opera Pia dei Poveri Vergognosi, e rientrare quindi in ambito emiliano. In entrambi i dipinti dei Cittadini, troviamo rappresentato un salume tagliato che è possibile identificare con una mortadella, così come accade in altre nature morte in ambito emiliano, collocabili tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento. Tre attribuite a Cristoforo Munari (Reggio Emilia, 1667 – Pisa, 1720) e una del bolognese Candido Vitali (1680 – 1753). Due delle nature morte ascritte al Munari, che soggiornò a lungo a Roma e a Firenze alla corte del principe Ferdinando de’ Medici, prima di morire a Pisa, sono state esposte recentemente alla mostra dedicata al pittore dalla sua città natale. Segnalate gentilmente da Giancarlo Roversi, raffigurano tra vari oggetti due mortadelle in parte affettate, una delle quali vista di profilo; nella terza, dal titolo Natura morta di cucina, conservata al Museo Bardini di Firenze, Galleria Corsi, inv.228, compare su un piatto, insieme ad un formaggio, una probabile mortadella tagliata in due parti. Il quadro di Candido Vitali, custodito in collezione privata emiliana e raffigurante una Natura morta con zucche, presenta invece un’interessante mortadella in parte affettata, ritratta su foglie di vite appoggiate su un pezzo di carta. Altre due nature morte, una attribuita a Giovanni Paolo Castelli detto Spadino (Roma, 1659 – 1730 ca.) e l’altra siglata da Christian Berenz (Amburgo, 1658 – Roma, 1722) e datata 1717, mostrano visivamente il grande apprezzamento dell’insaccato bolognese nella capitale pontificia tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento. Nella natura morta ascritta allo Spadino, presente nel 1968 presso la Galleria Lombardelli di Bergamo, una assai probabile mortadella dentro un piatto, in parte affettata, è esibita con grande attenzione insieme a frutta, fiori e raffinati cristalli. Il titolo stesso, Lo spuntino elegante, col quale è conosciuta la natura morta di Christian Berenz, custodita a Roma nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini, inv. 61, esprime benissimo il pregio e la considerazione nella quale era tenuto il prelibato salume bolognese. In questo dipinto, replicato in modo pressochè identico in una tela di dimensioni leggermente inferiori, apparsa presso la stessa Galleria Lombardelli di Bergamo nel 1968, la mortadella appare affettata, insieme al prosciutto, in un grande piatto di ceramica bianca con decorazioni blu, situato nell’angolo di un tavolo con un cassetto semiaperto in primo piano, in parte coperto da una tovaglia bianca finemente lavorata. Accanto sono rappresentate posate d’argento, una tabacchiera aperta, un’arancia tagliata, due pezzi di pane e un vassoio in metallo con due bottiglie e due bicchieri raffinatissimi di vetro trasparente, contenenti probabilmente vino bianco e rosolio. Come negli altri casi segnalati, ma qui in maniera più evidente, il nostro insaccato presenta tutte le caratteristiche che dovevano essere tipiche dell’antica mortadella tagliata: i contorni irregolari per i solchi lasciati dalle corde con le quali era legata, il colore rosa intenso o rossastro della carne di un maiale molto diverso da quello allevato oggi in Europa, i larghi ciccioli di grasso e i grani di pepe lasciati interi e ben evidenti, ciò che possiamo ancora vedere con chiarezza ai giorni nostri.

Alessandro Zacchi

Trascrizione a cura di Lorena Barchetti